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Ecco come vengono bloccati i migranti in Sudan tra abusi e violenze. E l’Europa chiude un occhio

Michela
Iaccarino, LEFT, 25 aprile 2018

«A
volte», ha detto il colonnello Samih Omar al New York
Times
, «mi sembra che questo sia il confine meridionale dell’Unione
Europea». Invece è il percorso rovente verso la Libia, il porto d’Africa per raggiungere
l’Europa.
Una immagine del 2014: migranti al confine sudanese-libico
È terra
di Sudan, duemila miglia che i migranti attraversano sperando di raggiungere il
Mediterraneo e poi l’Europa. È dove opera la pattuglia del colonnello Omar per
impedire che i richiedenti d’asilo salpino verso le coste europee.
Le sue
Rsf le Rapid support forces, hanno appena arrestato 66 migranti
in arrivo dal Nord del Darfur, in un’operazione congiunta con i Niss, servizi
segreti e d’intelligence nazionali: 37 degli uomini in fuga erano sudanesi, 26
erano etiopi. Il Sudan è il Paese di transito soprattutto per chi scappa da
Eritrea e Etiopia.
Tra
Europa e Sudan «la relazione è opaca per mutuo aiuto reciproco: gli europei
vogliono i confini chiusi, i sudanesi vogliono porre fine ad anni di isolamento
dall’Ovest e all’embargo» contro il governo di al Bashir, accusato dalle Ong di
violare tutti i diritti umani possibili, scrive ancora il NYT. Per soffocare la
migrazione, l’Europa farebbe ricorso alle truppe di questa temuta polizia
segreta.

Anche Human Rights Watch sottolinea
come nonostante le denunce di abusi, gli Stati Uniti e l’Unione europea
sostengano il governo sudanese in materia di antiterrorismo e controllo delle
migrazioni.
Tutto
questo in qualche modo è il
risultato del processo di Khartoum
, arena di conferenze
internazionali sul tema della migrazione, svoltesi tra ufficiali europei ed
africani. Tra quelli africani, c’erano i sudanesi. Il processo è iniziato nel
2014, ufficialmente per “migliorare i diritti umani” nel corno d’Africa. Anche
se nessun fondo europeo è stato stanziato per il governo del Paese, o arrivato
direttamente ed ufficialmente per arginare la partenza dei richiedenti asilo, –
come è accaduto in Turchia e Libia -, 130 milioni sono arrivati ad agenzie e
organizzazioni umanitarie nel territorio di al Bashir, per finanziare programmi
d’aiuto per migranti, ma anche per formare ufficiali.
Mohamed
Hamdan, un comandante delle Rsf, ha detto
durante una cerimonia
nella capitale Karthoum che i suoi soldati
«fanno il lavoro che dovrebbe fare l’Ue. Ecco perché dovrebbero riconoscere i
nostri sforzi, supportarci perché abbiamo perso molti uomini, e molti soldi.
Altrimenti cambieremo idea e smetteremo di svolgere questo compito». Il
comandante vuole “una compensazione europea”, cioè soldi, per continuare a
dispiegare soldati-guardiani al confine libico, e per impedire che i migranti
raggiungano il mare. Le sue truppe sono nate dalle milizie “janjaweed”
implicate nei crimini di guerra commessi in Darfur durante la guerra, oggi sono
invece accusate di torturare i migranti in transito e sono conosciute
soprattutto per la loro brutalità.
Le
relazioni tra blocco europeo e sudanese evolvono, questo implica «la
riabilitazione dell’apparato di sicurezza sudanese, i cui leader sono accusati
dalle Nazioni Unite di crimini di guerra in Darfur. Non c’è uno scambio diretto
di denaro», dice Suliman Baldo, autore del report
“Border control from Hell”, che parla della partnership sulla migrazione tra
Europa e Sudan
, ma «l’Ue, in pratica, legittima l’abuso della forza»
delle milizie.
Questi
accordi stretti con uno dei Paesi dove i diritti umani sono violati ogni giorno
è «un patto col diavolo» e «la storia insegna che non va mai a buon fine». Lo ha detto
Mukesh Kapila, ex coordinatore Onu per il Sudan al Guardian.
«Lo
abbiamo già visto molte volte, dobbiamo impegnarci con la società civile, non
andare a letto con al Bashir».