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Cosa resta del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia?

Pierluca
Merola, East Journal, 20 aprile 2018

Dopo
quasi 25 anni, a fine 2017, ha chiuso
il Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (TPIJ). 
Foto: Through
Their Eyes: Witness to Justice, ICTY

Al tribunale dell’Aja era stato dato mandato di
perseguire i crimini di genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di
guerra perpetuati nel corso delle guerre di dissoluzione jugoslava degli anni
’90. L’ultimo atto del tribunale ha visto il generale croato Praljak mettere in
scena il suo suicidio
post-moderno
. Dopo di che, il tribunale se n’è andato in punta dei
piedi tra le critiche e l’indifferenza dei Balcani e del globo.

In molti
hanno messo da parte il tribunale, trovandolo lontano e deludente. Per alcuni, il tribunale
avrebbe fallito nel portare riconciliazione tra i popoli della regione poiché,
indirettamente, avrebbe permesso agli imputati di vestire i panni di eroi e
martiri per la patria, rinforzando di riflesso i diversi nazionalismi.
Per gli
schieramenti nazionalisti nella regione,
infatti, il Tribunale dell’Aja è stato un “tribunale politico”, imposto
dall’esterno per punire i propri “eroi” e di riflesso il popolo che li
sostenne. Non sorprende che questi vorrebbero che, messo da parte il tribunale,
ne venga eliminata anche l’eredità, una sporca macchia sulle mitologie
nazionali costruite in questi 25 anni. Proprio per questo vale la
pena ricordare cosa resta del Tribunale penale internazionale per
l’ex-Jugoslavia.
Per
l’umanità, una storia orale monumentale del conflitto in ex-Jugoslavia
Nel corso
dei suoi 25 anni
d’attività
, il tribunale ha accusato 161 individui in più di 70 casi
diversi, arrivando a condannarne 90. Durante i 10 mila e 800 giorni di
processo, 4.500 individui hanno testimoniato oralmente davanti alla corte,
producendo un totale di 2,5 milioni di pagine di trascrizioni. In molti casi importanti,
i giudici non sono riusciti a pervenire a una sentenza di colpevolezza “oltre
ogni ragionevole dubbio”. Le sentenze d’assoluzione, però, non
cancellano né l’esistenza del crimine né l’ampia documentazione storica e le
testimonianze raccolte.
L’eredità
più importante del tribunale sta proprio nell’enorme numero di testimonianze raccolte sul
conflitto. Purtroppo, quando si parla del Tribunale dell’Aja questo non
traspare, le storie degli “eroi nazionalisti” che sfidano la “giustizia
politica” vengono portate in superficie, catturano tutta l’attenzione. Invece, le
piccole storie delle vittime
che si sono recate all’Aja per testimoniare e degli imputati
che si sono dichiarati colpevoli, vengono spinte sullo sfondo, ignorate
completamente.
Le
piccole storie di vittime e colpevoli
Una di
queste piccole storie riguarda Dražen Erdemović, il
primo caso trattato dal TPIJ ed il primo in cui un imputato si è dichiarato
colpevole. Dra
žen Erdemović, originario di Tuzla nella Bosnia
centrale è figlio di una coppia mista e sposato con una ragazza serba. Erdemovi
ć si è consegnato volontariamente al tribunale dichiarando di volere
aiutare il tribunale a capire cosa era successo alle persone comuni come lui
durante la guerra.
All’epoca
dello scoppio del conflitto, Erdemovi
ć, dopo aver svolto il proprio
servizio militare a Belgrado, fu arruolato a Tuzla nel Consiglio Croato di
Difesa, qualche mese dopo ne fu espulso con l’accusa di avere simpatie
verso i serbi. Fa quindi ritorno in Republika Srpska per ottenere i documenti
per cercare asilo all’estero, ma non riuscirà ad attraversare la frontiera con
la Croazia. Rimasto bloccato, verrà arruolato come soldato semplice
nell’Esercito Serbo-Bosniaco. Nel luglio 1995, Dra
žen
Erdemovi
ć, all’epoca venticinquenne, si trova nel villaggio
di Branjevo, nei sobborghi di Srebrenica. Il 16 luglio 1995, nell’arco
di cinque ore, l’unità militare di cui era parte Erdemovi
ć giustizia e seppellisce i corpi di più di 1.200 uomini bosniaci
mussulmani che provengono a cadenze regolari da Srebrenica. Nei mesi
seguenti, torturato dal rimorso, Erdemovi
ć cerca di convincere i suoi
compagni di reparto a denunciare l’accaduto. Per questa ragione, un suo
commilitone gli spara, sopravvive e si consegna con l’aiuto di alcuni
giornalisti internazionali al Tribunale Penale Internazionale per
l’Ex-Jugoslavia.
Dopo
essere stato condannato a dieci anni di carcere, ridotti a cinque, Dra
žen
Erdemovi
ć ha cambiato identità, è entrato in un programma di
protezione testimoni e non potrà più far ritorno in Bosnia-Erzegovina. Dra
žen
Erdemovi
ć ha
testimoniato
in più di dieci processi e la sua testimonianza è stata
fondamentale per qualificare come genocidio il massacro di Srebrenica. Se
avesse taciuto, in quanto soldato semplice, Dra
žen Erdemović non sarebbe mai stato indagato né condannato. Se non ci fosse stato
il Tribunale Penale Internazionale per l’Ex-Jugoslavia, Dra
žen
Erdemovi
ć non avrebbe potuto raccontare la sua storia.
La storia
della testimone 87, una
ragazza bosniaco mussulmana originaria di Fo
ča, racconta un’altra faccia del
conflitto. Nel luglio 1992, la famiglia della testimone 87 viene catturata
dalle forze serbo-bosniache, uomini e donne vengono separati. La testimone 87
non vedrà mai più suo padre. Le donne furono invece rinchiuse in un hotel nei
sobborghi della città, dove le più giovani venivano regolarmente separate dal
gruppo per essere stuprate dai soldati. All’epoca del suo primo stupro, la
testimone 87 aveva 15 anni. Di tanto in tanto, oltre agli stupri notturni da
parte dei singoli soldati, le ragazze venivano portate in una scuola nelle
vicinanze per sistematici stupri di gruppo.
Infine,
la testimone 87 insieme ad altre giovani ragazze viene definitivamente
separata dal gruppo delle donne che stava all’hotel e spostata in diversi
appartamenti, gestiti come case chiuse da un gruppo di soldati. La testimone 87
visse con sollievo la separazione dalla propria madre dalla quale si sentiva
giudicata per gli stupri subiti. Nel febbraio ’93, la testimone 87 venne
comprata assieme ad un’altra ragazza da due soldati montenegrini e portata a
Podgorica, in Montenegro. A Podgorica, dove non c’era la guerra, le ragazze
passeggiavano per la città, lavoravano e venivano regolarmente violentate. Dopo
qualche mese, il 5 aprile 1993, le due ragazze si diressero verso la stazione
degli autobus e fuggirono.
La
testimonianza della testimone 87 e delle altre ragazze portò alla prima
condanna nel 2001 degli stupri di guerra come crimine contro l’umanità. Se non
per fare giustizia presso il Tribunale penale internazionale per
l’ex-Jugoslavia, la testimone 87 non avrebbe mai raccontato la sua storia. La
testimone 87 è solo una delle 20.000 donne ad aver
subito violenze sessuali durante il conflitto in ex-Jugoslavia.