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La proposta europea sui migranti che sta facendo arrabbiare l’Italia

Il Post,
5 maggio 2018

E gli
altri paesi di frontiera, come Grecia e Spagna: il centro del dibattito è la
riforma del regolamento di Dublino, di nuovo
Cinque
migranti a Ventimiglia (VALERY HACHE/AFP/Getty Images) 
Il
Consiglio dell’Unione Europea sta esaminando da mesi la proposta di riforma del
regolamento di Dublino, il collo di
bottiglia legislativo
 che trattiene decine di migliaia di
richiedenti asilo in Italia, e che è fra i principali responsabili della crisi
degli ultimi anni. Il Consiglio è l’istituzione europea che insieme al
Parlamento detiene il potere legislativo. La bozza della riforma è stata
approvata
sei mesi fa dal Parlamento, e il Consiglio non ha ancora
preso una posizione ufficiale.
Qualcosa
si sta muovendo, ma i tempi sono molto stretti: a giugno la presidenza del
Consiglio, che si gestisce a turno, passerà all’Austria, un paese che in questi
anni ha tenuto posizioni piuttosto intransigenti sull’immigrazione, mentre le
prossime elezioni europee – che rinnoveranno sia il Parlamento sia la
Commissione – si terranno fra poco più di un anno.
Il
sistema attuale di accoglienza dei richiedenti asilo privilegia il cosiddetto
criterio del “primo ingresso”, secondo cui ospitare e valutare ciascuna
richiesta di protezione internazionale spetta al paese in cui è avvenuto
l’ingresso di quella persona nell’Unione Europea. In questo modo i richiedenti
asilo sono costretti a rimanere per mesi o anni nei paesi di frontiera –
cioè Italia, Grecia e Spagna – in attesa che la loro domanda venga
esaminata. La riforma approvata del Parlamento prevede
di sostituire questo criterio con un meccanismo obbligatorio di ripartizione
dei richiedenti asilo fra i 27 stati dell’Unione. Il numero massimo di
richiedenti asilo da ospitare verrebbe stabilito da una quota, diversa per ogni
paese, in base al PIL e alla popolazione.
La
riforma approvata dal Parlamento è solo un punto di partenza, non una proposta
da prendere o lasciare. Il Consiglio, poi, è un organo particolare: è composto
dai rappresentanti dei governi dei singoli Stati, che hanno la possibilità di
bloccare o stravolgere le proposte del Parlamento. È già successo altre
volte, e in molti temono che l’ambiziosa riforma del regolamento di Dublino
approvata con una maggioranza parlamentare molto ampia – dal centrodestra alla
sinistra – farà la stessa fine.
La
Bulgaria, cioè il paese che ha la presidenza del Consiglio fino al 30 giugno,
sta cercando da tempo di trovare un compromesso fra la bozza approvata dal
Parlamento e le posizioni dei paesi più contrari a una riforma. Qualche
settimana fa ha prodotto un documento che contiene alcune proposte di
compromesso. I paesi di primo ingresso, fra cui l’Italia, si sono però
opposti e hanno suggerito sostanziali modifiche alla proposta della
Bulgaria in un altro
documento.
Il Post
ha chiesto alla presidenza bulgara di poter leggere la proposta di compromesso
nella sua interezza, ma un suo portavoce ha risposto che il documento non può
essere diffuso «per via delle delicate trattative che sono ancora in corso». Il
documento di risposta, co-firmato da Italia, Spagna, Grecia, Malta e
Cipro, è stato invece ottenuto e
pubblicato da Politico.
La
proposta bulgara, secondo
quanto scrive la redazione di ANSA che si occupa delle istituzioni europee,

prevede un sistema di quote, ma solo nel caso in cui un certo paese riceva un
flusso superiore di richiedenti asilo superiore del 160 per cento rispetto
all’anno precedente. Le quote, fra l’altro, diventerebbero obbligatorie solo
per flussi superiori del 180 per cento. Secondo Politico,
la Bulgaria propone inoltre che il paese di frontiera esegua sui nuovi arrivati
dei controlli cosiddetti “pre-Dublino”, cioè sostanzialmente si assicuri che
non siano un pericolo per la sicurezza nazionale e che la loro richiesta di
protezione internazionale abbia le basi per essere accolta. Infine, la Bulgaria
propone che il sistema attuale venga mantenuto per i prossimi dieci anni, per
dare tempo a tutti i paesi europei di adattarsi.
La
proposta bulgara è stata rifiutata da Italia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro,
cioè i paesi di “primo ingresso” della stragrande maggioranza dei richiedenti
asilo. In sostanza, questi paesi hanno rifiutato i due più importanti
punti di compromesso: hanno chiesto che il periodo di transizione duri al
massimo due anni, e hanno fatto notare che eseguire controlli “pre-Dublino” a
tutti i richiedenti asilo li costringerebbe a tenere nel proprio territorio i
migranti per parecchio tempo (cioè esattamente il problema che hanno Italia e
Grecia a causa del sistema attuale). Il documento non parla delle percentuali
necessarie a far scattare il meccanismo delle quote, ma sappiamo da tempo che
ai paesi di frontiera questa proposta non piace.
Il
compromesso trovato dalla Bulgaria, comunque, potrebbe non essere gradito
nemmeno ai paesi che tradizionalmente si oppongono a un sistema più equo di
gestione dei richiedenti asilo: per loro, «qualsiasi accenno a un sistema
obbligatorio di quote, anche solo in una situazione di crisi, sarebbe
probabilmente controverso», scrive Politico.
Per
sapere di quali paesi stiamo parlando, basta vedere i dati sul meccanismo di
ricollocamento volontario dei richiedenti asilo messo in piedi nel 2015 dalla
Commissione Europea. Ungheria e Polonia non hanno accettato nessun
trasferimento da Grecia e Italia – e hanno anche
messo in dubbio la legittimità del meccanismo davanti alla Corte di Giustizia
europea
 – mentre la Slovacchia ne ha
accettati 16
, e la Repubblica Ceca 12. I paesi dell’Europa Orientale
sono etnicamente molto omogenei e poco abituati alla convivenza con gli
stranieri: per i loro governi, a prescindere dall’appartenenza politica,
opporsi all’arrivo dei migranti fa guadagnare consensi.
Dall’insediamento
del nuovo governo conservatore
, l’Austria sta cercando di farsi
portavoce di questi paesi: e stati come Italia e Grecia sperano che venga
trovato un nuovo compromesso al più presto. Parlando con Politico, un
diplomatico che sta seguendo la vicenda ha spiegato: «l’Austria ha posizioni
estremamente conservatrici sul regolamento di Dublino, l’immigrazione e la
sicurezza delle frontiere. Vogliamo un accordo prima di giugno».