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Turchia: una lingua antica per un nuovo impero Il Presidente Erdogan vuole introdurre l’insegnamento dell’antico ottomano nelle scuole

di Gianmarco Cenci, L’Indro, 16 marzo
2018

Ogni
volta che si parla di riformare i licei italiani, si ripropone sempre la vexata
quaestio: è ancora attuale l’insegnamento del latino alle scuole superiori?
Segue poi il solito dibattito fra chi non la ritiene più una materia scolastica
utile per il mercato del lavoro e chi invece lo ritiene indispensabile per lo
sviluppo del ragionamento logico e della comprensione delle proprie radici
culturali. Aldilà del Mediterraneo, invece, il Presidente turco Recep Tayyip
Erdo
ğan ha dichiarato la propria intenzione a introdurre
nelle scuole l’insegnamento della lingua turco-ottomana, parlata dalle élite
culturali ai tempi dell’Impero e oggi sconosciuta alla popolazione turca.

A
un’affermazione del genere va data una lettura che non si riduca a quella più
meramente legata alla politica scolastica turca, ma va considerata come parte
della politica
culturale
complessiva del regime di Erdo
ğan, sempre più volta a rafforzare lo spirito nazionale turco
attraverso il recupero dell’antica tradizione ottomana. Ma a che cosa è dovuta
questa scelta? E come questa si ripercuote in ambito internazionale? Lo abbiamo
chiesto a Carlo Pallard, dottorando presso l’ Università degli Studi di Torino
e redattore di East Journal.

Erdoğan ha dichiarato la propria intenzione a introdurre nelle scuole
l’insegnamento dell’antica lingua ottomana. Come si innesta questa scelta nella
sua politica culturale?
La lingua
ottomana era una forma di turco, sostanzialmente. Era però una lingua
letteraria, aulica, artificiale usata dalla pubblica amministrazione e dalla
letteratura di corte, con una sua evoluzione e storia particolare. Era quindi
distinta dal turco utilizzato dalla popolazione, essendo infarcita di termini
persiani e arabi e da strutture grammaticali estranee al turco comunemente
parlato. Questa lingua era stata messa da parte dalla rivoluzione repubblicana
degli anni ’20, che aveva visto anche una riforma linguistica: quest’ultima ha uniformato
il turco ufficiale a quello parlato dalla popolazione e che ha scelto per essa
l’alfabeto latino, più adatto ai suoni della lingua, al posto di quello arabo.
La nuova scrittura era stata accolta con sfavore dagli ambienti più
conservatori, che l’hanno considerata come uno strappo troppo forte dalla
precedente tradizione ottomana. Ad ogni modo, la lingua turca, comunemente
parlata oggi, è una lingua sostanzialmente diversa da quella ottomana, tant’è
che le opere di quella tradizione sono difficilmente leggibili dalla
popolazione turca attuale.
La lingua
ottomana in Turchia non è più stata oggetto di insegnamento al di fuori degli
ambienti universitari specialistici. Erdo
ğan rappresenta una certa area
culturale e ideologica, esistente già prima del suo arrivo e non confinata
esclusivamente dagli ambienti islamisti, che dà grande importanza all’eredità
ottomana (da un punto di vista non solo culturale) e alla continuità storica
tra l’Impero e la Turchia moderna. Guarda quindi con devozione al passato ottomano,
mentre prende le distanze da alcuni aspetti della politica di Atatürk, pur
condividendone altri: si ritiene troppo forte lo strappo attuato da Mustafa
Kemal. Per questa notizia, l’idea che si possa reintrodurre l’insegnamento di
questa lingua è un gesto che va in direzione di sanare questa frattura storica.
Bisogna vedere quanto questo sia efficace, perché non bastano poche ore di
insegnamento a scuola per poter leggere le iscrizioni ottomane presenti a
Istanbul, per esempio. A mio avviso, è una trovata soprattutto propagandistica,
che vuole usare l’eredità ottomana per fare leva sui sentimenti nazionalistici,
molto forti nel Paese. È impensabile, tuttavia, che la Turchia torni a
utilizzare l’ottomano, sarebbe controproducente e insensato. Esiste, però
questa tendenza a rivalutare le proprie radici, da un punto di vista anche
religioso: qualche tempo fa c’era anche un’ispirazione a voler ricostituire
quell’unità religiosa dell’Impero Ottomano. Negli ultimi anni, invece, la
politica di Erdo
ğan è andata orientandosi in un’ottica più
nazionalista, specie con il fallimento della sua politica mediorientale e con
l’errata valutazione delle Primavere arabe, che Erdo
ğan riteneva un’occasione. Da quel momento in poi, tutto il discorso
ottomanista è stato piegato in senso nazionalista. Il cambiamento è stato
evidente anche analizzando la retorica di Erdo
ğan: mentre prima i riferimenti
all’Impero erano volti a una visione internazionale, panislamica e
postnazionale, oggi l’eredità ottomana viene usata per rafforzare l’identità
turca. In quest’ultima uscita di Erdo
ğan, infatti, i termini usati sono
diversi: ha insistito sulla necessità di proteggere la lingua turca dalle
influenze straniere, messe in pericolo anche da internet e dalle nuove
tecnologie prettamente anglofone. Si può dunque notare una funzione di supporto
dell’eredità ottomana al nazionalismo turco, in continuità con tendenze del
nazionalismo turco che hanno ormai diversi decenni.
Ma non è
un controsenso difendere la purezza della lingua turca recuperando una lingua
infarcita di termini e strutture persiane?
Dall’ottica
conservatrice e nazionalista turca non è un controsenso. È vero che l’ottomano
aveva un’influenza persiana, ma questa era una parte integrante della cultura
imperiale. Se si vuole sottolineare una continuità con l’Impero, l’influenza
persiana non è un problema: quel corpus lessicale e grammaticale
persianeggiante è straniero fino a un certo punto, perché quella lingua era
parte integrante della cultura dell’ Impero e del suo aspetto religioso.
L’aspetto religioso non è secondario: la lingua arabo-persiana che ha
influenzato il turco ottomano deriva da quegli aree culturali, politiche e
religiose che hanno islamizzato la Turchia, ed è quindi parte di quello che è
l’Islam turco e la sua tradizione. Ciò rende diversa l’influenza persiana da
quella odierna, occidentale, entrate in contatto con il turco nell’età
tardo-ottomana e repubblicana. Il contesto nazionalistico di Erdo
ğan è diverso da quello della prima età repubblicana: ai tempi di Mustafa
Kemal si tentava di emancipare la cultura turca, la ‘turchità’ dalle influenze
persiane, bizantine che avevano caratterizzato il periodo ottomano, per
costituire quella che veniva propagandata come una pura cultura turca. Oggi,
invece, a partire da quel processo iniziato negli anni ’70, con la Sintesi
Turco-islamica, si sottolinea la continuità con l’Impero e, con questo
mutamento di prospettiva, cambia ciò che può essere considerato straniero o
autoctono. Per un nazionalista della prima età repubblicana, queste influenze
erano considerate straniere, impurità rispetto al turco, per un nazionalista
conservatore odierno, la cultura ottomana è in quanto tale cultura nazionale
turca.

La
tradizione islamica è strumentale al nazionalismo di Erdo
ğan o ne è parte essenziale?
Secondo
me ne è parte essenziale. Erdo
ğan proviene da certi ambienti più
vicini islamismo che al nazionalismo. Andando però ad analizzare il pensiero
politico turco, esiste da quarant’anni una zona grigia, che ha creato e sta
creando un’identità politica di destra che raccoglie settori apparentemente
molto diversi come l’ultranazionalismo e l’islamismo, in cui queste differenze
sfumano e si fanno più sottili. Infatti, è andata formandosi una nuova visione
ideologica sulla storia e identità turca (la Sintesi turco-islamica),
all’interno del ‘Focolare degli intellettuali’, che ha avuto un’influenza
enorme sulla costruzione di un’identità politica nazionalista turca in cui
trovassero spazio istanze nazionalistiche e islamistiche. L’idea
etnonazionalista della Turchia fondata sull’identità etnica, linguistica,
culturale turca si fonde con l’islamismo attraverso il recupero dell’eredità
ottomana. Si fondono elementi storici, linguistici, religiosi, etnici con
questa nostalgia imperiale. Erdo
ğan è figlio di questa impostazione
ideologica. È vero che nei primi anni del proprio regime, Erdo
ğan aveva preso le distanze da questa visione, puntando l’accento
sull’aspetto post-nazionale, che associava l’identità della Turchia
sull’influenza culturale che questa aveva avuto in senso lato nel suo periodo
ottomano: pensava di risolvere in questo modo anche la spinosa questione dei
curdi. Il Presidente turco sta andando a recuperare quell’impostazione di
nazionalismo etnico misto a riferimenti religiosi, in una prospettiva di
avvicinamento alle istanze dell’estrema destra ultranazionalista: è alleato con
il Partito d’azione nazionalista (MHP), l’estrema destra dei ‘lupi grigi’ –
pochi giorni fa ha anche fatto il ‘saluto del lupo’- abbandonando così la fase
liberale-islamica per riabbracciare le istanze del  nazionalismo turco.
Non abbandonerà gli aspetti religiosi: ha parlato di ‘aggiornare’ l’Islam alle
pratiche del tempo, attaccando così alcune personalità ultraconservatrici del
clero turco. In questo senso, pur mantenendo un riferimento religioso, la sua
politica va orientandosi in senso nazionalista, essendo questo il polso del
popolo turco. Da profondo conoscitore della sua gente, sa che questa scelta ha
più successo fra il popolo turco, considerando anche che solo il 12% dei turchi
sarebbe favorevole alla sharia, una delle percentuali più basse all’interno del
mondo islamico. La religione è sempre considerata all’interno del nazionalismo
turco: ha un grande peso al suo interno, ma non è quell’Islam che siamo
abituati a pensare.
Rimane un
grande rispetto per la figura di Mustafa Kemal: pur nella diversità, si
mantiene una certa aderenza con la sua politica?
Negli
ultimi tempi c’è stata una sorta di rivalutazione della figura di Atatürk, da
parte di Erdo
ğan. C’è stata anche una svolta nella sua retorica:
viene citato spesso, continua a essere onnipresente nei meeting del politici
del Presidente, anche iconograficamente. Per molti aspetti, la politica di Erdo
ğan è radicalmente diversa da quella di Atatürk, ma bisogna tenere
presente che, in questa trasformazioni che ha attraversato il nazionalismo
turco, anche la figura di Kemal ha subito qualche cambiamento: la memoria e la
sua eredità è stata manipolata dai nazionalisti conservatori, che ne hanno
riscritto la storia e riraccontato la personalità, per renderlo più accettabile
dal loro punto di vista. Lo stesso Erdo
ğan, quando ne parla, mette in luce
certi aspetti che sono a lui più congeniali e ne mette in ombra altri. Ciò che
invece è molto innovativo da parte di Erdo
ğan in questo contesto è rispetto
alla tradizione del suo partito e il modo in cui esso è giunto al potere.
Quando l’attuale Presidente turco ha cominciato a vincere le elezioni, il suo
partito rappresentava l’anti-Stato, un corpo estraneo e veniva visto come un
nemico dalle élite che costituivano lo Stato: l’esercito lo guardava con
sospetto, la presidenza e la corte costituzionale erano contro di lui, etc. In
questi anni, il partito di Erdo
ğan (AKP), da partito antisistema,
critico verso certi aspetti del nazionalismo turco e che veniva visto come un
movimento ambiguo rispetto ai valori nazionali (la bandiera la figura di
Atatürk, …) si è impadronito progressivamente dello stato, fino a conquistarlo
quasi completamente – perché l’AKP sta andando verso il diventare un
partito-Stato. Ecco che Atatürk e gli altri simboli della Turchia sono stati
conquistati, risemantizzati e riutilizzati. È normale che il partito visto come
antisistema e anti-Stato sia critico verso certi aspetti di Atatürk: una volta
che però diventa sistema e Stato, ecco che si appropria dei simboli della
Turchia e ne riscrive le caratteristiche, adeguandole a sé.
Come
entra la politica culturale nelle scelte di politica estera? Ne è causa o
effetto?
La
politica culturale di Erdo
ğan è contemporaneamente causa ed
effetto della propria politica estera. L’idea che la Turchia possa sganciarsi
dall’essere subordinata al mondo occidentale, ma che debba trovare una sua
collocazione sullo scacchiere internazionale è anche effetto della visione
ideologica di Erdo
ğan, che vede il proprio come un Paese che,
occidentalizzandosi, ha perso i caratteristi essenziali della sua identità e
che ha indebolito la sua autonomia sullo scacchiere internazionale. La Turchia
ideale, per i conservatori, non è parte dell’Europa o del mondo occidentale,
anche se hanno fatto richiesta di entrare
nell’UE
. La Turchia che vede Erdo
ğan è un Paese che, forse troppo
ambiziosamente, è simile alla Russia o alla Cina, cioè un Paese con una propria
politica estera, con una sua area di influenza e i suoi interessi, legati anche
al suo essere civiltà autonoma. Tuttavia, questo ripiegamento nazionalista è
anche frutto delle esigenze di politica estera: il fatto che sia fallito il
tentativo di usare l’eredità ottomana in un senso panislamico (con le Primavere
arabe) o in senso culturale (come l’influenza sui Balcani), ha portato a
sostituire questo progetto verso uno più nazionalista, quello attuale. Oggi
Erdo
ğan non vuole più creare una Turchia egemone in
Medio Oriente, ma vuole formare una Turchia più grande, che vuole portare sotto
la propria diretta influenza certe zone dei Paesi confinanti, come sta
accadendo con la Siria: da una prospettiva post-nazionale a una nazionale.
Questo cambiamento in politica culturale è anche frutto delle mutate esigenze
internazionali.