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LA CAMPAGNA. B’Tselem: “No ai trasferimenti forzati”

Di B’Tselem,
Nena News, 12 mag 2018

L’associazione
israeliana per i diritti umani lancia un appello contro il trasferimento
forzato delle comunità palestinesi nei Territori Occupati. Con un video e
materiali in italiano
Non stiamo parlando di qualcosa di ipotetico. Si
tratta invece di qualcosa che sta accadendo proprio ora, ogni giorno: Israele
sta cercando di trasferire migliaia di palestinesi che vivono in circa 200
comunità agropastorali nell’area C della Cisgiordania. Dozzine di queste
comunità sono a rischio di sfratto immediato, mentre altre subiscono angherie,
violenze e ruberie di ogni genere.
L’espulsione
di questi residenti (teoricamente “protetti”) dalle loro case che si trovano in
un territorio occupato costituisce un reato, sia che l’espulsione venga attuata
usando la forza bruta, sia rendendo la vita dei residenti così insopportabile
da farli andar via, apparentemente di loro spontanea volontà. In entrambi i
casi, il trasferimento forzato è vietato e costituisce crimine di guerra.
La
strategia di Israele consiste nel proibire ai palestinesi la costruzione di
edifici, siano essi pubblici o privati. Viene anche negata loro la possibilità
di allacciarsi al sistema idrico e a quello elettrico oppure di pavimentare le
strade. In alcune comunità, Israele ha demolito sia le case che le
infrastrutture allestite dai residenti, come pannelli solari per generare
energia, cisterne per l’acqua e strade di accesso. In aggiunta, i militari
fanno esercitazioni sui pascoli e sui campi di alcune comunità e a volte
persino in mezzo alle aree abitate.
Questa
non è altro che una forma di violenza statale organizzata e continua, che ha lo
scopo di ridurre al minimo la presenza palestinese in Cisgiordania,
concentrando i residenti in alcuni siti ed espropriandoli della loro terra e
delle loro proprietà.
Cosa puoi
fare?
Fare
pressioni sulle autorità israeliane si è spesso dimostrato un modo per
prevenire, o almeno rimandare, la realizzazione di certi progetti. Anche in
questo caso, le proteste pubbliche –in Israele e in altri paesi– possono
aiutare queste comunità palestinesi a restare sulla loro terra e possono
contribuire ad evitare la distruzione delle loro case. Il biasimo della
pubblica opinione è un prezzo che Israele non vuol pagare e preferirebbe
generalmente evitare. Noi possiamo alzare questo prezzo.
Perché
Israele vuole sloggiare questi abitanti?
L’obiettivo
di Israele consiste nel creare quanti più fatti compiuti possibile sul terreno,
per rendere disponibile sempre più terra per gli insediamenti e per arrivare a
una situazione in cui sia più facile annettere l’area C (unilateralmente o
sulla base di un futuro accordo) e comunque, fino a quel momento, annettersi de
facto la terra. A questo scopo, Israele vuole appropriarsi di quanta più terra
possibile di queste comunità. Mentre cerca di far questo, Israele sospende la
vita stessa della regione. La scusa ufficiale è quella di “far rispettare le
leggi di pianificazione e costruzione” e lo fa demolendo quelle che definisce
“costruzioni illegali” e allontanando i residenti dalle terre che ha
unilateralmente dichiarato “poligoni di tiro”. Tutte queste sono spudorate
bugie: lo stato sa perfettamente di aver fatto in modo che i Palestinesi
dell’area C non avessero alcuna possibilità di costruire o di allestire
infrastrutture in modo legale.
Dove
avviene tutto questo?
Israele
concentra i suoi sforzi su tre aree della Cisgiordania:
1. Le colline a sud di Hebron: In
questa zona vivono circa 1000 persone, una metà delle quali sono minorenni. I
militari cominciarono il trasferimento forzato degli abitanti alla fine del
1999, col pretesto che quella terra era stata dichiarata “poligono di tiro”
fino dagli anni 1980.
2. La zona di Ma’ale Adumin: Negli
anni 1980 e 1990, l’Amministrazione Civile espulse centinaia di Beduini della
tribù Jahalin al fine di istituire e poi ampliare l’insediamento di Ma’ale
Adumin. I residenti furono trasferiti in un sito permanente creato per loro
vicino alla discarica di rifiuti di Abu Dis, perdendo così la possibilità di accedere
ai pascoli che erano il loro mezzo di sopravvivenza. Oggi altri 3000 residenti
circa, sono a rischio di imminente espulsione. Questo numero comprende 1400
persone che vivono in un’area che Israele definisce come E1 e che è destinata
all’espansione di Ma’ale Adumin, in modo da creare una continuità abitativa tra
l’insediamento e Gerusalemme.
3. La Valle del Giordano: Circa
2700 Palestinesi vivono in quest’area, in una ventina di comunità pastorali.
L’esercito ha dichiarato gran parte delle terre in cui vivono “poligoni di
tiro” e svolge esercitazioni militari vicino alle loro case. In alcune
comunità, i residenti sono periodicamente costretti a lasciare le loro
abitazioni in modo che i soldati possano esercitarsi nelle immediate vicinanze.
Perché i
palestinesi non costruiscono in modo legale?
Perché
Israele ha reso impossibile farlo. Si è appropriato di tutti i poteri di
pianificazione e di costruzione nell’area C e l’Amministrazione Civile si
rifiuta di redigere piani urbanistici per le comunità palestinesi. Quando i
residenti, non avendo altra scelta, costruiscono comunque case, edifici
pubblici e infrastrutture, Israele minaccia di demolire queste “strutture
illegali” e in alcuni casi mette in atto la minaccia. Israele ha creato una
situazione burocratica senza uscita che impedisce a queste comunità qualsiasi
costruzione e qualsiasi sviluppo legale.
Se il
trasferimento forzato è illegale, non sarebbe meglio combatterlo con le armi della
legalità e adire all’Alta Corte Israeliana di Giustizia?
La realtà
quotidiana in Cisgiordania è una sistematica violazione della legge compiuta da
Israele, grazie a una quantità di norme e di ordinanze militari decise senza il
coinvolgimento dei Palestinesi che vivono nella regione. Il problema è che, al
momento attuale, non esiste una istituzione a livello mondiale che possa far
rispettare realmente la legge internazionale. All’interno di Israele, le
battaglie legali sostenute da queste comunità sono riuscite a dilazionare nel
tempo demolizioni e trasferimenti. Tuttavia, l’Alta Corte di Giustizia non ha
preso una posizione chiara sull’illegalità delle politiche israeliane. In
alcuni casi, i giudici hanno persino approvato la demolizione di case e di infrastrutture,
pur sapendo che i residenti non avevano dove altro andare.