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Cosa vede di noi Facebook quando non siamo su Facebook

Il Post, 17
aprile 2018

Un sacco
di informazioni su praticamente ogni sito che visitiamo, ma non è certo l’unico

Facebook
ha diffuso un comunicato
nel quale chiarisce, in modo esplicito e senza nascondersi dietro astruse formulazioni
sulle condizioni d’uso, cosa succede ad alcune informazioni su di noi quando
navighiamo online su siti che non sono Facebook. Il comunicato è stato diffuso
dopo che la scorsa settimana il CEO di Facebook, Mark Zuckerberg, aveva
risposto in modo piuttosto evasivo e generico – nel corso di due audizioni organizzate
dal Senato
e dalla Camera
dei Rappresentanti
del Congresso degli Stati Uniti – sulle pratiche
seguite da Facebook per tracciare le attività degli utenti anche quando questi
non sono collegati al social network. Le audizioni erano state organizzate allo
scopo di avere informazioni più accurate sul recente caso di Cambridge Analytica,
sulle interferenze della Russia nelle presidenziali statunitensi del 2016 e più
in generale su come Facebook utilizza i dati dei suoi iscritti.
Tutto
intorno a te

Da diversi anni ci sono pezzetti di Facebook disseminati in buona parte dei
siti che visitiamo. I più evidenti sono i tasti per condividere e mettere “Mi
piace” agli articoli che stiamo leggendo (presenti anche in questa pagina), i
sistemi per registrarsi in un sito usando il riconoscimento di Facebook e gli
strumenti di analisi del traffico generato dai siti e dagli annunci
pubblicitari, in questo caso con linee di codice non visibili all’utente e presenti
nell’impalcatura della pagina. Ogni grande servizio online, da Google a Twitter
ad Amazon, ha soluzioni analoghe per tenere traccia di parte delle cose che
leggiamo e facciamo online. Lo stesso vale, con qualche differenza tecnica, per
le app che prevedono di potersi collegare a servizi esterni per essere
riconosciuti dalla stessa applicazione.
Browser e
server

Quando si visita un sito, il proprio browser invia una richiesta al server (il
computer che fa funzionare quello spazio web) nella quale è compreso un numero
(indirizzo IP) che permette al server di capire a quale destinatario mandare le
informazioni. In questo scambio, il server apprende di solito diverse altre
cose: che tipo di browser si sta utilizzando (Chrome, Firefox, ecc) e con quale
sistema operativo (Windows, iOS, ecc). Il server può anche scoprire se quel
browser aveva già fatto visita in passato al sito, rilevando la presenza di un
“cookie”, un piccolo file che contiene informazioni sulle precedenti visite (i
cookie aiutano a rendere personalizzata la navigazione per ogni utente).
Lo
scambio di informazioni avviene in poche frazioni di secondo e permette di
visualizzare la pagina desiderata, che a sua volta contiene altre istruzioni
per il browser, che invia richieste per servizi esterni e gestiti da terzi. Se
nella pagina sono presenti tasti per la condivisione o sistemi di analisi di
Facebook, le informazioni finiscono anche al social network, che può quindi
sapere quale sito si sta visitando o quale applicazione si sta utilizzando.
Facebook deve saperlo per forza, per potere offrire i suoi servizi su quello
specifico sito a quello specifico utente; lo stesso avviene per Twitter, Google
e gli altri. La questione è come vengono utilizzati i dati da queste società.
Come usa
i dati Facebook

Facebook dice che nel caso dei tasti per condividere i suoi contenuti, o per
iscriversi a un sito tramite il suo servizio di login, vengono registrati:
indirizzo IP, browser, sistema operativo e l’indirizzo del sito coinvolto. L’IP
viene usato per avere un funzionamento corretto dei tasti di condivisione e
assicurarsi che siano mostrati nella giusta lingua (dall’IP di solito si può
risalire al paese da cui si sta navigando). I cookie e gli altri sistemi per
identificare il dispositivo sono invece usati per capire se si è già collegati
a Facebook, in modo da rendere più semplice la condivisione di un contenuto. In
assenza di questa soluzione, Facebook dovrebbe sempre richiedere le credenziali
di accesso a ogni “Mi piace” o “Condividi”.
Altre
informazioni sul comportamento degli utenti sono raccolte tramite Facebook Analytics, uno
strumento che permette ai siti e alle app di capire come sono usati. In questo
caso gli indirizzi IP servono per compilare gli elenchi dei paesi da cui si
collegano gli utenti, mentre i cookie per calcolare correttamente i visitatori
unici (il solo IP non sarebbe sufficiente, perché non corrisponde sempre a un
solo utente). Attraverso i cookie sono ricostruite altre informazioni rilevanti
per il sito come età e genere degli utenti.
Tutte
queste informazioni sono inoltre usate per Facebook
Audience Network
, il servizio che consente ai siti di mostrare
pubblicità pagate da chi usa il circuito pubblicitario di Facebook. Se l’utente
non risulta iscritto a Facebook, sul sito che sta visitando compare una
pubblicità che lo invita a iscriversi, altrimenti viene mostrato un annuncio
pubblicitario da parte degli stessi inserzionisti attivi sul social network.
Attraverso un altro strumento, che si chiama Facebook
Pixel
, gli inserzionisti possono accedere a informazioni più
dettagliate sull’andamento della loro campagna pubblicitaria, senza che
Facebook diffonda ulteriori informazioni personali del singolo utente.
Nel suo
comunicato, Facebook spiega che il tracciamento garantisce anche una maggiore
sicurezza degli utenti. Se per esempio qualcuno cerca di collegarsi tramite un
sito al proprio account usando un IP da un paese diverso dal solito, Facebook
può rilevare l’anomalia e chiedere verifiche in più prima di garantire
l’accesso. Un sito che invia innumerevoli richieste in pochi minuti a Facebook
può essere identificato come un bot, e quindi fermato prima che possa fare
danni di altro tipo.
Il
tracciamento è anche alla base della qualità degli annunci pubblicitari che
sono mostrati dentro e fuori Facebook. Man mano che si utilizza il servizio,
diventano più personalizzati e rilevanti per i singoli utenti. Come sa bene chi
utilizza Facebook, a volte gli annunci non sono ugualmente in linea con i
propri interessi, ma durante le due audizioni Zuckerberg ha confermato che la
sua società lavora molto per migliorare questo tipo di servizio, anche perché
annunci più rilevanti sono percepiti più positivamente dagli utenti e hanno una
resa migliore.
Ridurre
il tracciamento, circa

Facebook conclude il suo comunicato ricordando che parte del tracciamento può
essere disabilitata, soprattutto per quanto riguarda la pubblicità. Nella sezione “Le tue preferenze
relative alle inserzioni” si può scegliere quali informazioni rendere o meno
accessibili, da quelle sulla propria situazione sentimentale al tipo di
istruzione. Si può inoltre decidere di impedire a Facebook di mostrare
pubblicità basate sui propri interessi e sulle abitudini di navigazione. C’è
inoltre una sezione
molto divulgativa e chiara che mostra come funziona la pubblicità dietro
Facebook e quali dei propri dati sono condivisi con chi paga gli annunci.
Per molto
tempo Facebook ha ricevuto numerose critiche per le quantità di dati che
raccoglie sui propri utenti e che sono poi condivise con siti, app e chi fa
pubblicità, spesso senza che il processo sia trasparente per i suoi iscritti.
Ancora prima del caso Cambridge Analytica, la società aveva già iniziato a
rendere più chiaro il funzionamento dei suoi sistemi, incentivata a farlo dalle
richieste delle autorità sulla privacy soprattutto in Europa, dove il tema
della tutela dei dati personali è molto più sentito che negli Stati Uniti e
altrove.
Molti
esperti ritengono che l’attuale livello di tracciamento sulle attività condotte
dagli utenti da parte di Facebook sia ancora eccessivo, e non sempre
giustificato dalla necessità di offrire alcuni tipi di servizi. Il problema
riguarda più in generale buona parte delle altre grandi aziende di Internet,
così come i siti che utilizzano i loro servizi di pubblicità, spesso la
loro unica fonte di ricavo
.