Suore sfruttate: l’inchiesta dell’Osservatore Romano
LetteraDonna, 02 marzo 2018
Teologhe
di primo livello costrette a lavare pavimenti e cucinare. Senza contratto e,
spesso, vittime di abusi di potere.
Ci sono i laureati in filosofia che finiscono a girare hamburger da McDonald. E suore laureate in teologia che vengono «mandate a cucinare o a lavare i piatti». Magari dopo aver «insegnato per molti anni a Roma». Che la Chiesa avesse qualche problema con le donne era risaputo, ma un'inchiesta realizzata dalla giornalista francese Marie-Lucile Kubacki e pubblicata dall'Osservatore Romano ha svelato come in molti ambienti ecclesiastici sia diffuso, nei confronti delle suore, quello che può essere definito come un vero e proprio sfruttamento sistematico.
Retribuzione modesta
È suor
Maria a delineare i contorni del fenomeno: «Alcune di loro servono nelle
abitazioni di vescovi o cardinali, altre lavorano in cucina in strutture di
Chiesa o svolgono compiti di catechesi e d’insegnamento [...] si alzano
all’alba per preparare la colazione e vanno a dormire una volta che la cena è
stata servita, la casa riordinata, la biancheria lavata e stirata.... In questo
tipo di 'servizio' le suore non hanno un orario preciso e regolamentato, come i
laici, e la loro retribuzione è aleatoria, spesso molto modesta». Insomma,
qualcosa che sta a metà tra il lavoro e il volontariato, un'area grigia di cui
qualcuno approfitta e che lascia campo libero, in alcuni casi, anche «a veri e
propri abusi di potere».
Se la donna vale meno dell'uomo
Suor
Paule ha un'idea ben precisa di quale sia la mentalità che permette a questo
sistema di andare avanti: «Dietro tutto ciò, c’è purtroppo ancora l’idea che la
donna vale meno dell’uomo, soprattutto che il prete è tutto mentre la suora non
è niente nella Chiesa». Eppure, verrebbe da dire, proprio le suore sembrano
essere un ingranaggio fondamentale della vita comunitaria, senza i cui servizi
le cose non funzionerebbero allo stesso modo. Ma in cambio di questo lavoro
(spesso sminuente, perché molte suore hanno profili accademici elevati) non
ricevono alcuna garanzia. Possono sì andarsene quando vogliono, non essendo
contrattualizzate, ma allo stesso modo possono essere mandate via. Spesso
sperimentando sulla propria pelle una grande irriconoscenza e convivendo con
«una forte tensione interiore».
Un manifesto da cui partire
Eppure
qualcosa potrebbe cambiare. Nel numero di marzo di Donne chiesa mondo, il
magazine dell'Osservatore romano, alcune donne hanno stilato un manifesto che
analizza la situazione corrente e pone alcuni punti programmatici per affermare
il proprio valore e le proprie professionalità. Soprattutto, rigettano
l'immagine di una donna credente che deve offrire il suo servizio gratuitamente
in quanto donna di fede, e pongono tre criteri imprescindibili per mettersi al
servizio della Chiesa: «Assertività: non temiamo di proporre, di chiedere
riconoscimento per ciò che facciamo e portiamo alla comunità; Libertà: il
nostro agire non è finalizzato a conquistare posti di prestigio e questo ci
mette in condizioni di non ricattabilità; Alleanza femminile: là dove siamo e
tra noi scegliamo di essere alleate delle sorelle che incontriamo e soprattutto
di non cadere nella rivalità tra donne per ottenere l’approvazione maschile».
Forse, anche per la Chiesa, il tempo è scaduto. O, meglio #TimesUp.