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Truppe, intelligence ed inquisitori privati per le monarchie del Golfo

Di Pietro
Orizio, AnalisiSicurezza, 20 marzo 2018

Dopo
l’arresto per corruzione di 11 principi e 38 tra ministri e vice, ufficiali
delle forze armate e businessmen sauditi ad inizio novembre, è circolata la
voce di brutali interrogatori a cui gli stessi sarebbero stati sottoposti.
Interrogatori condotti presso l’hotel Ritz Carlton di Riyadh da inquisitori
della Academi (ex Blackwater).

In una
situazione non molto dissimile da quella del carcere di Abu Grahib – eccezion
fatta per personaggi e luoghi da mille e una notte! – quello che torna a far
parlare di sé sono truppe, intelligence ed inquisitori a contratto. Figure
professionali che le PMSCs hanno continuato a fornire non solo globalmente, ma
soprattutto nel Golfo dove, tra ricorrenti tensioni geopolitiche e repressioni
interne di lunga data, risiede un’affezionata clientela.
La
“tangentopoli” saudita
Il 4
novembre 2017 un’apposita commissione governativa ha fatto arrestare ministri,
membri della famiglia reale, delle forze armate e uomini d’affari nell’ambito
di un – presunto – giro di vite anticorruzione voluto dall’erede al trono
saudita, principe Mohammed bin Salman (MbS per i giornalisti, nekla foto
sotto). Tra gli arrestati, personaggi del calibro di al-Waleed bin Talal,
nipote del re e uomo più ricco del Medioriente con un patrimonio di 17 miliardi
di dollari e partecipazioni
in Twitter, Lyft e Citigroup,
l’investitore saudo-etiope Mohammed
al-Amoudi con un patrimonio del valore di
10,4 miliardi
di dollari,  il pezzo grosso dei media da 2,5
miliardi, Saleh Kamel,
il tycoon dei centri commerciali Fawaz Alhokair, da 1,16 miliardi e perfino
Bakr bin Laden, magnate delle costruzioni e fratellastro di Osama.

 
Visto il
loro alto rango e potere, MbS ha bypassato le forze di sicurezza ordinarie.
Esse infatti, avendo servito e riverito molti degli indagati, avrebbero potuto
disobbedire: perciò si è rivolto alle forze speciali.

Prima
dell’alba, mentre dormiva in un accampamento nel deserto, al-Waleed bin Talal è
stato convocato a corte. Rientrato a Riyadh, le sue guardie sono state
immediatamente disarmate dalle forze speciali che l’hanno poi tradotto al Ritz
Carlton (nella foto sotto).
I reparti
speciali si sono poi dispiegati a presidio dell’area esterna, lasciando il
comando a 150 contractors giunti appositamente da Abu Dhabi (UAE). Nelle
successive 24 ore, scene simili si sono verificate in tutto il Paese: centinaia
di alti dignitari sono stati rinchiusi nelle camere del prestigioso hotel,
senza accesso ad internet, linee telefoniche e dopo aver rimosso diversi oggetti per
scongiurare tentativi di suicidio
La fase
iniziale degli interrogatori sarebbe stata condotta personalmente dal principe
ereditario, salvo poi passare il testimone agli inquisitori privati. I prigionieri
sarebbero stati quindi insultati, appesi per i piedi, schiaffeggiati e
torturati per ottenere informazioni sui 100 miliardi di dollari svaniti in
corruzione.

   

Con le
208 persone arrestate inizialmente, il numero è salito presto a 350; in questi
mesi si sono raggiunti anche “accordi monetari” – per un valore di 106 miliardi
a gennaio – con il rilascio di numerosi indagati.

Gli
inquisitori sarebbero stati così persuasivi da “convincere”, ad esempio il
principe Mutaib bin Abdullah, comandante della Guardia Nazionale a pagare un
miliardo e firmare una confessione. Al principe Al Waleed bin Talal, maggior
contendente al trono di MbS, sarebbero stati invece chiesti 6 miliardi,
partecipazioni nella sua holding ed un ergastolo ai domiciliari. Al Waleed avrebbe
inizialmente rifiutato parte delle richieste, insistendo per
sottoporsi ad un regolare processo
, salvo poi esser liberato a fine
gennaio.
In un’intervista
alla Reuters, dov’è apparso visibilmente dimagrito (nella foto sotto), con
barba incolta e decisamente “ammaestrato”, ha descritto il suo arresto come
frutto di “un’incomprensione”, bollando le voci di  torture ed estorsioni
solo bugie.
Il New York
Times ha però riportato le testimonianze di un medico del vicino ospedale e di
un funzionario statunitense che indicavano almeno 17 persone sottoposte a cure
mediche in seguito agli interrogatori
.

  

Addirittura,
il maggiore generale Ali al-Qahtani della Guardia Repubblicana sarebbe deceduto
sotto custodia. Il suo cadavere avrebbe presentato lividi, bruciature da
elettrocuzione ed il collo ruotato in maniera così innaturale da sembrare
spezzato. Come assistente del principe Turki bin Abdullah, figlio del
precedente re Abdullah ed ex governatore di Riyadh, al-Qahtani può esser stato
interrogato a lungo per ottenere informazioni sul suo conto. Per la sua morte
non è mai stata fornita alcuna spiegazione ufficiale.
Le autorità
saudite hanno negato ovviamente il tutto, ribadendo che interrogatori ed
accordi sono avvenuti senza violenza, pressione o
coercizione alcuna
.
Resta il
fatto che al-Waleed stesso ha ammesso di aver raggiunto sì un accordo, ma come
da clausola per il suo rilascio, non possa divulgarne i dettagli. Altri che
sono stati scarcerati hanno parlato di esser stati sottoposti a continua
sorveglianza, intercettazioni, obbligo di indossare cavigliere per tracciare i
movimenti, divieti d’espatrio e d’accesso ai propri conti bancari.
Il ruolo
di Academi-Blackwater sarebbe stato denunciato da più parti. Addirittura Michel
Aoun, presidente libanese ha twittato non solo che gli interrogatori sarebbero
stati condotti da personale della ex società di Erik Prince, ma che gli stessi
avrebbero trattenuto anche Saad Hariri, primo ministro libanese per una dozzina
di giorni nel Regno. Hariri sarebbe stato anche obbligato dai contractors ad
annunciare le proprie dimissioni ed accusare l’Iran di minacce ed interferenze nella
politica di Beirut.
Il noto
whistleblower saudita, Ahdjadid ha riferito che “il primo gruppo di uomini di
Blackwater è arrivato in Arabia Saudita una settimana dopo la destituzione di
bin Nayef – predecessore di Salman come principe ereditario, cacciato a
giugno.
Erano 150
uomini. Una parte di essi è stata inviata a presidiare il luogo di detenzione
di bin Nayef ed il resto a proteggere Salman stesso”.
Un
portavoce di Constellis, la società capogruppo di Academi, ha negato le accuse
dichiarando di non esser presente nel Regno, tantomeno di essersi mai occupata
di interrogatori. Ha rimarcato inoltre la più completa aderenza del gruppo alle
leggi americane ed internazionali, nonché tolleranza zero verso
torture e violenze.
Contractors
nel Golfo
La
“tangentopoli saudita” – o purga di corte – ha riacceso i riflettori sul
tradizionale ricorso delle monarchie del Golfo a compagnie militari e di
sicurezza private.
L’Arabia
Saudita ha letteralmente visto le PMSCs – statunitensi, perlomeno – muovere i
primi passi. Nel 1975 la Vinnel Corporation, che si era sempre occupata di
costruzioni e logistica, è stata la prima società americana a firmare un
contratto per l’addestramento di forze armate straniere: 77 milioni di dollari
per l’addestramento della Guardia Nazionale saudita, attraverso 3.000
contractors, tra cui ex membri delle forze speciali e reduci del Vietnam.
Il Regno
saudita è stato anche uno dei primi luoghi in cui i contractors sono stati
pesantemente colpiti, a riprova di un ruolo ed importanza crescenti: attacco al
compound della Vinnel costato la vita a 27 persone, tra cui 14 occidentali nel
maggio 2003. All’ondata terroristica che ha colpito il Paese, il Governo ha
risposto rafforzando le proprie forze armate e combattendo
ferocemente i terroristi
.

Tali
operazioni sono state portate avanti con un’attiva partecipazione e
supervisione di società di sicurezza private. L’analista P.W. Singer ha
puntualizzato che nel 2003 la protezione della famiglia reale era responsabilità dell’O’Gara Group,
la fornitura di logistica, intelligence e manutenzione all’Aviazione saudita
della BDM International Inc., la gestione del Military Staff College di Booz
Allen Hamilton. SAIC si occupava invece di fornire supporto alla Marina e
Difesa area, mentre Cable & Wireless di addestramento antiterrorismo e
guerriglia urbana. Contratti più recenti – settembre 2016 – riguardano ad
esempio la Cochise MTS Inc. che ha ottenuto l’incarico di addestrare e
supportare le forze di
terra saudite
.
Anche le
altre monarchie del Golfo hanno sempre fatto ricorso a combattenti stranieri
per rafforzare le proprie fila e proteggersi, sia dal dissenso interno che da
minacce esterne.
Già
all’indomani della propria indipendenza dal dominio britannico, esse hanno
continuato a dipendere da ufficiali di Sua Maestà. Basti pensare che durante la
guerra civile in Yemen (inizio anni ‘60) alcuni imprenditori britannici
decisero di assoldare dei mercenari per difendere i propri interessi. Dal
successo di questa operazione nacque la prima PMC: La Watchguard
International dei leggendari David Stirling e John Woodhouse.
Timothy
Creasey, vice comandante delle forze armate omanite negli anni 70 e 80, assieme
a mercenari australiani ha represso la ribellione marxista del
Dhofar
.

Ian
Henderson, alias il
“macellaio del Bahrain
, ha tenuto le redini della Direzione generale
per le indagini sulla sicurezza statale dell’emirato tra il 1966 e 1998.
Durante le proteste antigovernative ispirate alle Primavere Arabe del 2011,
Manama ha risposto duramente; anche attraverso l’impiego di 2.500 mercenari
pakistani.
Nel 2009
il Centro per i Diritti Umani del Bahrain indicava che il 64% del personale
dell’Agenzia di Sicurezza Nazionale era straniero. I Pakistani, principalmente
provenienti dal Belucistan, costituivano circa il 30% delle forze di sicurezza.
Per
quanto riguarda il Qatar, le autorità hanno rivelato un piano degli Emirati
Arabi Uniti per cacciare l’attuale monarca. Una forza di 15.000 contractors –
principalmente colombiani e sudamericani addestrati e comandati da americani,
britannici, francesi ed australiani – della ex Blackwater avrebbe dovuto
rimpiazzarlo con un altro membro della famiglia reale più accondiscendente
verso gli interessi emiratini e sauditi. Il piano non ha però ottenuto “luce
verde” dagli Stati Uniti che nel Paese detengono molti interessi economici e la
maggior base militare dell’area. Per il resto, il ricorso a contractors e
truppe straniere da parte di Doha sarebbe abbastanza limitato. Un contingente
di operatori ugandesi presidierebbe strutture governative, con un coinvolgimento
crescente con l’approssimarsi della FIFA
World Cup del 2022.

Viene
segnalata anche la presenza di PMSC turche a sostegno delle forze armate
locali: la SADAT  e Akademi Sancak. Tali società,
specializzate nella fornitura di servizi di vigilanza, protezione,
addestramento e supporto di forze armate, in Qatar organizzano lunghe esercitazioni
per Esercito e Marina.
Chi sta
maggiormente ricorrendo alle PMSC nel Golfo è pero Khalifa bin Zayed bin Sultan
Al Nahyan, emiro di Abu Dhabi e presidente degli Emirati Arabi Uniti.
Lanciatosi in svariati conflitti locali e non (lotta all’ISIS, Yemen, Libia,
Afghanistan e Somalia), per le proprie forze armate ha adottato “non solo i
migliori equipaggiamenti, ma anche talenti”.
Nel 2010
Al Nahyah ha assunto Erik Prince per costituire un’unità per operazioni
speciali: antiterrorismo, difesa dei pozzi petroliferi, dei palazzi e
repressione di rivolte internazionali. Un contingente a nazionalità mista,
arruolato dagli emiri con un forte contributo economico saudita, da impiegare
anche nella guerra in Yemen
e bombardamenti aerei in Libia, in supporto a
Khalifa Haftar
.
Richard
Clarke, ex zar dell’antiterrorismo della Casa Bianca è da tempo consulente del
principe di Abu Dhabi come CEO di Good Harbor
Security Risk Management.
Numerosi ex alti ufficiali australiani
sono stati assunti anche per dirigere la
Guardia presidenziale
.
Intelligence
e repressioni private
Il
servizio più innovativo fornito dalle PMSC nell’area riguarda la
riorganizzazione e creazione di un vero e proprio apparato d’intelligence
nazionale: quello degli Emirati Arabi Uniti. Ex membri e dirigenti di servizi
d’intelligence occidentali – CIA, principalmente – sono stati riuniti in una
struttura a 30 minuti da Abu Dhabi, con una paga giornaliera di circa 1.000
dollari ed alloggio presso ville o hotel a 5 stelle.
Quest’operazione
senza precedenti è stata avviata nel 2008 da Larry Sanchez, ex agente CIA.
Durante un programma di intelligence-sharing tra il Dipartimento di Polizia di
New York (con cui collaborava per conto di Langley) e gli Emirati, Sanchez ha
instaurato ottimi rapporti con funzionari locali di alto livello, tra cui
al-Nahyan stesso. Dall’addestramento di pochi agenti, il suo ruolo si è esteso
alla creazione di un intero sistema di intelligence, sia interno che esterno,
con tanto di operazioni paramilitari.

Malgrado
ciò, alcune incomprensioni hanno portato Sanchez e la sua CAGN Global ad esser
sostituiti, prima da una società locale gestita da un ex SAS britannico, la LUAA
LLC ed ora da una
sussidiaria di DarkMatter.
Operatori
d’intelligence a contratto farebbero parte anche di una recente proposta
presentata al presidente Trump, avente come oggetto l’istituzione di una rete
di intelligence parallela a quella statunitense ufficiale. Il progetto della
società Amyntor Group comprenderebbe la raccolta di informazioni su terroristi attraverso
“un network di risorse in aree proibite”, un’operazione di propaganda online e
counter-insurgency per contrastare l’estremismo islamico ed un piano di
rendition – operazioni di cattura di ricercati in Paesi ostili e trasferimento
in Paesi terzi Tali spie e paramilitari privati, già operanti in Arabia
Saudita, Emirati Arabi Uniti, Israele, Egitto e altri Paesi del Nord Africa
potrebbero essere collegati agli aguzzini dei principi sauditi, visto il
particolare rapporto diplomatico-commerciale tra
Washington, Abu Dhabi e Riyadh
.
Da più
parti è stato indicato anche un coinvolgimento di Erik Prince, tuttavia, seppur
vicino ai vertici di Amyntor, non risulterebbe – almeno per una volta! – effettivamente
implicato.
Un altro
importante fornitore di soluzioni all’avanguardia in tema di intelligence e
cyber security è Israele. Tel Aviv, infatti grazie all’esperienza maturata nel
settore fornisce soluzioni di altissima qualità che hanno riscosso l’interesse
delle monarchie del Golfo. Nonostante l’apparente inimicizia con Israele ed il
tanto decantato boicottaggio, si sta sviluppando una sempre più ampia collaborazione
ed interscambio
.

I
contractors si sono occupati anche di repressione dei dissensi interni. In
particolare, Governo britannico e società di sicurezza private scozzesi che
collaborano con Paesi come Arabia Saudita e Bahrain, sono state più volte
accusate di violazioni dei diritti umani.
Il report
Arming Repression: The new British Imperialism in the Persian Gulf ha rivelato
che le forniture militari britanniche nella regione ammontavano 16 miliardi di
sterline nel 2010. Forniture che spaziavano dall’addestramento di tiratori
scelti e mantenimento dell’ordine pubblico, alla vendita di maschere a gas e
tecnologia di sorveglianza. Tra le 6.000 licenze d’esportazione rilasciate da
Londra negli ultimi 5 anni, quella della Chemring Defence riguardava munizioni
ed equipaggiamento agli stati del Golfo, nonché maschere antigas utilizzate per
reprimere le rivolte di piazza Tahrir, in Egitto. Inoltre, lo scozzese Graeme
Lamb, ex comandante delle special forces di Sua Maestà ha operato per conto
della Aegis Defence e G3 in Bahrein.
Per ben
1,5 milioni di sterline si è occupato della gestione di una campagna mediatica
pro-regime durante le proteste di piazza. Le società di sicurezza ed
intelligence QinetiQ e Control Risks sono presenti sia in Arabia Saudita che Abu Dhabi
e Dubai.
Inquisitori
a contratto
La
professionalità protagonista del giro di vite saudita resta comunque quella dei
97E (“97 Echoes”, numero di classificazione del corso inquisitori nei college
militari americani). In ambito PMSC, i 97E nascono all’indomani dell’11
Settembre quando, a causa di una drastica fuga di cervelli iniziata negli anni
90, il Governo americano ha dovuto rivolgersi a società private per ottenere
linguisti, traduttori e qualcuno che interrogasse i prigionieri della Guerra al
terrore.
L’operazione
Iraqi Freedom, destinata a concludersi in pochi mesi o addirittura settimane,
non fece altro che convincere le Forze Armate di non aver tempo sufficiente a
ricreare tali figure. Perciò, anche in un’ottica di risparmio, ci si rivolse ai
privati. Iniziò così un processo di selezione ed assunzione frettoloso che
provocò notevoli inconvenienti: non solo molti non conoscevano le tecniche di
interrogatorio, ma nemmeno le basilari nozioni sui diritti umani.

Le due
società principalmente coinvolte nella fornitura di questi servizi sono state
la CACI international Inc e Titan Group. Dopo aver fiutato le
potenzialità del settore, anche Lockheed Martin – uno dei più grossi fornitori
del Governo americano – si è anch’esso lanciato nel business degli inquisitori
privati, attraverso una società controllata.
Generalmente,
agli inquisitori venivano proposti 6 mesi nelle prigioni irachene o afghane,
con turni fino a 14 ore al giorno, 7 giorni su 7. Il salario si aggirava
intorno a 70.000/90.000 dollari oltre a diversi bonus: 2.000 dollari alla firma
del contratto, 1.000 a metà turno e 2.000 a fine missione.
Tali
bonus venivano raddoppiati per chiunque si fosse ripresentato. Nel frattempo le
PMSC addebitavano al Governo fino a 200 dollari all’ora per questi servizi.
Dopo aver
ricevuto materiale informativo ed una settimana di orientamento, gli
inquisitori venivano trasferiti in prigioni come Abu Ghraib, Camp Cropper e
Camp Whitehorse. Lì, affiancavano il personale militare o dell’intelligence
durante sessioni di domanda e risposta, con la possibilità di impiegare fino a
17 tecniche ufficialmente sanzionate. Si dice che l’85% degli interrogatori
condotti dalla CIA dopo l’11 Settembre impiegasse i contractors.
Questi
servizi erano passati sostanzialmente inosservati fino al gennaio 2004, quando
un soldato della Polizia Militare in Iraq consegnò un cd contente immagini di
abusi sui detenuti del carcere di Abu Ghraib: ben 44 casi, dieci dei quali
compiuti da contractors.
La
principale testimonianza sugli “enhanced interrogations” (interrogatori
potenziati) è quella di Erik Fair, contractor di CACI. Dopo che le iniziali
tecniche si sono dimostrate poco efficaci nella localizzazione delle armi di
distruzione di massa, IED e mortai che continuavano a mieter
vittime
, è stato introdotto un nuovo approccio potenziato.
Fair ha
così assistito a posizioni di stress, grida, pestaggi, privazioni del sonno,
isolamenti al buio, musica altissima, alimentazioni rettali forzate, waterboarding,
palestinian chairs (sedia palestinese, inventata dallo Shin Bet, abusi
sessuali ed oltraggi vari.
Qualche
considerazione
Grazie a
truppe private – mercenari prima, contractors poi – le monarchie del Golfo
hanno potuto costituire e rafforzare rapidamente le proprie forze armate e di
sicurezza ottenendo, a tempo zero, numeri e competenze che, diversamente,
avrebbero richiesto anni ed ingenti risorse. Il ricorso a queste realtà ormai
commerciali ha permesso un sistema di difesa più economico.
Dopo un
investimento inziale di una certa entità, infatti si è ottenuto un risparmio
nel lungo periodo, ricorrendovi solo se necessario e mantenendo in servizio
eserciti di consistenza relativamente contenuta. Le PMSCs hanno conferito loro
anche capacità di proiezione finora impensabili; pensiamo alle forze aeree
private schierate dagli Emirati in Libia. Altro vantaggio è quello di poter
operare sui campi di battaglia in maniera occulta e con un costo in vite umane
relativamente basso.

Considerando
i numerosi conflitti in cui quasi tutti gli Stati del Golfo sono ormai
coinvolti ed opinioni pubbliche sempre più orientate – come quelle occidentali
– verso quelle che Luttwak definisce “guerre post-eroiche” (brevi e con poche
perdite tollerate), il costo politico pari a zero della vita di un contractor
straniero costituisce un’indubbia opportunità. Una pratica diffusa – vedasi
Emirati Arabi Uniti e Bahrein – è quella di concedere ai contractors la cittadinanza.
Oltre a
motivarli maggiormente per vantaggi economici e di welfare, ciò regolarizza e
legittima la loro posizione agli occhi dell’opinione pubblica internazionale,
non rientrando più nella definizione di mercenari.
Per
quanto riguarda malcontenti e dissensi interni, l’utilizzo di soldati stranieri
e a contratto ha sempre permesso di condurre operazioni di sicurezza delicate,
senza coinvolgere nei conflitti settari e socio-politici interni le forze
locali.
Questo
risulta particolarmente importante in una regione dove è ben consolidata la
tradizione di golpe militari e cacciate di monarchie impopolari.
Esse,
infatti possono contare sempre meno sull’incondizionata ubbidienza dei propri
cittadini e forze armate, soprattutto in questi periodi turbolenti. Ideologie
radicali, nichiliste e distruttive, disoccupazione ed insoddisfazione giovanile
per la scarsa partecipazione politica ed il potere detenuto da oligarchie
gerontocratiche (l’età media dei vertici governativi sauditi, ad esempio è
di 65 anni,
mentre quella della
popolazione è di 26
)   ha spinto le case regnati a
garantirsi la sopravvivenza attraverso compagnie private.

Storicamente,
soldati stranieri e a contratto hanno sempre avuto meno remore a soffocare le
rivolte nel sangue e violare i diritti umani, rispetto ai corrispettivi
statuali. Gli Emirati hanno una brutta reputazione per detenzioni arbitrarie e
torture di attivisti e dissidenti.
Il
Bahrein non ha avuto problemi a servirsi di truppe inviate dalle monarchie
vicine e di mercenari pakistani. Qatar e Arabia Saudita, esaurita la carta
delle riforme economiche e sociali, dovranno gestire diversamente le sempre più
alte aspettative e desideri di partecipazione politica della popolazione; non è
detto che ciò
avvenga pacificamente…
Sebbene
Donald Trump sia favorevole alla tortura per ottenere informazioni da
terroristi o presunti tali, generali ed alti funzionari l’hanno spesso
contestata. Un interrogatorio supportato dalla tortura risulterebbe infatti
inutile ed inefficace, oltre a ridurre la statura morale dei responsabili agli
occhi del Mondo e creando più nemici di quelli che consentirebbe di eliminare.
Napoleone
Bonaparte considerava “l’osservare e conversare gentilmente con i prigionieri
il miglior metodo per interrogarli”. L’abilissimo inquisitore tedesco, Hanns
Scharff che interrogava i piloti americani durante la II Guerra mondiale, li portava
a fare passeggiate nei boschi, ci faceva amicizia, guadagnava la loro fiducia
ed otteneva le informazioni.
Ai giorni
nostri John McCain, senatore ed ex pilota vittima di torture in Vietnam
concorda con Napoleone. Così come il segretario alla Difesa, James Mattis ed il
direttore della CIA, Mike Pompeo. Mattis, addirittura ha più volte dichiarato: “datemi
un pacchetto di sigarette ed un paio di birre, e farò di meglio,” rispetto a
waterboarding e compagnia bella.

Comunisti,
nazisti ed altri regimi hanno sempre saputo che la tortura non serviva ad
ottenere informazioni, bensì a distruggere i propri
nemici, sia fisicamente che mentalmente.
Acceso
sostenitore di quest’approccio era invece Dan Mitrione, inquisitore della CIA
in America latina tra gli anni 60 e 70: “Il giusto dolore, nel momento giusto,
nella quantità giusta, per l’effetto desiderato”.
Ma
attenzione:“Prima di tutto, devi esser efficiente. Devi arrecare solo il danno
strettamente necessario, non un millimetro in più. Dobbiamo controllare il
nostro temperamento in ogni caso. Si deve agire con l’efficienza di un chirurgo
e la perfezione di un artista”. Una professionalità la sua che gli causerà
rapimento ed esecuzione da parte dei guerriglieri
Tupamaros nel 1970
.
L’uso dei
contractors per gli interrogatori fa parte di un attuale, problematico ed ormai
consolidato trend del Governo americano di delegare sue funzioni delicate ed
esclusive a società private, segnando continui step nell’esternalizzazione di
funzioni prettamente governative.
Oltre a
creare questioni morali, ciò rende difficile la loro responsabilizzazione e
persecuzione di crimini e torture. Il non inserimento nella catena di comando
militare e la mancanza od ambiguità di leggi o strumenti legislativi adeguati,
ha fatto sì che essi non siano quasi mai finiti a processo. Nella storia
americana esiste un unico caso: David Passaro, contractor della CIA condannato
a 8 anni di prigione per la morte di un detenuto afghano, in seguito ad un
interrogatorio.
Per i
crimini di Abu Grahib, mentre 11 militari sono stati condannati, nessun dei 5
contractors implicati è mai stato processato. Nel 2008, funzionari del
Dipartimento di Giustizia americano hanno informato il Senato di essersi
astenuti dal perseguire almeno 22 presunti casi di abusi commessi dai contractors
in Iraq e Afghanistan.
Sebbene
CIA e Dipartimento della Difesa abbiano bandito l’impiego d’inquisitori
privati, esisterebbero tuttavia eccezioni in caso di vitali questioni di
sicurezza nazionale. Inoltre, un ampio bacino di maestranze sono comunque
disponibili sul mercato al miglior offerente.

Alla
comprensione del fenomeno delle PMSCs nel Golfo, risulta infine imprescindibile
un’osservazione particolare delle dinamiche interne ed esterne di Arabia
Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Nel Regno saudita il principe Mohammed bin
Salman, giovane dalle idee riformiste e moderate, si trova in netto contrasto
con il clero wahabita e la parte più conservatrice di nobiltà e forze armate.
L’impossibilità di fidarsi di loro, lo rendono un cliente naturale ed obbligato
dei contractors per l’ascesa
e riforme.
Gli
Emirati Arabi Uniti, invece più piccoli, moderni e relativamente meno
conservatori hanno sempre sofferto un “controllo paterno” da Riyadh; una
situazione da cui hanno sempre cercato di affrancarsi, anche con una politica
regionale indipendente ed aggressiva. Nonostante i rapporti non sempre buoni, a
partire dall’11 Settembre i due Paesi hanno iniziato a cooperare sempre più
attivamente su questioni di sicurezza regionale (intervento congiunto in
Bahrein e Yemen, sostegno
degli stessi ribelli in Siria e Libia).
Vista la
collaborazione anche in ambito contractors, la formazione di un intelligence
emiratina a cura di privati avrebbe posto le basi per un programma simile anche
in Arabia Saudita, forse preludio per ulteriori sviluppi nonostante la fase di
stallo in cui versa da almeno un anno a questa parte. La “corsa all’oro” in
Iraq si è esaurita da tempo per i contractors, ma il Golfo si è mantenuto un
mercato stabile; anzi Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita paiono
rappresentarne il nuovo Eldorado…

Foto: AP,
AFP, Reuters, Getty Images, Twitter, Facebook, Warzone e Event Chonicle.