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L’esercito dell’India è un colabrodo

Il Post, 8
aprile 2018

È il
quinto paese che spende di più al mondo nella difesa, ma ha armi ed
equipaggiamenti vecchissimi e una struttura inadeguata
Tauseef
Mustafa/AFP/Getty Images

 

Nel
budget annuale pubblicato lo scorso febbraio, l’India ha stimato che le spese
per la propria difesa quest’anno ammonteranno a 62 miliardi di dollari: più del
Regno Unito, il paese che un tempo controllava il subcontinente indiano, e più
di qualsiasi altro stato al mondo tranne la Cina, gli Stati Uniti, la Russia e
l’Arabia Saudita. Per numero di soldati e mezzi militari, dalle navi agli
aerei, l’India è tra le prime cinque nazioni al mondo. È anche la seconda per
numero di abitanti, con oltre 1,3 miliardi di persone. Ma le forze armate
indiane, impegnate in conflitti territoriali con il Pakistan e la Cina e a
guadagnare sempre più controllo sull’Oceano Indiano, sono probabilmente le
peggio attrezzate tra quelle delle grandi potenze mondiali, ha raccontato
l’Economist.
Nel 1998
l’India ha annunciato di aver sviluppato armi nucleari, ha sviluppato un
sistema di missili terra aria da crociera e sta perfezionando missili
sottomarini intercontinentali. Dal 2014, cioè da quando governa il primo
ministro Narendra Modi, la sua politica estera è più aggressiva: l’estate
scorsa ha sfiorato una guerra con la Cina per una disputa al confine sull’Himalaya.
Da marzo però è cominciato un dibattito pubblico sulle condizioni
dell’esercito, dopo che i suoi capi hanno testimoniato davanti a un comitato
parlamentare della Difesa riportando la situazione aggiornata. Il comitato ha concluso
che l’esercito, l’aeronautica e la marina non hanno fondi sufficienti per
combattere una guerra intensiva di appena dieci giorni. Il budget destinato
alla modernizzazione delle forze armate, l’equivalente di circa 2,5 miliardi di
euro, è a malapena sufficiente a ripagare i debiti dell’anno precedente.
Il 68 per
cento dell’equipaggiamento delle forze armate può essere descritto come
“vintage”. Secondo il rapporto dei suoi capi, ci sono ancora armi che erano
state fornite dall’Unione Sovietica, come vecchi tank BMP-2 risalenti agli anni
Ottanta e veicoli antiaerei Shilka progettati negli anni Sessanta. Gli aerei
utilizzati sono ancora MiG-21, progettati per la prima volta negli anni
Cinquanta, e i programmi per costruire nuove navi militari sono in ritardo di
anni. Soltanto l’8 per cento dell’equipaggiamento è avanzato, hanno detto i
capi delle forze armate.
Per
quanto riguarda i fucili, come ha spiegato
il sito Scroll.in, l’India usa ancora gli Indian Small Arms System
(INSAS), introdotti per la prima volta nel 1988 dopo che l’esercito indiano era
stato sbaragliato dalla potenza tecnologica degli AK-47 dell’esercito cinese
nella guerra del 1962, e dei rivoluzionari cingalesi delle Tigri Tamil nella
guerra civile in Sri Lanka nel 1987. I fucili INSAS oggi sono superati e
nettamente inferiori a quelli usati dagli eserciti rivali. L’India prova a
sostituirli dal 2011, ma non ha ancora trovato il modo, principalmente perché
il settore indiano della progettazione di armi, ancora affidato all’industria
pubblica, è molto arretrato. Nonostante in termini assoluti il budget per la
difesa continui ad aumentare, diminuisce la sua percentuale rispetto al
prodotto interno lordo, e soprattutto la percentuale delle spese per le forze
armate destinate alla manutenzione e al miglioramento delle proprie strutture e
degli armamenti.
Il
dibattito intorno all’esercito non ha riguardato solo l’inadeguatezza delle sue
attrezzature, ma anche la sua gestione operativa degli ultimi anni. Nonostante
le sempre maggiori pressioni sul Pakistan, ha spiegato l’Economist, le
violazioni territoriali in Kashmir nel 2017 sono state 860, rispetto alle 152
del 2015: questo ha provocato un aumento dei morti negli scontri, senza che la
soluzione del conflitto fosse più vicina. Una cosa simile è successa con la
Cina, i cui sconfinamenti oltre i territori contesi nel Buthan e nell’Himalaya
sono aumentati da 273 nel 2016 a 426 nel 2017.
Il
problema in parte è che l’India non sta applicando la stessa perseveranza e
astuzia della Cina: adottando un approccio meno strategico e lungimirante, sta
perdendo influenza anche in zone dove il suo predominio non era mai stato
seriamente messo in discussione, come le Maldive o il Nepal. In parte c’entra
anche la macchinosa divisione territoriale delle forze armate indiane,
suddivise in 17 diversi comandi regionali tra esercito, marina e aeronautica:
la Cina, dopo una recente riforma, ne ha solo cinque.
Agli
stessi tre rami delle forze armate spesso manca una strategia comune, con il
rischio di finire a ostacolarsi a vicenda, ha spiegato
il generale Philip Campose sul sito del think thank ORF. Secondo l’Economist, a
rallentare i tentativi di riforma è anche il fatto che il ministero della
Difesa è mandato avanti soprattutto da burocrati senza una vera conoscenza
delle forze armate. Secondo Campose, la quantità di civili che lavorano per il
ministero è tra le principali questioni da riformare per arrivare a
un’ottimizzazione del budget.
L’India
non fa parte di nessuna grande alleanza militare, e deve autonomamente
garantire l’integrità dei propri confini e assistere la popolazione civile, il
tutto minacciata da due potenze nucleari confinanti con cui ha antiche
tensioni. E da decenni ha a che fare con un terzo fronte, oltre a quello
Settentrionale e a quello Occidentale: la guerriglia
ribelle del Jammu e Kashmir
, per il quale è stato creato
appositamente un corpo militare, i Rashtriya Rifles. L’imprevedibilità di
questo terzo fronte, unito all’equipaggiamento inadeguato, alle mancanze nel
budget e al ritardo delle forze armate indiane nell’adattarsi a nuovi tipi di
guerra, ha influito sull’efficienza della difesa indiana.