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Senza il diritto all’aborto la Polonia non può essere un Paese per donne

Di Giovanna
Pavesi, Lettera Donna, 23 marzo 2018

Ogni anno
80 mila donne lo praticano in modo illegale. L’ultima proposta di legge vuole
proibirlo anche in caso di gravi anomalie fetali. E Varsavia insorge.

Votarono
per la prima volta nel 1918, dopo la riconquista dell’indipendenza. Era
l’inizio del Novecento e la Polonia fu uno dei primi Paesi a estendere il suffragio
alle sue cittadine.
Oggi è l’unico Stato europeo mai andato in recessione negli anni delle crisi,
con un tasso di occupazione femminile al 56.6 per cento. E anche in fatto di
parità di genere la situazione è dignitosa: nel Gender Inequality Index, del
2013, la Polonia si è classificata 26esima su 152 Paesi. Se tutto questo può
portare a pensare che sia un Paese per femmine, il quadro diventa drammatico se
si parla di un diritto umano
come l’aborto
.
Esattamente cento anni dopo quella rivoluzione sociale nel 1918, in quello
stesso Stato, si discute un disegno di legge che vorrebbe limitare
l’interruzione di gravidanza e, di fatto, vietarla. Quasi completamente. Si
chiama «Stop Abortion», due parole che, se rese concrete, ridurrebbero
ulteriormente i motivi, già ristretti, in base ai quali le cittadine possono
accedere legittimamente all’interruzione di gravidanza nel Paese. Secondo la CNN
sono circa 80 mila le cittadine che, ogni anno, si recano all’estero o
praticano aborti illegali, in casa.
L’ennesima
assurda restrizione
Ultraconservatrice,
cattolica, nazionalista e, per molti aspetti, xenofoba, la Polonia del 2018
possiede già uno dei sistemi più stringenti d’Europa in termini di legislazione
sull’aborto. Che risulta legale soltanto per salvaguardare la vita o la salute
delle mamme, in casi di gravi malformazioni al feto o quando la gravidanza è il
risultato di uno stupro o di un incesto. Eppure, anche queste circostanze,
spesso, non sono sufficienti per l’applicazione della norma. L’ultima proposta
di legge, infatti, punterebbe a proibire la pratica anche in caso di gravi
anomalie fetali. Mettendo definitivamente a rischio la salute della donna
coinvolta.
Secondo le statistiche ufficiali, diffuse anche da Human Rights Watch e da
diverse organizzazioni non governative, il 96% degli aborti legali in Polonia,
riguarderebbe proprio questo frangente. Tutto il resto è sottotraccia.
Invisibile. Di conseguenza, anche se le statistiche ufficiali parlano di circa
mille aborti all’anno, numerose associazioni non governative hanno stimato che
150 mila donne all’anno terminano la loro gravidanza illegalmente.
Il
consiglio di stato si oppone
I
tentativi per fermare la proposta di legge sono stati tanti, anche in Parlamento.
Tutti rigettati nelle ultime settimane. Uno di questi suggeriva la legalizzazione
dell’aborto fino alla fine del primo trimestre e un accesso limitato alla
pratica dopo questo periodo. Inoltre, il testo cercava di migliorare anche
altri aspetti riguardanti la salute riproduttiva delle donne, come l’accesso
all’educazione sessuale e alla contraccezione d’emergenza.
Per HRW, se il disegno di legge dovesse passare, il Paese violerebbe, di fatto,
gli obblighi internazionali in materia di diritti umani e negherebbe alle sue
cittadine il pieno diritto alla salute. Nel documento diffuso il 22 marzo
dall’organizzazione non governativa si legge infatti: «Proibire l’interruzione
di gravidanza violerebbe il diritto alla vita, all’assistenza sanitaria, la non
discriminazione e l’uguaglianza, la privacy e la libertà da trattamenti
crudeli, disumani o degradanti».
Una
manfiestazione pro-aborto il 13 gennaio 2018.
Le donne
in piazza, in nero, dal 2016
Aborti
clandestini per chi è meno abbiente o chi viene dalle zone rurali. Viaggi in
cliniche private, magari nella vicina Germania, per chi se lo può permettere.
Dal 2011 al 2016, pressoché ininterrottamente, il governo polacco ha cercato di
introdurre proposte di legge che vietassero completamente ogni forma di
interruzione di gravidanza. La forte componente cattolica del Paese ha fatto il
resto. Le donne, però, per protesta, hanno iniziato ad affollare le piazze già
nel 2016. E non hanno mai smesso. Sfilano vestite di nero, come loro stesse
definiscono le condizioni dei diritti femminili nel Paese. Dove raramente,
ufficialmente, si può parlare di contraccezione, diritti sessuali e
pianificazione familiare. Il contrario di quanto accadeva durante il periodo
comunista. Ma dopo il crollo del regime, secondo Krystyna Kacpura, dirigente
della Federazione per le Donne, i politici di Solidarnosc, insieme agli ex
comunisti, nei primi Anni ’90, decisero di far pagare alle donne il prezzo del
servizio che la Chiesa rese alla Polonia nel 1989. L’aborto fu praticamente
proibito, tranne in alcuni casi, e diverse donne private dei propri diritti
civili.
Le
manifestazioni in corso a varsavia
La Corte
europea dei diritti umani, in passato, aveva già stabilito che il governo,
ostacolando l’accesso tempestivo all’aborto, aveva violato i diritti delle sue
cittadine. E oggi, diversi corpi internazionali a difesa dei diritti umani,
come UN Human Rights Committee, Committee on Economic, Social and Cultural
Rights, Commitee on the Elimination of all Forms of Discrimination against
Women, Committee Against Torture, hanno chiesto alle istituzioni polacche di
rimuovere tutte le barriere e fare in modo che a ogni cittadina sia assicurato
un accesso sicuro alla pratica.
Domenica ci sono state prime proteste contro il divieto d’aborto davanti alla
curia vescovile. Il 23 marzo a Varsavia sono in programma due comizi: uno sotto
la sede cardinalizia, l’altro sotto il parlamento. I due cortei si incontreranno
poi davanti alla sede del partito al potere Pis del leader Jaroslaw Kaczynski.
Per reclamare un diritto umano.