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Lo scetticismo della stampa siriana per l’intervento occidentale

Catherine
Cornet
, Internazionale, 19 aprile 2018

Le
opinioni sugli attacchi agli impianti di armi chimiche in Siria sono abbastanza
unanimi, in un paese altrimenti frammentato dalla guerra: sia per il regime sia
per l’opposizione sono state solo azioni di corto respiro. Altro sentimento
condiviso è che i siriani sono più che mai trattati come “dettagli”
nell’equazione internazionale. 
I resti
di un missile a Duma, in Siria, il 16 aprile 2018.
(Omar Sanadiki,
Reuters/Contrasto)

I mezzi
d’informazione del regime


Le televisioni e le radio di stato si riferiscono all’attacco di Stati Uniti,
Francia e Regno Unito come alla “tripla aggressione”, in ricordo della crisi di
Suez nel 1956 – quando la Francia, il Regno Unito e Israele attaccarono
l’Egitto guidato da Gamal Abd el Nasser – rimasta come triste memoria
nell’intero mondo arabo in quanto simbolo del potere coloniale.
In
particolare, gli Stati Uniti sono “stati messi sotto pressione e pagati dai
petrodollari e da qualche politico pazzo, anche se manca qualsiasi prova
dell’uso di armi chimiche da parte dell’eroico esercito siriano arabo”, afferma il
Syria Times
. Il giornale di regime anglofono – destinato
all’opinione pubblica internazionale – cita la giornalista freelance
dell’Associated Press Dale Gavlak, che avrebbe assicurato che sono stati “i
terroristi della Ghuta a usare armi chimiche”. Già nel 2013 Dale Gavlak negava
di aver scritto tali accuse, ma viene spesso citata – con virgolettati
inventati – dalla stampa di regime, come spiega lei
stessa al New York Times
.
L’agenzia
di stampa di stato Sana racconta la battaglia
nella Ghuta mostrando scene di gioia e liberazione: un video
dal titolo “Un’enorme manifestazione nel giorno dell’indipendenza e della
sconfitta del terrorismo” fa vedere balli e canti di scolaresche a Damasco
mentre altri video mostrano gli abitanti di Duma “ritrovare una vita normale
dopo la liberazione dai terroristi”.
La stampa
di opposizione

Per la stampa di opposizione online non c’è invece alcun dubbio sull’impiego di
armi chimiche. Il
settimanale Souriatna
ritrae in una vignetta Bashar al Assad come un
mezzo diavolo con il sangue alla bocca, la spilla con il simbolo delle armi
chimiche sulla giacca e la valigetta da negoziatore in mano.
Un altro
settimanale di opposizione, Hibrpress,
mette in copertina il collo di Assad con il segno di uno schiaffo dato da
Trump: Mounira Baloush scrive da Aleppo che con questi attacchi “la montagna ha
partorito un topolino”. L’articolo rende l’idea della fatica siriana: “La scena
si è illuminata per qualche ora e si è spenta molto velocemente con il minimo
di perdite possibile. Il sipario del teatro siriano si può chiudere di nuovo,
fino alla prossima volta, quando Assad userà le armi chimiche contro un’altra
città”.
La
propaganda del regime aggiunge l’offesa alla sofferenza
Nasser al Sahli scrive su Al Araby che la
controinformazione di guerra del regime aggiunge l’offesa alla sofferenza. In
particolare, secondo Sahli, la propaganda dell’alleato russo è inammissibile:
“La sofferenza del popolo siriano è sempre definita come ‘falsa’, i bambini che
soffocano sotto i gas sono ‘fabbricazioni’ dei ‘terroristi’”. Sahli aggiunge:
“I russi sono abituati ai metodi sovietici e a quelli della Corea del Nord e il
portavoce del ministro della difesa a Mosca la settimana scorsa è anche riuscito
a vantarsi di ‘aver provato oltre 200 armi in Siria’”.
Il fatto
che i siriani siano diventati dei “dettagli” nell’equazione internazionale è
drammatico. L’intellettuale e giornalista libanese Hazem Saghieh su Al Hayat rammenta che il Medio Oriente
è diventato un campo di battaglia dove si susseguono “aggressioni” seguite da
“vittorie”, perché la regione è considerata solo come un oggetto di
geopolitica, un terreno di scontro tra forze regionali:
Questo è
il punto: Bashar al Assad ha vinto contro l’”aggressione” e si prepara a una
“vittoria” certa. Dopo l’”aggressione”, gli israeliani si impegnano a
rispettare “i diritti dei siriani in Siria”… Naturalmente, non è la prima volta
che la Siria o i siriani vengono considerati come dettagli.
Attacchi
simbolici e politici

Se per un certo tipo d’informazione gli attacchi sono stati solo “simbolici”, per il quotidiano Al Quds al Arabi
sono invece un “assegno in bianco per Assad” poiché questi attacchi mirati gli
consentono di poter continuare a bombardare i siriani con armi convenzionali:
La cosa
più pericolosa di questi attacchi simbolici è il messaggio che danno al regime
siriano. Dicono che uccidere il proprio popolo con armi chimiche è il solo
tabù, l’unica linea rossa, e che così li può uccidere con tranquillità, ma con
altri tipi di armamenti. Il mondo vedrà così nuovi massacri. Sono passati sette
anni, durante i quali è stato ucciso mezzo milione di siriani mentre otto
milioni di siriani sono sfollati in Siria e nel mondo. La sopravvivenza di un
dittatore come Bashar al Assad dopo tutto quello che è successo, dopo tutta la
devastazione che ha provocato, dopo tutti gli assassini commessi, è anche un
vero incubo per tutti i popoli del mondo che potrebbero sognare la liberazione
e l’emancipazione.
Ennab Baladi, un altro giornale di
opposizione siriana è più ottimista: “Gli attacchi non sono stati militari ma
politici e accompagnati dall’idea di cercare una soluzione politica in Siria.
Ci sono stati numerosi incontri tra i diplomatici dei tre paesi in questi
giorni. Gli europei stanno provando a non lasciare la Russia da sola in Siria e
a forzarla a tornare al tavolo dei negoziati di Ginevra”.
Il
parallelo con la Palestina

Tanti editoriali vedono ormai un parallelo, in particolare sulla questione dei
rifugiati, con la Palestina e l’esodo del 1948. Nel giorno di festa per
l’”indipendenza” della nazione siriana, Ennab Baladi chiede: “Di
fronte alla ripartizione del paese tra tutte le forze straniere, quando
parliamo di Siria, di quanti stati parliamo esattamente?”. Per la stampa di
opposizione siriana, quello che conta oggi è raccontare la tragedia degli
spostamenti di popolazione in atto dopo ogni vittoria del regime e il ricordo
della nakba, l’esodo palestinese. In un lungo reportage intitolato “Il viaggio
della morte”, Ennab Baladi ha seguito gli sfollati di Duma e racconta l’inferno
del ricollocamento: “Le città siriane sono state svuotate della loro
popolazione e le campagne sistematiche di spostamento stanno cambiando per
sempre la storia e la demografia di questo paese” e questo “è ancora più
preoccupante dell’uso delle armi chimiche”.