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IRLANDA: Al voto per il diritto di aborto, una sfida europea

Matteo
Zola, East Journal, 24 maggio 2018

L’Irlanda
si appresta ad andare alle urne per un referendum dal sapore storico.
 
Il
prossimo 25 maggio circa tre milioni di persone saranno chiamate a scegliere
sull’aborto, un tema delicato per una società in cui l’identità nazionale è
strettamente legata a un cattolicesimo profondamente vissuto. Non a caso la
campagna elettorale si è giocata sull’opposizione tra clero e sostenitori della
libertà di scelta, ma le posizioni sono in realtà assai più variegate. I
sondaggi, che per molte settimane hanno dato in vantaggio i favorevoli
all’aborto, sono ora più incerti e il numero di indecisi (circa il 40%)
potrebbe fare la differenza.
Per cosa
si vota
Oggetto
del referendum sarà l’abrogazione dell’ottavo emendamento alla Costituzione
irlandese che garantisce al feto lo stesso diritto alla vita della madre
rendendo di fatto illegale l’aborto in quasi tutte le circostanze. Nel paese
l’interruzione di gravidanza non è consentita nemmeno in caso di stupro,
incesto o anomalia fetale. Per le donne che praticano illegalmente l’aborto è
prevista una pena di 14 anni di reclusione. Per sfuggire a questa legge, che
risale al 1983, sempre più donne sono costrette ad andare ad abortire
all’estero (si parla di 165mila tra il 1980 e il 2015 nella sola Gran Bretagna)
affrontando costi economici e – soprattutto – la paura, lo stigma sociale e la
solitudine estrema della scelta. L’esperienza è infatti resa ancora più
traumatica dalla necessità di mantenere il segreto, spesso anche nei confronti
della famiglia. Le donne che abortiscono sono considerate colpevoli, e come
tali devono pagare il prezzo dell’isolamento sociale. E poco conta che il feto
sia malformato, che non abbia possibilità di sopravvivere, non ci sono buone
ragioni per la legge irlandese: la vita del feto vale quanto quella della
madre. Poco conta chi dei due vive o muore.
Il caso
Savita
La morte
di Savita Halappanavar, dentista di origine indiana, uccisa da una
setticemia dopo un aborto spontaneo prolungato all’ospedale di Galway
nell’ottobre 2012, ha però smosso le coscienze. Sarebbe bastato un intervento
dei medici a interrompere la gravidanza per salvarle la vita, ma la si è
lasciata morire di parto per rispettare una legge assurda. Il caso ha sconvolto
l’opinione pubblica irlandese. Così il parlamento, nel 2013, ha approvato una
norma che consente l’aborto in caso di comprovato rischio di vita per la madre.
Ma
l’intervento del Parlamento non può bastare se nelle scuole irlandesi si
continua a insegnare che l’aborto è un omicidio, se l’educazione cattolica
insiste sul concetto di colpa (e il senso di colpa ha portato al suicidio un
numero indefinito, tuttavia sensibile, di donne che hanno fatto ricorso
all’aborto), se la politica continua a non ritenere le donne soggetti politici
a pieno titolo, ovvero capaci di compiere scelte libere e consapevoli. Poiché
vietare l’aborto, o limitarlo fortemente, significa sostenere l’idea
paternalista che una donna non deve, non può, decidere di sé stessa. Quella per
la libertà di aborto diventa quindi anche una battaglia per la libertà
individuale.
Europa,
duemiladiciotto
La Corte
suprema irlandese, nel marzo scorso, ha aperto al referendum interpretando i
mutati sentimenti di un paese che, nel 2017, aveva già dato via libera ai matrimoni
gay. Se sarà abrogato dal referendum, l’ottavo emendamento sarà sostituito
da un testo redatto dal Parlamento che permetterà alle donne di accedere
all’interruzione volontaria entro le 12 settimane di gravidanza, o più tempo di
fronte a circostante eccezionali. Soprattutto, l’aborto cesserà di essere una
questione morale diventando una questione sanitaria, aprendo la strada a future
ulteriori aperture.
I
sostenitori dell’aborto, guidati dai cardinali cattolici, hanno lanciato una massiccia
campagna elettorale che ruota attorno alle tradizionali parole d’ordine del
clericalismo: peccato, omicidio, famiglia. Una visione tradizionalista e
reazionaria dei rapporti sociali e delle libertà individuali che, tuttavia, sta
incontrando inattesi consensi in molti paesi d’Europa. Le
donne sono le prime ad essere colpite, i loro diritti sono i primi ad essere
oggetto di limitazione, ma la questione riguarda tutti perché altri diritti
potrebbero venire erosi. La lotta per i diritti delle donne è la trincea della
libertà di tutti.