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Il traffico sessuale nella Georgia post-sovietica

Giulia
Tempo, East Journal, 24 aprile 2018

Il
traffico di esseri umani è un fenomeno in crescita rispetto ai decenni passati:
da alcune stime condotte nel 2014 risulta che, ogni anno, fino a 27 milioni di
persone potrebbero esserne coinvolte (Castles, de Haas e Miller, 2014).
All’interno di questa categoria, il traffico per scopi sessuali sta a sua volta
crescendo e le Nazioni Unite rilevano
come l’87% dei casi di traffico di esseri umani comporta in qualche misura
delle forme di sfruttamento sessuale.

Nello spazio
post-sovietico, all’indomani del crollo dell’URSS, il traffico di esseri umani
ha subito un notevole incremento. Come ha affermato la studiosa russa Yuliya
Tverdova in un’analisi del 2010, “dopo la caduta del regime sovietico, gli
stati post-comunisti hanno rapidamente conosciuto il volto moderno della
schiavitù”. In particolare, le principali vittime del traffico sono le donne
– che costituiscono tra l’80 e il 90% del totale (Allahverdieva, 2009).
Il
contesto georgiano
I dati
che riportano i casi di traffico sessuale nella Georgia post-sovietica indicano
la scomparsa di centinaia di ragazze e donne ogni anno. Numerose georgiane –
alcune delle quali giovanissime – sono state salvate da condizioni di
sfruttamento sessuale alle quali erano state sottoposte in Europa occidentale,
Israele e negli Stati Uniti. Il report stilato dal Dipartimento di Stato
americano per il 2017-2018 sottolinea inoltre che molte donne vengono condotte
dalla Georgia in Turchia, in Cina e negli Emirati Arabi Uniti. Spesso vengono
loro offerti lavori come cameriere e badanti ma, una volta all’estero, le
ragazze vengono private dei loro documenti, del cellulare e costrette a prostituirsi.
In alcuni casi trovano effettivamente un impiego all’interno di bar e hotel, ma
spesso viene loro imposto dai datori di lavoro di offrire prestazioni sessuali
ad alcuni clienti.
Al tempo
stesso, l’espansione e l’internazionalizzazione di alcune organizzazioni
criminali georgiane nel corso degli anni Novanta ha facilitato l’estensione
della tratta di esseri umani facendo della Georgia un paese di origine del
traffico. A metà degli anni Duemila, in Spagna e in Belgio vennero trovate
delle cellule alle quali afferiva il traffico sessuale proveniente dal Caucaso:
si trattava di nuclei operativi diretti da trafficanti georgiani, che
reclutavano le ragazze in patria e le convincevano a recarsi all’estero con la
promessa di un impiego ben retribuito (Shelley et al., 2007).
La
Georgia, tuttavia, è sempre più spesso anche un paese di destinazione e di
transito per il traffico sessuale. Il Dipartimento di Stato americano riporta
il caso delle donne azere convinte a recarsi in Georgia e poi costrette a
prostituirsi in bar, casinò, hotel e saune nella regione turistica di Adjara,
al confine con la Turchia. Inoltre, molte delle ragazze che vengono trafficate
in Georgia – alcune delle quali provengono dalla confinante Armenia – sono in
realtà trasferite in Turchia (Iselin, 2007). Dai dati riportati dall’OSCE
nel 2014 emerge anche un altro percorso seguito dai trafficanti: le ragazze
reclutate all’estero vengono condotte a Batumi (nel sudovest della Georgia) e
da lì vengono portate in Turchia o negli Emirati Arabi Uniti.
L’influenza
del crollo dell’URSS
L’incremento
del traffico sessuale in Georgia dopo il triennio 1989-1991 induce a ipotizzare
che la caduta del regime abbia avuto una qualche influenza – in modo diretto o
indiretto – sul fenomeno. Con l’ascesa al potere di Mikhail Gorbachev nel 1985,
iniziò un processo di graduale apertura, di cui sono espressione emblematica la
Perestrojka e la Glasnost, destinato a mutare radicalmente le condizioni
politiche e sociali nello spazio sovietico. I poteri del partito comunista
vennero arginati, si diede spazio all’ascesa di una parziale opposizione
politica e – da un punto di vista socioculturale – si fecero strada molti
valori occidentali con cui i cittadini dell’URSS non erano ancora familiari.
Fino ad allora la legislazione comunista era stata severa in relazione alla
libertà sessuale: nelle parole di Elena Omelchenko: “il sesso e la
sessualità venivano espropriati a beneficio dello stato” e la prostituzione era
stata in gran parte sradicata da Stalin. Recarsi all’estero era difficile,
costoso e ottenere un visto poteva richiedere molto tempo. Il traffico sessuale
in Georgia, pertanto, stentò a prendere piede fino alla fine degli anni Ottanta
– poiché manca il contesto sociale, nonché la concreta possibilità per i
trafficanti di oltrepassare facilmente i confini.
Alla fine
del decennio divenne sempre più difficile controllare e arginare le migrazioni
irregolari e la tratta di esseri umani. Come definito in un rapporto della International
Organization for Migration (IOM, 2008), i confini divennero “porosi” e le
organizzazioni criminali georgiane ebbero modo di svilupparsi, di acquisire
nuovi contatti all’estero e di mettere in piedi una fitta rete internazionale
per il reclutamento, il traffico e lo sfruttamento di migliaia di giovani
donne. A questo scopo, pertanto, non contribuì solo l’ammorbidimento dei
controlli e della legislazione contro la prostituzione nello spazio
post-sovietico, ma anche un aspetto in sé carico di risvolti positivi come la
crescente facilità di viaggiare, di attraversare confini un tempo impenetrabili
e di recarsi all’estero.
Sarebbe
tuttavia semplicistico annoverare il crollo dell’Unione Sovietica tra le cause
del traffico sessuale in Georgia. Non si può infatti parlare di un rapporto di
causa-effetto e si tratta di un fenomeno ben più complesso, nel quale
intervengono la guerra civile georgiana, l’interesse personale dei trafficanti
e il desiderio di molte ragazze di trovare un impiego remunerativo all’estero.
È tuttavia possibile ritenere che il processo di graduale apertura avviato
nella seconda metà degli anni Ottanta, in Georgia, abbia contribuito a creare
un terreno fertile nel quale ha avuto modo di radicarsi, crescere ed espandersi
il traffico sessuale.