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Arabia Saudita: anche l’economia ha bisogno delle donne

Lorena
Stella Martini, ISPI, 07 maggio 2018

Il 17
aprile 2018, l’Arabia Saudita è stata inclusa tra i membri del Consiglio
Esecutivo della Commissione Onu sullo status delle donne per il periodo
2019-2021. Secondo le dichiarazioni
dell’agenzia di stampa saudita, questa carica riflette un nuovo interesse del
regno per la questione femminile. In quale contesto si inserisce questa scelta?

È un periodo
di importanti cambiamenti per le donne in Arabia Saudita: gli ultimi mesi hanno
visto infatti un rapido susseguirsi di riforme la cui implementazione promette
di migliorare la condizione femminile nel paese, che a tutt’oggi occupa una
delle ultimissime posizioni del Global Gender Gap Index
(138/144). Se sembra difficile immaginare una rivoluzione di genere in un paese
dove la popolazione femminile storicamente e culturalmente ha un ruolo marginale,
almeno a oggi, è evidente che le riforme annunciate dal principe ereditario
saudita Mohammed Bin Salman – anticipate solo dalle cadenzate e certo meno
plateali misure intraprese nel decennio scorso da Re Abdullah – avranno un
immediato impatto sulla vita quotidiana delle donne saudite.
Dal punto
di vista mediatico, la riforma che più ha fatto scalpore è stata l’abolizione
del divieto di guida per le donne, che a partire da giugno 2018 potranno
finalmente condurre un’automobile. L’Arabia Saudita era rimasta l’ultimo paese
al mondo a mantenere questo divieto nei confronti della popolazione femminile,
scatenando fin dagli anni Novanta periodiche proteste da parte delle attiviste
locali, organizzate nella campagna “Women2drive”. Se le donne saudite
avranno ancora bisogno di un permesso del proprio wali – il tutore di sesso
maschile, rappresentato dal marito o da un parente – per spostarsi in auto, la
riforma costituisce una svolta importante per le donne saudite. Infatti, non
solo ne agevola la vita lavorativa, ma crea anche nuove opportunità
occupazionali nell’ambito delle scuole guida, o come chauffeuses a esclusivo
uso femminile. A favorire l’occupazione femminile contribuirà inoltre la
neo-introdotta possibilità di avviare attività imprenditoriali senza il
permesso del wali e di entrare a fare parte delle forze di sicurezza saudite,
per posizioni che non prevedono l’uso della forza.
Aperture
importanti anche in materia di costumi. Durante la sua prima intervista
a un’emittente americana, Bin Salman ha sostenuto che non vige in Arabia
Saudita nessun obbligo in materia di abbigliamento femminile, se non quello di
indossare “abiti pudici e rispettosi”, come d’altronde vale per gli
stessi uomini. Parrebbe cadere, dunque, il decennale obbligo di indossare il
tradizionale abaya nero, da sempre concepito nell’immaginario occidentale come
la “divisa” delle donne saudite. Nonostante permanga la segregazione
dei sessi nei luoghi pubblici – l’esempio più eclatante sono i ristoranti – le
donne possono ora partecipare a concerti e manifestazioni sportive, seppur
separate dal pubblico maschile.
Questa
ondata riformista si inserisce in un contesto di generale rinnovamento per
l’Arabia Saudita, inquadrato nella Vision 2030, avveniristica roadmap il cui
giovane e carismatico volto è proprio quello del principe ereditario Mohammed
Bin Salman. Lanciato nel 2016, questo trasversale progetto tocca aree e settori
differenti, dall’economia alla finanza, dalla politica alla società, con il
principale intento di aprire il paese agli investitori internazionali,
diversificarne l’economia e promuoverne una nuova immagine, più aperta e
moderna. Anche le donne sono coinvolte nella Vision 2030: tra i numerosi obiettivi
della famiglia regnante figura infatti lo specifico incremento dell’occupazione
femminile. Nella sezione
dedicata alle pari opportunità, le donne sono definite come una “grande
risorsa”: considerando che il 50% dei laureati in Arabia Saudita sono di
sesso femminile, il governo si impegnerà per “continuare a sviluppare i
loro talenti, investire nelle loro capacità produttive e dare loro
l’opportunità di rafforzare il proprio futuro e contribuire allo sviluppo
socio-economico”. Perché le donne saudite possano appunto partecipare
attivamente alla crescita del paese, e dare un quasi inedito contributo
femminile al sostentamento delle famiglie in un sistema economico che mira ad
allontanarsi sempre più dalla logica del rentier state – si parla infatti di de-oilification
–, risulta essenziale concedere loro le libertà e i diritti necessari: le
riforme pubblicizzate da Bin Salman sono dunque immediatamente strumentali allo
sviluppo economico locale saudita. Le innovative misure promosse in ambito di
diritti femminili servono indirettamente anche la logica dell’attrazione degli
investimenti esteri e dell’apertura dell’economia saudita al mercato globale:
se l’Arabia Saudita vuole davvero intraprendere un nuovo corso a livello
economico e delle relazioni internazionali, non può prescindere dal rivedere
l’immagine conservatrice del paese.
Come sono
stati accolti i venti di cambiamento all’interno del regno? Per rispondere a
questo interrogativo bisogna innanzitutto tenere in considerazione il fatto che
la popolazione del regno è estremamente giovane. Bin Salman, nella prospettiva
di guidare il regno, sta cercando di accattivarsi le simpatie e il consenso dei
propri sudditi
più della metà dei quali ha oggi meno di 25 anni
con l’obiettivo di essere identificato con il nuovo corso dell’Arabia Saudita,
senza però allontanarsi dai valori delle tradizione islamica. D’altra parte,
non è escluso che questo nuovo corso possa creare dissensi in seno alle frange
più tradizionaliste della società e agli ambienti religiosi wahabiti più
conservatori. Finora, i dotti religiosi riuniti nel Consiglio degli Ulema hanno
avallato le riforme di Bin Salman. Tuttavia, resta da vedere se per
condivisione della linea di MbS o per la difficoltà di dissentire, considerato
che essi sono designati direttamente dal sovrano. Se è difficile comprendere a
pieno come tali riforme siano realmente accolte dalle diverse componenti della
popolazione in un paese in cui le voci di dissenso non hanno spazio, un recente
sondaggio
promosso da Arab News e YouGov ha rilevato che solo il 23% della popolazione
(18% delle donne e 29% degli uomini) si oppone alle donne al volante; tra
questi, il 36% sostiene che tale apertura sia estranea alle tradizioni
culturali locali, e il 31% che sia contraria ai precetti islamici.
Anche se
è indubbio che le riforme di Bin Salman costituiscano un segnale positivo in un
paese ultraconservatore, resta da vedere quale sarà la loro effettiva portata.
Così come sostenuto da numerose organizzazioni per la difesa dei diritti umani,
è importante che il clamore provocato da queste riforme non contribuisca a fare
passare sotto
silenzio le forti restrizioni delle libertà e diritti individuali all’interno
del paese
.