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Siria, il destino degli orfani di guerra. L’allarme dell’Unhcr: «Accoglieteli»

Redazione,
Left, 6 marzo 2018

La guerra
continua mentre finisce. Finisce per alcuni con una morte ancora quotidiana,
per altri con un inaspettato ritorno.

Douma,
Ghouta est, 5 marzo 2018
Mentre la Siria affronta la sua ultima
dissoluzione letale e avanza l’operazione turca “ramo d’ulivo” ad Afrin e
provincia contro i curdi, l’assedio di
Ghouta est affama e uccide centinaia di civili
. come rende noto
l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus). Altri ne muoiono
per le bombe che cadono su Damasco. Nei territori tornati sotto controllo,
invece, alcuni dei figli dei militanti dell’Isis, ormai sconfitto nelle sue
vecchie roccaforti, tornano a casa. Secondo gli ultimi dati, ci sono 5mila
persone, tra bambini e familiari dei terroristi, ora tra gli orfanotrofi e i
campi profughi nel territorio tra Siria e Iraq.
 Dopo le
macerie siriane dove il loro destino si è incrinato, pochi Daeshis, – come li
chiamano, cioè i familiari dei miliziani del Daesh, lo Stato Islamico -, devono
ricominciare una nuova vita. Alcuni sono apolidi, figli delle vedove o delle
mogli di quelli che chiamavano “i leoni del Califfato”: si calcola che circa
5mila bambini siano nati dai matrimoni dei foreign fighters con donne del luogo
o straniere che si sono unite al regno di Al Bagdhadi che non esiste più.
Alla fine
dell’anno scorso le Nazioni Unite si sono espresse
: «l’Unhcr è
preoccupata per il destino dei bambini e il rischio di apolidia» e ha fatto
pressione affinché venissero «registrate le nascite dei bambini a cui va
assicurata una nazionalità. È vitale per permettere a queste giovani vittime di
guerra, che hanno già assistito a tanto dolore, di risiedere legalmente in un
Paese, con un senso di identità e per la società a cui appartengono, per andare
a scuola, sviluppare il loro potenziale, per un futuro costruttivo e di pace».
Sul
destino di questi bambini si accende il dibattito. Hans Georg Maasen, a capo
dell’intelligence tedesca, ha messo in guardia su eventuali rischi. La Francia
ne ha rimpatriati 66, che hanno ricominciato una nuova vita con delle famiglie
adottive o con parenti alla lontana, mentre alcuni, già più che adolescenti,
sono finiti in prigione. Nel Regno
Unito il dibattito è ancora aperto, 800 jihadisti erano inglesi
e se
non sono morti durante il conflitto, tenteranno di tornare indietro, nella vecchia
patria, forse per commettere nuovi attentati. Sui bambini però ancora nessuna
decisione ufficiale è stata presa. Un rapporto
di Frontex solleva il problema
ancora della sicurezza di fronte
all’arrivo di donne e bambini provenienti dalle zone di guerra.

Se
l’Europa non va di fretta nel riaverli indietro e la questione della gestione
del loro ritorno rimane aperta, c’è un Paese che più degli altri, li fa tornare
a casa. Non tanto
Mosca, quanto Grozny, capitale della Cecenia, vuole che i bambini musulmani
vengano salvati
. È una questione che anima il dibattito pubblico. Dalla
Federazione russa oltre 2500 musulmani
– soprattutto da Cecenia e
Daghestan – sono partiti per unirsi alle file dell’Isis e molti hanno costretto
mogli e figli, spesso contro la loro volontà, a seguirli. Dai 70 ai 120: sono i
bambini ceceni che vivono ancora in Siria, secondo Kadyrov. Ogni bambino che
torna a casa in Cecenia è una vittoria del leader da pubblicizzare in tv agli
occhi dei suoi cittadini. Sono 400 i minori di origine russa tra Siria e Iraq,
secondo Anna Kuznetsova, commissario dei diritti dei bambini, e sono un’eredità
non reclamata che il Califfato si è lasciato indietro mentre retrocedeva dalle
posizioni conquistate. In Russia finora sono tornati 71 bambini e 26 donne
dallo scorso agosto: “cos’altro dovremmo fare, aspettare che qualcuno di nuovo
li recluti?” ha detto Ziyad Sabsabi, senatore russo che gestisce il programma
dei rimpatri. “I bambini hanno visto cose orribili, ma se cambiano ambiente,
con i loro nonni, cambieranno subito anche loro”.