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✊ SPECIAL NAKBA _ 70 anni sono tanti, ma la Palestina deve nascere e nascerà Di questi 70 anni della proclamazione dello Stato d’Israele e della Nakba ne parliamo con un diplomatico di alto rango all’Ambasciata Palestina in Italia

Di Jeta Gamerro, L’Indro, 11
maggio 2018

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 palestinesi uccisi dalle Forze Armate israeliane dall’inizio, il 30
marzo, del movimento di protesta denominato la ‘Grande marcia del ritorno’. 

Il
bilancio potrebbe aggravarsi nelle prossime ore. Una ‘marcia’, di speranza da
parte palestinese, e di proiettili, da parte israeliana, che si dovrebbe
concludere il 15 maggio, il ‘Giorno della Nakba’, il giorno dopo i
festeggiamenti dello Stato d’Israele per il 70” anniversario della
proclamazione dello Stato, il 14 maggio. Un anniversario per Benjamin Netanyahu
particolarmente di successo per la sua politica, visto che gli USA di Donald
Trump hanno deciso che proprio quel 14 maggio segnerà il trasferimento
dell’Amasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, azione che riesce (o almeno di prova)
mandare in frantumi decenni di lavoro diplomatico e di difficile trattativa per
una convivenza pacifica tra israeliani e palestinesi.
Nell’Ambasciata
di Roma in Palestina non hanno molta voglia di parlare, l’Ambasciatrice  Mai AlKaila
è fuori sede, in Palestina, ci dicono, per seguire gli eventi. Il personale è
gentile, e anche i non italiani parlano perfettamente l’italiano e sono
assolutamente squisiti con i giornalisti che desiderano fermarsi per una
riflessione. Molto attivismo da parte delle istituzioni italiane c’è stato
nelle settimane scorse in prospettiva della celebrazione israeliana, molto poco
invece si è parlato del loro anniversario, il Giorno della Nakba  (‘catastrofe‘):
che ricorda la cacciata dalle proprie abitazioni di centinaia di migliaia di
persone e la mancata fondazione di un proprio Stato autonomo. Data che rimanda
al 15 maggio 1948 quando inizia la prima guerra arabo-israeliana, persa l’anno
successivo.
In Ambasciata non hanno voglia di parlare di quell’evento che formalmente aprì
la strada alla catartica affermazione ‘questione palestinese‘, che è stata
sullo sfondo della politica mediorientale per tutti questi decenni. L’Occidente
come il mondo arabo hanno ‘usato‘ la questione palestinese, ciascun Paese,
ciascuna forza per i propri interessi. Se si avanza loro “ma non vi sentiti
‘sfruttati’ dal mondo arabo?”, cambiano discorso, eppure questa
‘strumentalizzazione’ è entrata nella psicologia dei palestinesi e delle nuove
generazioni, e in qualche modo nel linguaggio politico-diplomatico occidentale.
In
Ambasciata sono molto ben disposti, chi risponde alle nostre domande è un
diplomatico di alto rango, che sceglie l’anonimato e non si è sottratto a
nessuna delle nostre domande, dopo averci chiarito che il suo ruolo non poteva
autorizzarlo a rispondere circa lo ‘sfruttamento’ della questione palestinese.
14 maggio
1948 proclamazione dello Stato d’Israele: come si sente di raccontare questi 70
anni di travaglio palestinese?
Si tratta
proprio di 70 anni di sofferenze del popolo palestinese, perché diversi milioni
di palestinesi vivono tutt’ora nei campi profughi in condizioni disumane;
mentre altri milioni vivono sotto un’occupazione brutale che li ha privati di
qualsiasi diritto. Per questo diciamo che bisogna mettere fine a questa
occupazione e cominciare a rispettare la legalità applicando il diritto
internazionale.
Quale
l’opinione che l’Autorità Nazionale Palestinese ha della Marcia del Ritorno
voluta da Hamas? quanto politicamente è servita oppure è stata dannosa?
Vogliamo
ribadire, innanzitutto, che la Marcia del Ritorno non è stata voluta da Hamas
ma da tutte le forze politiche palestinesi e soprattutto dai giovani della
società civile palestinese. La valutiamo positivamente perché ha voluto
pacificamente ricordare a Israele e a tutto il mondo che c’è un popolo in
attesa di una soluzione relativa al proprio diritto al ritorno, che dopo 70
anni non è ancora arrivata.
14 maggio
2018 gli Stati Uniti trasferiscono l’Ambasciata a Gerusalemme. Si sente di fare
autocritica su quali sono stati gli errori che sono stati compiuti da parte
palestinese che hanno portato gli USA a decidere in questo senso?
Con la
decisione del Presidente Trump di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele,
l’Amministrazione statunitense si è smascherata come alleata politica e
protettrice strategica di Israele, non certo perché la leadership palestinese
abbia commesso degli errori.
Altro
brutto colpo credo sia stato quello del ‘Giro d’Italia’. Come avete vissuto
questa vicenda e la Farnesina cosa ha fatto e cosa non ha fatto e che avrebbe
potuto fare?
Per la
prima volta nella sua storia il Giro d’Italia è partito al di fuori dei confini
europei. Tra tanti posti è partito proprio da Israele. Una decisione che il
popolo palestinese ha condannato e che ha presto rivelato una
strumentalizzazione politica di questo evento da parte di Israele. Tel Aviv in
questo modo ha cercato di tingere di rosa la sua politica di occupazione della
Palestina e di legittimare la propria annessione unilaterale di Gerusalemme Est
presentando la città come capitale indivisibile di Israele.
E gli
errori che in questi 70 anni i palestinesi hanno fatto che hanno
allontanato la pace?
La
leadership del popolo palestinese ribadisce da lunghissimi anni la propria
volontà di giungere a una pace giusta e duratura nella regione e nel mondo, a
condizione che vengano rispettate le risoluzioni dell’ONU e del suo Consiglio
di Sicurezza così come, in generale, il diritto internazionale. L’unico
responsabile del fallimento del processo di pace è il Governo di Israele.
Molti tra
coloro che molto fermamente in tutti questi anni hanno sostenuto la soluzione
dei due Stati hanno abbandonato questa speranza. Quali sono le motivazioni per
le quali continuare invece a crederci e lottare per questo?
Noi
crediamo, semplicemente, che la soluzione dei ‘Due popoli, due Stati’ sia
l’unica attuabile. Non vediamo, all’orizzonte, altre soluzioni possibili.
In queste
settimane si è temuto lo scontro Israele-Iran, e non pare che questo timore
possa essere agevolmente allontanato. La Palestina si troverebbe nuovamente nel
mezzo di una guerra. Quali i vostri timori e quale l’analisi che voi fate della
tensione Israele/Iran?
Purtroppo
l’atmosfera nella regione si sta scaldando, con la minaccia reale di una nuova
guerra. Da parte nostra, respingiamo in tutti i casi qualsiasi provocazione che
possa portare ad una guerra, perché questa rappresenterebbe una nuova
catastrofe non solo per la regione ma per tutta l’umanità.
Avete
ricusato gli USA come mediatori. Chi resta in campo per mediare una soluzione?
Pensate davvero che medie potenze possano avere la capacità di una mediazione
che viene da 70 anni di fallimenti?
Non
riteniamo che gli USA possano essere dei mediatori per via del loro netto
schieramento a favore di Israele, che viola il diritto internazionale. Crediamo
invece che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Europa e la
Federazione Russa, la Cina e altre potenze mondiali possano e debbano
adoperarsi per cercare una soluzione nell’ambito di una conferenza
internazionale seria e concreta che riesca in questo scopo nel rispetto della
legalità internazionale.
L’Europa
così come si è affermata negli ultimi anni con i populismi, i sovranismi che
crescono come cresce la disaffezione alla politica, pensate davvero che possa
ancora interessarsi costruttivamente con uno slancio fattivo alla questione
palestinese?
L’Europa
è da sempre a favore dell’applicazione delle risoluzioni dell’ONU, che
prevedono la creazione di uno Stato palestinese nei Territori Occupati da
Israele nel 1967 con Gerusalemme Est capitale. L’Europa può avere un ruolo
molto importante in tal senso.
Non
temete che la questione palestinese possa essere messa in soffitta insieme alla
globalizzazione e all’universalismo?
Sono 70
anni che Israele tenta di mettere in soffitta la questione palestinese, ma non
ci è riuscito e non ci riuscirà mai, finché ci sarà un popolo che insiste,
lottando, per vedere riconosciuti i propri legittimi diritti.
Si
sostiene da alcuni settori che l’OLP sia di fatto da rifondare e che la
leadership molto anziana non sia adeguata ai tempi. Le chiedo di rispondere a
questo rilievo. E però Le chiedo anche: c’è una giovane leadership in crescita
oppure, come ci sembra, non c’è un ricambio generazionale in vista e i giovani
sono ben lontani dalla lotta politica così con l’OLP l’ha incarnata in questi
ultimi decenni?
Questa
leadership è stata eletta dal popolo palestinese. Accanto ad essa sta crescendo
una giovane generazione che formerà la futura leadership. Si tratta di una
generazione che in tutti questi anni di lotta e in particolare in queste ultime
settimane ha dimostrato di essere dentro l’agone politico e di non essersi mai
allontanata dalle lotte del suo popolo.
Si può
pensare che la vicenda del ‘Giro d’Italia’ sia un caso ‘politico’ costruito e
gestito dai poteri forti economici italiani legati alle lobby pro-Israele e che
alle istituzioni – Governo italiano e Anp – è solo piombato sulla testata e se
lo sono trovati da dover in qualche modo gestire senza né volerlo né avere
effettivamente la forza politica per poterlo controllare?
Come
abbiamo già detto, intorno al Giro ruotano interessi politici oltre che
economici. Il Governo israeliano ha sottolineato esplicitamente la coincidenza
temporale di questo prestigioso evento sportivo con il 70esimo anniversario
della creazione di Israele nel 1948, che per il popolo palestinese ha
rappresentato la Nakba, la ‘catastrofe’ di un intero popolo. Cedendo alle
pressioni politiche di Israele per quanto riguarda la denominazione della tappa
di ‘Gerusalemme’, gli organizzatori del Giro d’Italia hanno assecondato una
pretesa di annessione condannata da diverse risoluzioni delle Nazioni Unite,
assumendosi una responsabilità politica che non solo non gli competeva, ma
differiva dalla posizione politica espressa ufficialmente dalla comunità
internazionale, compreso lo Stato italiano. Inutile dire che per realizzare un
evento di pace avrebbero dovuto quantomeno consultare la parte palestinese.
Chi sono
oggi in Italia gli amici della Palestina (intendo sullo scenario politico e
quello economico) e cosa attendete dall’Italia?
Gli amici
della Palestina in Italia sono tanti. Per decenni il popolo italiano e i
diversi governi che si sono succeduti hanno sostenuto il popolo palestinese a
tutti i livelli. Per questo ringraziamo l’Italia e ci aspettiamo che mantenga i
rapporti di amicizia e di buon vicinato al servizio di una pace giusta nella
regione e nel Mediterraneo. In particolare, ci aspettiamo che riconosca
finalmente lo Stato di Palestina, come previsto da una mozione approvata dal
Parlamento italiano già nel 2015.
Lei non è
un futurologo, certo, ma certamente ha tutte quelle informazioni di prospettiva
per poter ragionare e ‘immaginare’ il futuro della Palestina. Le chiedo: che
sarà la Palestina tra 10 anni? (mi riferisco alla demografia, all’economia,
alla società, alla psicologia del popolo, all’urbanistica)
La
Palestina e il suo popolo hanno la capacità e gli strumenti per creare uno
Stato avanzato e democratico che possa vivere in pace e con dei buoni rapporti
con tutti. Lo Stato di Palestina deve nascere e nascerà con il sostegno di
tutti gli amanti della pace e della giustizia nel mondo.