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Le ombre della 180

Domenico
Fargnoli, LEFT, 13 maggio 2018

Il
Saggiatore ripropone, a cura di Franca Ongaro Basaglia, gli Scritti 1953-1980
di Franco Basaglia già pubblicati da Einaudi nel 1981 poco dopo la sua
scomparsa.

Lo
psichiatra veneziano influenzato dalla fenomenologia e dall’esistenzialismo,
nel 1961 aveva scoperto la disumanità del manicomio ed era diventato il
capofila del movimento di lotta contro gli ospedali psichiatrici sfociato nella
legge 180. È un’occasione per chiederci: qual è la situazione della psichiatria
territoriale in Italia a quasi quarant’anni dalla morte di Basaglia?
Il 17
settembre 2017 è stato presentato in senato, per iniziativa di Nerina Dirindin
e Luigi Manconi il ddl 2850 che vuole dare piena attuazione ai principi della
180. Perché mettere mano alla legge? Le criticità dell’attuale assistenza
psichiatrica sono molte. I Dipartimenti di salute mentale (Dsm) presenti nelle
Regioni vanno diminuendo di numero, grazie a accorpamenti di più aree
territoriali conseguenti a programmi di “razionalizzazione” e di contenimento
delle risorse, peraltro già al limite della sufficienza. L’estensione talvolta
spropositata del bacino di utenza (in alcune Regioni fino a due milioni di
abitanti) crea vere e proprie impossibilità di gestione, tradendo la dimensione
della “piccola scala”, uno dei principi basilari della riforma del 1978 e del
lavoro territoriale.
Spesso si
hanno luoghi di cura degradati, che avrebbero effetti negativi non solo sul
benessere del paziente, ma anche sull’operatore che verrebbe demotivato: le
strutture, affermano i relatori della legge, devono quindi essere riqualificate
dal punto di vista architettonico. Anche Jean Dominique Esquirol quando entrò all’ospedale
di Charenton a Parigi nel 1823 riteneva che l’architettura avesse un
significato terapeutico. Ma più che le mura, come ha detto un famoso
psichiatra, è importante la cura, la teoria e la formazione del medico che la
rendono possibile. Alla cura e ai criteri formativi, Basaglia non ha prestato
la dovuta attenzione pensando che la deistituzionalizzazione e la lotta al
potere medico fosse il passo fondamentale per risolvere ogni “patologia”.
Chiusi i
manicomi la malattia mentale è rimasta e l’interrogativo su come affrontarla
non ha avuto un’adeguata risposta da chi ha continuato l’opera dello psichiatra
veneziano. «Altro problema – spiega Dirindin -, è la necessità di contrastare
la pratica della contenzione meccanica del paziente e il bisogno di una
migliore gestione dei casi di emergenza-urgenza con il Trattamento sanitario
obbligatorio (Tso), cui si ricorre talvolta troppo frequentemente». Si hanno
oscillazioni da 6 Tso su 100mila persone a 30 Tso su 100mila persone in altre
regioni. Altro punto critico è l’aspetto economico legato alla gestione delle
strutture residenziali dove si stima che possono risiedere più di 20mila
persone e forse 30mila in uno stato d’inerzia che talora raggiunge i
trent’anni. «Così – ha spiegato a Repubblica lo psichiatra Peppe Dell’Acqua -,
si rischia di perdere il significato originario e l’obiettivo con cui queste
strutture sono state concepite, dato che talvolta queste residenze rischiano di
diventare contenitori di emarginazione sociale della disabilità psichica». La realtà
manicomiale si ripropone in forme diverse.
La legge
2850 traccia un quadro non molto lusinghiero della situazione attuale e
individua, un po’ semplicisticamente, solo mancanza di risorse economiche e
incapacità organizzative alla base delle attuali carenze della psichiatria.
Bisogna ricordare però che la legge 180 fu una legge di indirizzo, una legge
quadro che lasciava alle Regioni i criteri della sua attuazione e non
analizzava il problema delle spese e dei finanziamenti. Ciò dette luogo a
differenze inevitabili che tutt’ora sussistono fra le varie zone del territorio
e determinò, soprattutto all’inizio, gravissime carenze assistenziali in gran
parte d’Italia. Il blocco dei nuovi ricoveri, con l’entrata in vigore della
180, lasciò un vuoto che fu sostenuto dalle famiglie con grandi sacrifici e non
poche tragedie. Rispetto al problema dei malati cronici la legge sposò la
credenza ideologica che la cronicità fosse un mero derivato
dell’istituzionalizzazione manicomiale: oggi sappiamo che i casi più gravi di
schizofrenia anche quelli che sono curati in modo ottimale possono avere un
decorso molto lungo, di molti decenni.
L’altro
tema quello del ricovero obbligatorio affrontato dalla senatrice Dirindin
rivela un’idea sorprendente: il Tso che è un atto terapeutico dovrebbe essere
limitato per legge. è come dire che non si devono fare troppi interventi di
appendicite! Ora è chiaro che quando si affronta una crisi psicotica acuta che
può sfociare in atti lesivi per sé e per gli altri, è meglio un ricovero in più,
se salva una vita, che un paziente in meno. Ciò che decide il medico
nell’esercizio della sua professione inoltre è insindacabile da parte del
legislatore e del giudice a meno che non si contravvenga alla deontologia o si
commettano reati. Ma la difesa a oltranza dei principi della 180 porta a
considerare il ricovero e l’Spdc non necessari per la terapia della malattia
mentale in quanto legati all’istituzionalizzazione.
Quest’ultima
era l’ossessione di Basaglia contrario alla legge 180 (redatta dal
democristiano Orsini e approvata dal governo Andreotti), proprio perché lo
psichiatra veneziano non voleva reparti psichiatrici negli ospedali generali:
lui avrebbe preferito un “network di appartamenti anticrisi”, strutture non
medicalizzate, sullo stile delle case famiglia inglesi realizzate da Ronald
Laing e finite in un clamoroso fallimento. Con lo psichiatra di origine
scozzese, Basaglia dialogò nel suo libro La maggioranza deviante del 1971. Per
capire chi fosse veramente Ronald Laing basta leggere la biografia R. D. Laing.
A life (2006), del figlio Adrian, fa il ritratto di un uomo devastato dalla
depressione e vittima dell’alcolismo come il suo amico David Cooper con cui
redasse Reasonand violence (un omaggio alla filosofia sartriana del 1971).
Va detto
che la riorganizzazione dei servizi auspicata dalla proposta di legge 2850 non
può essere considerata un processo a sé stante. Deve invece essere in relazione
non solo con una visione della malattia mentale e del suo trattamento, ma più
in generale anche con una antropologia e con una concezione dell’uomo. La legge
180 non va pertanto solo applicata ma va rivista e criticata proprio in virtù
dei suoi impliciti assunti ideologici che non possono essere dati per scontati.
Quale era la concezione dell’uomo di Basaglia, che avrebbe conferito alla legge
che impropriamente porta il suo nome, un carattere rivoluzionario come pensano
alcuni? Quella fenomenologico esistenziale di Binswanger e Sartre vicini ad Heidegger
che negava la malattia mentale? Quella marxista che annullava l’esistenza della
realtà psichica? Oppure un coacervo eclettico alquanto confuso?
La
frequentazione di Basaglia con R. D. Laing, potrebbe essere considerata uno
scivolone, un episodio marginale. Ma che pensare quando i basagliani
rivendicano l’affinità della filosofia di Michel Foucault con le idee e la
prassi antipsichiatrica di Gorizia e di Trieste? Non molto tempo fa è stato
recensito su Left un pamphlet di Jean-Marc Mandosio dal titolo emblematico Longevità
di un’impostura: Michel Foucault (2017), in cui l’autore francese segue il
filosofo nelle tortuosità e nelle contraddizioni del suo pensiero che lo portò
ad appoggiare la rivoluzione iraniana di Khomeini e a considerare il sadomasochismo
una pratica ascetica.
Secondo
Mandosio, la sconfortante ammirazione di Foucault per il capo carismatico
Khomeini riproduce senza rendersene conto quelle espressioni stereotipate che
in altri tempi erano servite per tessere l’elogio di Hitler, Stalin e Mao.
Perché una cosa del genere? Perché il filosofo era attratto dall’idea di una
fusione mistica fra i religiosi e il popolo nella quale vedeva «la possibilità
di introdurre nella vita politica una dimensione spirituale» che avrebbe dovuto
agire come un fermento. Ci si chiede come si possa conciliare un approccio
marxista o genericamente di sinistra con affermazioni come quelle precedenti.
Ma
l’aspetto più controverso del pensiero di Michel Foucault è proprio quello
espresso nella sua opera più importante Storia della follia nell’età classica
(1961): in essa viene negata la nascita della psichiatria considerata solo una
struttura del potere medico e svuotata di significato l’opera di Philippe Pinel
e dei primi alienisti che tentarono la cura della malattia mentale con «il
trattamento morale». Molti storici e psichiatri come Giovanni Jervis (cfr. La
razionalità negata, libro del 2008 scritto con Gilberto Corbellini) considerano
le tesi del filosofo francese solo degli slogan a effetto, delle semplificazioni
suggestive ma prive di un rigore metodologico e storiografico. Rivendicare la
complicità ideologica tra Franco Basaglia e Michel Foucault porta su di un
terreno non privo di rischi dal punto di vista della credibilità, anche se gli
attuali sostenitori della 180, che ritengono che essa vada attuata ma non
modificata, sembrano non rendersene assolutamente conto.