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Armenia: migliaia di persone in piazza contro Sargsyan

Aleksej
Tilman, East journal, 18 aprile 2018

Il gioco
di prestigio politico iniziato quattro anni fa si è concluso ieri con successo.
Il parlamento armeno, l’Assemblea Nazionale, ha nominato
l’ex presidente Serzh Sargsyan – unico candidato – primo ministro con 76
voti favorevoli e 17 contrari.
Sargsyan,
alla guida del paese dal 2008 nelle vesti di presidente, una volta raggiunto il
limite costituzionale del secondo mandato ha usato uno stratagemma caro ai
leader dell’area post-sovietica: modificare la costituzione per conservare
il potere.
La scelta
è stata quella di trasformare l’Armenia in una repubblica parlamentare, con il
primo ministro che ha ereditato i poteri che erano prerogativa del presidente
(carica divenuta poco più che simbolica). Una volta approvata la nuova
costituzione con un controverso
referendum
a fine 2015, è bastato aspettare la fine del secondo
mandato di Sargsyan lo scorso 9 aprile, per osservare come tutto sia cambiato
affinché nulla cambiasse.
Lo scorso
2 marzo si sono
tenute
 le prime elezioni presidenziali indirette nella
storia del paese caucasico, vinte dal candidato indipendente Armen
Sargsyan (omonimo, ma non parente del suo predecessore), nominato dal Partito
Repubblicano e dalla Federazione Rivoluzionaria Armena, che insieme formano
la coalizione di governo. Per Serzh si sono quindi aperte le porte della carica
di primo ministro, ottenuta nel voto di ieri.
L’opposizione
insorge
La
manovra politica non è stata accettata passivamente dall’opinione pubblica,
come forse sperava il Partito Repubblicano. Migliaia di persone si sono fatte
sentire
con delle proteste di massa che dal 13 aprile bloccano le
strade di Yerevan.
Alla loro
guida, il leader del movimento di opposizione Accordo Civile, Nikol Pashinian
che ha indetto una “rivoluzione di velluto” per impedire a Sargsyan di
diventare primo ministro ed evitare di creare un precedente nella storia
armena, ovvero che “una persona diventi il leader del paese per la terza
volta”.
I
manifestanti hanno occupato l’università e la sede della radio pubblica il 14
aprile. Il 16, hanno provato a sfondare il cordone di polizia sul viale del
Maresciallo Bagramian, per aprirsi la via verso l’edificio dell’Assemblea
Nazionale.
Negli
scontri che sono seguiti, le forze dell’ordine hanno usato manganelli e gas
lagrimogeni. Secondo Radio Free
Europe
, sono rimaste ferite almeno 46 persone, tra le quali lo
stesso Pashinian e sei agenti, mentre gli arresti sono stati 29.
I
manifestanti si sono dati appuntamento a migliaia
ieri sera sulla Piazza della Repubblica, per continuare a protestare contro
l’elezione del nuovo primo ministro, mentre Sargsyan, nel suo discorso di
insediamento, dichiarava
che “solo la maggioranza parlamentare ha diritto a parlare a nome del popolo”.
Un
malcontento crescente
È
difficile predire quelli che saranno i risultati di queste proteste.
Sicuramente esse sono il risultato di un malcontento mai sopito per le pessime
condizioni economiche dell’Armenia che spiegano il forte tasso di
emigrazione verso l’estero  e la crisi demografica in cui è entrato
il paese da diversi anni. Anche la corruzione e i brogli elettorali sono,
storicamente, nel mirino dell’opinione pubblica. Ad aggravare questo quadro
fosco per la leadership armena, è stato, infine, il risultato del conflitto in
Karabakh nell‘aprile del 2016. Le perdite territoriali
seguite a un’offensiva azera sono state considerate come una conseguenza della cattiva
gestione dell’esercito, i cui costi di mantenimento sono sempre stati
presentati dal governo come un sacrificio necessario per la sicurezza
nazionale.
A
differenza del 2015, quando un rincaro delle bollette elettriche aveva fatto
scendere in piazza migliaia di persone nella protesta diventata nota come Electric
Erevan
, questa volta la figura stessa di Serzh Sargsyan a fomentare
la rabbia popolare. Non risulta che i manifestanti rappresentino un gruppo
sociale omogeneo, ma piuttosto che siano un gruppo di persone diverse
accomunate da un’insoddisfazione per la situazione politica ed economica
dell’Armenia.
Se uscirà
politicamente indenne da questi giorni di fuoco, il nuovo primo ministro dovrà
provare a risolvere almeno una parte dei problemi del paese, visto che la sua gestione
“alla russa” del potere risulta difficilmente digeribile all’opinione
pubblica.