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Il ‘grande ritorno’ di Hamas da Gaza verso Israele

Di Stefania
Severini, L’Indro, 30 marzo 2018

Dall’inizio
della manifestazione per la ‘Giornata della Terra’ si contano 6 palestinesi
uccisi e la protesta è ancora al suo primo giorno

Il 30
marzo del 1976 le autorità israeliane decisero di espropriare circa 5.250 acri
di terre della Galilea: l’esercito venne allora inviato in tre Paesi (Sachin,
Arraba e Deir Hanna) per tenere a bada le proteste da parte dei palestinesi che
scaturirono a seguito di questa decisione. Ne nacque una violenta repressione
che portò alla morte di 6 persone e centinaia di feriti: per commemorare le
vittime degli scontri e per continuare a protestare contro le politiche
colonialiste israeliane, ogni anno i palestinesi celebrano ‘The Land Day’.
Quest’anno,
le manifestazioni in occasione della Giornata della Terra si prevedono più
rischiose del solito anche per il fatto che non si limiteranno alla sola
giornata di oggi, ma proseguiranno per altre sei settimane, fino al 15 maggio,
in cui si ricorderà da una parte – quella palestinese – la ‘naqba’ ovvero la
‘catastrofe’ a seguito della quale in migliaia furono costretti a fuggire dalle
loro terre, dall’altra invece – quella palestinese – il settantesimo
anniversario (il 14 maggio) dalla nascita dello Stato di Israele.
A capo di
questa ‘grande marcia di ritorno’, così com’è stata chiamata per simbolizzare
il ritorno dei palestinesi nelle loro terre, c’è Hamas che ha di fatto creato
una tendopoli nella zona della striscia di Gaza al confine con Israele. Le
dimostrazioni hanno preso inizio dopo la preghiera delle 12 di oggi e sono
previste delle navette per portare manifestanti provenienti da tutta Gaza
proprio sul luogo della protesta, ma si è avuta la notizia di una prima vittima
già intorno alle 7 di questa mattina, quando un giovane agricoltore palestinese
di 27 anni sarebbe stato ucciso nel sud di Gaza da alcuni colpi
dell’artiglieria israeliana. “La realtà di Gaza è una realtà diversa da quella
della West Bank: intanto perché è stata abbandonata, liberata sì
dall’occupazione israeliana ma gli israeliani ne controllano tutt’ora tutti i
confini esterni” ci spiega Eric Salerno, giornalista e scrittore, esperto di
questioni africane e mediorientali. “Da tener presente anche che sul confine,
dalla parte interna (dalla parte di Gaza) è stata creata già da anni una sorta
di terra di nessuno, un’ulteriore ‘striscia’ di 700 metri in cui non dovrebbero
arrivare i palestinesi, né quelli buoni né quelli cattivi e nemmeno i
combattenti.”
Questa
manifestazione potrebbe sembrare, di fatto, l’ennesimo pretesto da parte
palestinese di arrivare ad un nuovo conflitto, anche se le intenzioni
dichiarate di Hamas sarebbero solo quelle di manifestare per richiamare
l’attenzione sulla situazione di centinaia di migliaia di abitanti di Gaza, i
cui parenti sono fuggiti o sono stati costretti ad abbandonare le loro
abitazioni durante la guerra del 1947-1948. Dal loro canto, gli israeliani
fanno sapere di voler evitare di fare vittime e di usare in ogni caso la forza minima
per poter rispondere ad eventuali attacchi, ma tutto sta ad evitare anche che i
palestinesi vadano oltre quella linea e quello spazio che li divide dai
territori israeliani, riferisce il membro del gabinetto di sicurezza di
Netanyahu, Yoav Galant.
E ancora
l’ambasciatore americano Danny Danon ha scritto al Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite avvertendo del tentativo dei leader palestinesi di cercare il
conflitto con degli scontri di massa. L’esercito israeliano perciò non ha
chiaramente perso tempo: si parlerebbe di un centinaio di cecchini disposti
lungo tutto il confine e secondo quanto riportato dal ‘Times of Israel’, “altri
battaglioni dell’esercito e unità della polizia di frontiera sono schierati
lungo il confine di Gaza, al fine di impedire ai manifestanti di attraversare”,
mentre sono comunque schierati altri agenti di polizia per contenere
un’eventuale fuoriuscita di palestinesi che riusciranno ad abbattere la prima
linea di difesa, infine altre squadre di soldati si trovano in pattugliamento
nelle comunità ebraiche più vicine al confine.
Che si
tratti di una provocazione, come ha dichiarato l’ambasciatore Danon, “è una
cosa che anche gli israeliani sostengono” ci dice ancora Salerno, “ma questo lo
diranno sempre di fronte a qualsiasi tipo di protesta palestinese, che sia
organizzata ad alto livello, quindi da Hamas come in questo caso, sia che venga
organizzata a livello popolare, ma se sia veramente un atto provocatorio questo
non lo sappiamo. È vero invece che Hamas è in difficoltà rispetto al suo ruolo
di gestione della Striscia, nella quale oramai vige una estrema povertà, non
funzionano i servizi essenziali, l’elettricità ridotta al minimo. Senza
dimenticare che oltretutto c’è un conflitto ancora più forte in questo momento
tra Hamas, che come già detto gestisce formalmente la striscia, e l’autorità
nazionale palestinese che gestisce il resto dei territori palestinesi occupati”.
Le
manifestazioni avranno seguito fino al 15 di maggio, che oltre ad essere – come
già ricordato – l’indomani del 70esimo anniversario della fondazione dello
Stato di Israele, sarà anche la data in cui verrà inaugurata l’ambasciata
statunitense a Gerusalemme, altra situazione che si preannuncia molto calda
date le posizioni dei palestinesi che continuano a farsi stridenti con gli
Stati Uniti dopo le ultime dichiarazioni rilasciate dall’ambasciatore americano
David Friedman: questo infatti, parlando ad un giornale locale, ha dichiarato
di voler trovare in qualche modo un accordo con le autorità palestinesi, a prescindere
da Abu Mazen che, se non vorrà trattare, troverà qualcun altro a farlo al suo
posto, a riempire quel vuoto per continuare i processi di pace che l’America
non ha alcuna intenzione ad interrompere.
Rapporti
difficili con gli Stati Uniti anche a seguito di quanto detto settimane fa dal
presidente Donald Trump, ovvero di voler riconoscere Gerusalemme capitale dello
Stato di Israele: tutto questo potrebbe aver inciso sul carattere pretestuoso
della manifestazione di oggi, oppure no: “non ha inciso molto in realtà”,
prosegue Salerno, “anche se sicuramente c’è una parte della popolazione
palestinese, la maggioranza ad oggi, che comincia a capire che se c’erano delle
speranze di riuscire in tempi relativamente brevi ad ottenere un riconoscimento
dello stato palestinese, ad avere dei confini accettabili per loro e accettati
da Israele, di avere uno spazio a Gerusalemme, questa possibilità si sta sempre
di più molto allontanando. Qualcuno sostiene che non ci sarà mai un pezzo di
Palestina dentro Gerusalemme. E sicuramente l’amministrazione attuale
israeliana fa di tutto per eliminare questa possibilità”.
Il fatto
che ad ora siano già sei le vittime di questa manifestazione, come riportava
una notizia di qualche minuto fa battuta da ‘LaPresse‘, potrebbe far pensare
che questo sia solo un preludio di ciò che può ancora accadere tanto nella
giornata di oggi quanto nelle prossime, in base anche ad altre dichiarazioni
attribuite a Hamas raccolte dalle agenzie, nelle quali si invitavano i
manifestanti a compiere questa grande marcia del ritorno fin dentro i territori
di Israele, per raggiungere quei villaggi un tempo abitati dai palestinesi.
Inoltre, altre marce collaterali sono previste in Siria, Libano e Giordania.
Eric Salerno però ci dice che “essere arrivati a sei morti, di cui i primi 2
per artiglieria ma gli altri 4 dichiaratamente manifestanti comincia a creare
sicuramente un problema, da tempo non si vedono tanti morti in manifestazioni
‘pacifiche’, quindi sicuramente comincia ad essere una cosa eccezionale, nuova.
Si spera non una nuova intifada, ma vista la durata prolungata delle
manifestazioni, è probabile che qualcosa peggiorerà nei giorni a venire. È
chiaro a tutti che può scoppiare un altro conflitto, anche se viene detto da
entrambe le parti, sia dagli israeliani sia dai palestinesi (anche da Hamas),
che nessuno lo vuole: in teoria la manifestazione potrebbe essere soltanto un
modo di Hamas per recuperare credibilità all’interno della propria comunità
palestinese. Il pericolo vero risiede nella lunga scadenza della protesta, cioè
nel fatto di mandarla avanti fino a maggio. Situazione più pericolosa se questa
si dovesse allargare soprattutto alla Cisgiordania, dove ancora non ha preso
piede e dove Hamas è sicuramente presente e ogni tanto cerca di mettere in
difficoltà l’autorità nazionale palestinese, perciò le provocazioni sono più
facili e possibili. E ovviamente, mentre tra Gaza e gli israeliani si intuisce
un pericolo, ma si tratta di uno spazio circondato in cui non ci sono
israeliani, la Cisgiordania è un territorio vastissimo e ci sono molti
insediamenti e molte postazioni israeliane, per cui lo scontro può avvenire di
fronte a un insediamento o contro i confini con Israele. È una situazione molto
più rischiosa”.