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Diritti delle donne e dei bambini, l’Italia è ultima in Europa

Daniele Ruzza, LEFT, 18
aprile 2018

Sei una
bambina, un bambino, un adolescente o una donna che vive in Italia? Peggio per
te.

Nella
classifica del livello di inclusione di donne e popolazione sotto i 18 anni in
171 Paesi, l’Italia è scesa al 27esimo posto, ultimi tra i Paesi Ue. Questa è
la situazione fotografata dai dati dello studio redatto da WeWorld, una onlus
impegnata nella difesa dei diritti di donne e bambini in tutto il mondo.
La
ricerca rivela in modo impietoso un’Italia peggiora: la stessa ricerca condotta
nel 2015 ci aveva posto alla 18esima posizione. In due anni abbiamo perso nove
posizioni, la peggior regressione di classifica per una nazione Ue. Il Bel
Paese è peggiorato sotto ogni punto di vista: il contesto in cui donne e
bambini vivono è meno sicuro, il numero delle persone colpite da disastri
naturali è aumentato e l’impoverimento delle famiglie pregiudica il benessere
dei minori.
In
Italia, secondo i dati di WeWorld, solo l’8% dei figli di genitori senza
diploma si laurea, contro il 68% di chi invece è figlio di genitori laureati.
Nel mezzogiorno inoltre, la dispersione scolastica è superiore al 20% e un
milione e 292mila giovani sotto i 18 anni vive in condizioni di povertà. Ancora
più a rischio di dispersione scolastica i giovani privi di cittadinanza
italiana, che rappresentano il 9,4% del totale degli studenti. In Europa,
meglio di noi fanno anche l’Estonia, la Repubblica Ceca, la Lettonia, la
Lituania e la Polonia. Anche se prendiamo in esame i Paesi del G20 la
situazione non migliora, siamo infatti tra i sei Paesi con la peggior
performance.
Lo studio
è stato condotto identificando 17 indicatori, divisi in tre categorie, che
rappresentano tutti gli aspetti che partecipano allo sviluppo della persona,
sia professionale che personale, e la sua inclusione nella società. Nella
categoria contesto troviamo gli indicatori: ambiente, abitazione,
conflitti e guerre, potere e democrazia, sicurezza e protezione, accesso
all’informazione e genere. Delle restanti due categorie, una si riferisce alle donne
e l’altra a bambini e adolescenti. Per le donne, gli indicatori valutati sono:
salute, educazione, opportunità economiche, partecipazione politica e violenza
di genere. Nel caso di bambini e adolescenti, sono stati presi in
considerazione: la violenza sui minori, il capitale economico, il capitale
umano, l’educazione e la salute.
L’aspetto
su cui più si è concentrata la ricerca è l’educazione. Elemento fondamentale
per lo sviluppo della persona, lo studio sottolinea come l’istruzione sia un
aspetto cruciale nel miglioramento di un Paese. Un’istruzione migliore e più
diffusa è imprescindibile se si vogliono appianare le differenze, che
sussistono tra uomini e donne, bambini e adolescenti, nella garanzia dei
diritti fondamentali di eguaglianza e pari opportunità.
WeWorld
ha identificato cinque barriere principali da eliminare per assicurare
l’accesso ad un’educazione inclusiva. La scarsa nutrizione, che limita o
impedisce del tutto la possibilità di frequentare la scuola. La discriminazione
di genere, sia quella presente nelle leggi di alcuni Stati, sia quella dovuta
ad arretratezza culturale. La violenza nelle relazioni sociali e familiari. La
migrazione, che interrompe gli studi. Infine c’è la barriera della povertà
educativa, con cui si intende non solo la qualità dell’insegnamento, ma anche
la possibilità di svolgere attività educative che non sono limitate allo studio
scolastico, come può essere visitare siti archeologici e musei o leggere libri.
In combinazione con la povertà economica, la povertà educativa porta
all’ereditarietà delle condizioni di esclusione sociale.
Il Paese
più inclusivo, secondo WeWorld, è l’Islanda, seguita dalla Norvegia, poi
Svezia, Danimarca, Slovenia e Finlandia. Le grandi potenze occidentali come
Germania, Regno Unito, Francia, Canada e tutto il resto d’Europa – ad eccezione
di Portogallo e Spagna – sono tutte tra le prime venti posizioni. L’unica
grande potenza che non compare tra le posizioni più alte della classifica sono
gli Usa, che condividono con noi italiani la 27esima posizione.
All’altra
estremità della graduatoria troviamo tutta l’Africa, il Medio oriente e gran
parte del Sud Est asiatico. In fondo alla classifica c’è la Repubblica
centrafricana e, subito sopra, Ciad, Mali e Sud Sudan. Su 171 Paesi monitorati,
in 100 di questi WeWorld ha identificato forme insufficienti di inclusione o
gravi forme di esclusione, e in questi Paesi si concentra il 59% della
popolazione mondiale.
È
interessante notare come la maggior parte dei migranti sbarcati sulla nostra
penisola nel 2017 – stando ai dati dell’Unhcr
– provengano da Paesi che occupano alcuni tra gli ultimi posti della
classifica. La maggior parte dei migranti proveniva dalla Nigeria, che troviamo
alla posizione 156. Ci sono poi gli ivoriani, il cui Paese natale occupa la
155esima posizione, e infine quelli che provengono dalla Guinea, il loro Paese
è il 154esimo.
Investire
nell’istruzione – come conferma il report – è il modo migliore per portare
fuori dalla povertà le persone, ed evitare che il fenomeno diventi ereditario.