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Mali: complicità francese con i terroristi islamici

Di Fulvio
Beltrami, L’Indro, 7 maggio 2018

Il
declino dell’Impero francese in Africa: i soldati francesi dell’operazione
Barkhane sarebbero complici dei gruppi armati salafisti

Dal 2012
il Mali è sprofondato in una serie di guerre civili che stanno creando una
forte instabilità regionale e flussi migratori nei Paesi vicini e in Europa.
Alla base di questa situazione vi sarebbe la complicità della Francia con Al-Qaeda
e DAESH
nella destabilizzazione di cinque Paesi africani –Burkina
Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger– ex colonie francesi, che tentano di
liberarsi del giogo coloniale.  Il motivo di fondo? Senza le ex colonie
africane l’economia francese collasserebbe in meno di due anni.
Tutto
inizia il 22 marzo 2012 quando uno sconosciuto capitano Amadou Haya Sanogo si pone
alla guida dell’ammutinamento dell’esercito e destituisce il Presidente Amadou
Toumani Touré
(conosciuto come ‘ATT’).
Viene costituito un Comitato Nazionale per il Ripristino della Democrazia in
Mali.  Le istituzioni vengono disciolte e la Costituzione sospesa. Causa
le pressioni internazionali e alla inesperienza del capitano Sanogo, il Comitato
Nazionale si soglie progressivamente. Nell’aprile 2012 la giunta militare
nomina  Dioncounda
Traoré
Presidente a interim e Cheick Modibo
Diarra
Primo Ministro. I Ministeri della Difesa, Sicurezza interna e
Amministrazione territoriale rimangono di competenza della giunta militare che
ha compiuto il colpo di Stato.
Approfittando
della caotica situazione politica, l’etnia tuareg si ribella attraverso il Movimento
Nazionale di Liberazione dell’Azawad
(MNLA), occupando vasti
territori nel nord del Paese. Il MNLA, pur essendo laico, è costretto allearsi
con la fazione salafista di Ansar Dine
che aderisce al Gruppo
Salafista per la Predicazione e il Combattimento
, poi
denominato Al-Qaeda nel
Magreb Islamico
che controlla la regione settentrionale del Azauad.
L’Esercito maliano, indebolito dal golpe, non sufficientemente armato e
comandato da generali corrotti, capitola dinnanzi al MNLA e Ansar Dine. Le principali
città del Nord cadono, una dopo l’altra, vengono distrutte numerose reliquie
della tradizione sufi e le tombe dei santi mussulmani, tra cui l’antico
mausoleo dedicato ad Alpha Moya e le sepolture di Sidi Mahmud, Sidi
el-Mukhtar, Sidi Elmety, Mahamane Elmety e Shaykh Sidi Amar. La famosa biblioteca
di Timboctou viene data alle fiamme.
Il  gennaio
2013 il Presidente ad interim Dioncounda Traoré lancia un appello alla Francia
affinché intervenga militarmente contro i ribelli nordisti. Parigi invia un
contingente militare che combatterà al fianco della truppe africane della
Ecowas, riconquistando gran parte del nord. Nell’agosto del 2013 Ibrahim
Boubacar Keïta
(denominato ‘IBK’), largamente sostenuto dalla parte
sud del Paese, viene eletto Presidente con il 77,62% dei voti. Il nuovo Governo
è protetto dalla Nazioni Unite che il 25 aprile 2013 vota la Risoluzione
2100
per l’invio di un contingente di caschi blu per la
stabilizzazione del Mali, la MINUSMA
(Missione multidimensionale Integrata delle Nazioni Unite per la
Stabilizzazione del Mali). La MINUSMA giunge nel travagliato Paese africano un
mese prima delle elezioni, mettendo in campo una forza di 11.000 uomini.
Nonostante
l’impegno militare internazionale, la situazione in Mali rimane incerta e i
ribelli tuareg, scacciati dalle principali città del nord, continuano la guerra
civile e gli attentati terroristici. Parigi, con la scusa dell’instabilità, avvia
l’Operazione
Barkhane
: una forza di 3.000 soldati con quartier generale a
N’Djamena, la capitale del Ciad.
Barkhane ha il compito di contenere il terrorismo islamico e di stabilizzare le
sue ex colonie Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger. Il secondo
obiettivo dichiarato è quello di contenere i flussi migratori clandestini verso
l’Europa. Oltre alle forze dislocate a N’Djamena, Parigi schiera altri 1000
soldati presso la città di Gao (nord del Mali), una forza speciale a
Ouagadougou (capitale della Burkina Faso) e una base di Intelligence a Niamey
(capitale del Niger).
L’operazione Barkhane viene progressivamente supportata dagli eserciti inglese
ed estone. L’Italia entrerà in scena nella regione nel 2017 con un teorico
invio di 400 soldati in Niger per affiancare l’Esercito nazionale e i francesi
nella lotta contro il terrorismo e i flussi migratori clandestini. La
partecipazione italiana è tutt’ora contrastata, sia
dalla Francia che dal Governo nigerino. Parigi considera l’iniziativa di Roma
come una chiara interferenza negli affari interni alle sue colonie africane e
un tentativo di contrastare ‘l’impero francese’ dopo la perdita subita
dall’Italia della Libia, mentre la popolazione nigerina ha costretto il Governo
di Niamey a virare contro l’intervento italiano nella regione saheliana.
Nonostante
lo sforzo militare francese, il Mali e la regione saheliana non vengono
stabilizzati. Il MNLA laico è sempre più debole, mentre prosperano i gruppi
terroristici islamici legati ad Al-Qaeda e al DAESH. Parigi, dinnanzi alle
prime sconfitte militari (le vittime tra i soldati francesi vengono
accuratamente nascoste) e all’insopportabile sforzo economico dell’avventura
d’Oltremare, ‘costringe’ i governi delle sue colonie africane -Mali, Niger,
Burkina Faso Ciad e Mauritania- a prestare risorse finanziarie e truppe di
ascari per rafforzare il controllo francese sulla regione, ricca di minerali,
idrocarburi e uranio.
Il 13
dicembre 2017, in occasione del summit presso il castello di Celle-Saint Cloud,
vicino a Parigi, nasce la Coalizione
per il Sahel
, forte di 5.000 uomini, con il compito di combattere i
vari gruppi terroristici islamici che operano nella regione. Affiancata alla
lotta contro il terrorismo, sono state studiate iniziative per diminuire la
pressione migratoria sull’Europa.
La nuova
iniziativa francese G5 Sahel non registra i successi sperati. Viene
immediatamente contrastata
da Stati Uniti e ONU che considerano l’iniziativa come un cavallo di Troia di
Parigi per assicurarsi il dominio della strategica regione dell’Africa
Occidentale. L’iniziativa militare francese presto mostra tutte le sue lacune.
I fondi sono insufficienti e si collezionano sconfitte su sconfitte.
All’interno del Governo Macron si rafforza la corrente che considera
l’avventura militare un disastro e vuole ritirare le truppe francesi. Nel
frattempo i gruppi salafisti proliferano e riprendono a colpire.
Il 14
aprile l’aeroporto di Timbouctou, zona militarizzata che ospita il quartier
generale della MINUSMA, viene attaccata da un nutrito commando terroristico che
indossa uniformi dei caschi blu e dell’Esercito maliano, lo scontro a fuoco
continua per oltre quattro ore. La MINUSMA lo definisce ‘un attacco senza
precedenti’. Nelle ultime settimane di aprile scoppia, nel nord del Mali, una
guerra tra i milizie tuareg e i gruppi jihadisti legati ad Al-Qaeda che si
contendono le province maliane del nord.
Nonostante le esecuzioni extra-giudiziarie -attraverso attacchi con droni- di
alcuni leader terroristi (tra cui vanno ricordati due quadri importati quali Abou
Abdallah Ahmed al-Chinguiti e Haidar al-Maghribi), la galassia jihadista
saheliana si sta rafforzando. In quadro è composto da una pletora di sigle
raggruppate un anno fa sotto il cappello del Gruppo di Sostegno all’Islam
e ai Musulmani (GSIM)  -formazione guidata dal terrorista
maliano Iyad Ag Ghali che ha già rivendicato molti attacchi, anche quello
di Timbouctou- e da un sodalizio di differenti gruppi armati e mafie del
narcotraffico sotto l’egida di Al Qaeda nel Magreb Islamico (AQMI),
indiscusso padrino del jihadismo africano. Da registrare anche la recente
nascita, nella zona, di formazioni che si rifanno al cosiddetto Stato
Islamico del Grande Sahara (vicino al Daesh), sigla nata nel 2015 che oggi gode
dello spostamento di risorse, uomini e tecniche di guerriglia dai teatri di
Siria e Iraq verso il Sahel, nuovo terreno di conquista dell’espansione jihadista
globale.
Da tempo
vari osservatori internazionali e africani hanno fatto sorgere il dubbio che le
reali intenzioni della Francia nella regione non siano quelle di combattere il
terrorismo, né di fermare i flussi migratori. Nel luglio 2017, vari quotidiani
europei, a ‘La Repubblica’, denunciano
la complicità di Parigi con i trafficanti di esseri umani. La guarnigione
francese che sorveglia il corridoio libico in Niger è accusata di lasciar
passare deliberatamente 300 mila clandestini diretti verso le coste italiane.
L’operazione
Barkhane e il G5 Sahel sarebbero state ideate nel disperato tentativo di
mantenere il controllo sulle colonie dell’Africa Occidentale che contribuiscono
al 40% del PIL francese. L’uranio del Niger è, di fatto, proprietà
della Francia
, attraverso la multinazionale Areva. Niger è il quinto
produttore di uranio al mondo e rappresenta il 32% della produzione elettrica
francese prodotta dalle centrali nucleari e il 60% della produzione di uranio
della Areva, che vende ai principali Paesi industrializzati che hanno legalizzato
le centrali nucleari.
Il Ciad
si sta ribellando. Il Presidente Idriss Debi Itno tenta di
porsi come l’erede di Gheddafi, proponendo la fine della
schiavitù economica
dettata dal Franco CFA e cercando di convincere
gli altri Paesi dell’Africa Occidentale a sostituirlo con una moneta unica
africana, indipendente dalla Banca Centrale di Parigi. Il movimento contro il
FCFA è divenuto talmente importante da costringere Parigi a promettere una
radicale riforma del controllo finanziario sulle colonie africane. Il Burkina
Faso ha liquidato il dittatore marionetta Blaise
Compaoré
, e sta tentando di strutturare una politica indipendente
alla Francia. La risposta di Parigi starebbe nel sospetto che grava sulla
Francia di essere di fatto la promotrice di una stagione di terrorismo islamico
volta a indebolire il nuovo Governo democratico della Burkina Faso.
Tra il 2014 e il 2015 la Francia è sospettata di aver
organizzato due colpi di Stato
contro il governo burkinabè, entrambi
falliti. Anche il monopolio delle multinazionali francese nelle colonie viene
messo in discussione, come dimostrano le attuali gravi difficoltà della
multinazionale logistica francese Ballorè. Varie prove convergono su una complicità
francese nel colpo di Stato maliano, nella ribellione tuareg e la nascita dei
gruppi terroristici nel nord, in quanto Parigi aveva deciso all’epoca di
eliminare ‘ATT’ causa la sua politica nazionalista anti-francese.
A
rafforzare le accuse rivolte alla Francia di attività eversive nell’Africa
Occidentale è il direttore del Groupement d’Intérêts Scientifiques des
Statisticiens Economistes (GISSE),
Sidiki Guindo. Il primo marzo Guindo presenta una dettagliata denuncia contro
la Francia durante la cerimonia di presentazione dei risultati di un sondaggio
d’opinione denominato ‘Mali-Métre
-in un hotel della capitale maliana, Bamako. Secondo Guindo e l’opinione
pubblica maliana, i soldati francesi dell’operazione Barkhane sono complici dei
gruppi armati salafisti e stanno ostacolando gli accordi di pace e
riconciliazione nazionale per mantenere il Mali in una situazione di caos
favorevole agli interessi economici e politici di Parigi.



In un
primo momento il Governo Macron ha ignorato queste pesanti accuse, forte della
complicità dei media europei. La situazione, però, è degenerata durante gli
ultimi scontri tra tuareg e milizie islamiche nella regione maliana del nord, Menaka,
dove i civili appartenenti alle etnie Tuareg e Peul ora vengono
sistematicamente trucidati. I soldati francesi della forza Barkhane sono
accusati di supportare due gruppi terroristici salafisti: il MSA e il GATIA. I
militari francesi non interverrebbero per difendere i civili e fornirebbero
informazioni strategiche ai due gruppi salafisti sulle posizioni occupati dalle
milizie di difesa tuareg che tentano di combatterli. Le nuove accuse hanno
costretto il Governo Macron a difendersi.  «Queste accuse sono frutto di
fantasia. Non esiste alcun legame tra l’operazione Barkhane e i gruppi
jihadisti. I nostri soldati stanno facendo tutto il possibile per combatterli e
difendere i civili»,  dichiarato
il portavoce dello Stato Maggiore dell’Esercito francese. Di diverso parere l’opposizione
maliana, che accusa apertamente la Francia di organizzare l’escalation di
violenza terroristica nella regione di Menaca. Il partito di opposizione Parti
pour la renaissance nationale () accusa il Presidente Boubacar Keïta di essere
succube di Parigi e di permettere le azioni terroristiche francesi in Mali.
La
maggioranza della popolazione maliana dal nord al sud del Paese sostiene le
accuse lanciate da PARENA, e desidera una vera indipendenza da Parigi,
individuata come primo responsabile dell’instabilità politica, della rovina
economica e delle centinaia di migliaia di lutti. A parte qualche raro articolo
sulla stampa francese, i media europei stanno coprendo la storia.