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Sarkozy diventa il capro espiatorio per la guerra di Libia

Di Gianandrea Gaiani, AnalisiDifesa, 24 marzo 2018

Umiliato
e sbeffeggiato a seguito dell’incriminazione per le tangenti di 5 milioni di
euro pagate da Gheddafi per la sua campagna elettorale, l’ex presidente
francese Nicolas Sarkozy sta diventando negli ultimi giorni il capro espiatorio
a cui attribuire tutte le colpe per la sciagurata guerra del 2011 contro il
regime di Tripoli.
Una
lettura di quegli avvenimenti certo comoda per molti ma riduttiva, poiché quel
conflitto venne cercato, per ragioni in parte diverse, anche da USA, Gran
Bretagna, Qatar ed Emirati Arabi Uniti.
Barack
Obama, influenzato anche da consiglieri della sua amministrazione legati ai
Fratelli Musulmani, ha sostenuto tutte le primavere arabe con l’obiettivo di
rimpiazzare i regimi laici esistenti con governi islamici “moderati” e quello,
non di minore importanza per la strategia americana, di destabilizzare le aree
energetiche alle porte dell’Europa.
Il primo
punto era condiviso col Qatar, il cui intelligence ha organizzato la rivolta di
Bengasi che ha dato il via al conflitto e il cui esercito, senza uniformi e
mischiato ai ribelli, ha strappato Tripoli ai governativi.
Tutte le
petro-monarchie ereditarie del Golfo, pur se rivali tra loro, hanno sempre
cercato di impedire che le “primavere” portassero all’affermarsi di regimi
laici democratici in grado quindi di metterne in discussione la legittimità.
In questo
contesto Londra e Parigi hanno rappresentato in Libia lo strumento militare
della politica degli emirati del Golfo, che in Francia e Gran Bretagna hanno
investito centinaia di miliardi di euro influenzando direttamente la politica
delle due potenze europee, da quella estera e militare a quella interna
riguardo all’immigrazione islamica.
Sia
Sarkozy che il premier britannico David Cameron colsero inoltre l’opportunità
di scalzare definitivamente l’Italia e i suoi interessi in termini energetici e
di commesse dalla sua ex colonia. Rapporti che si erano consolidati dopo la
firma del Trattato di Amicizia italo-libico del 2009.
 
Sarkozy
quindi, come i suoi successori, ha certo trovato in Qatar, Emirati arabi uniti
e Arabia Saudita investitori e partner ben più ricchi di Gheddafi, anche in
termini di commesse militari all’industria francese.
Poco pima
della morte di Gheddafi suoi figlio Saif dichiarò di non comprendere il motivo
dell’ostilità francese dicendosi con un filo di ironia pronto a riconsiderare
l’acquisto di caccia francesi Rafale a cui erano stati preferiti i Sukhoi
russi.
Le
“bustarelle” rappresentano quindi solo in dettaglio in una strategia ben più
ampia e non certo solo di matrice francese, anche se possono aver avuto un
ruolo determinante nella volontà di Sarkozy di ottenere l’uccisione di
Gheddafi, in cui pare siano stati coinvolti direttamente i servizi segreti
d’oltralpe (DGSE).
Non c’è
dubbio che, se fosse stati catturato vivo, Gheddafi avrebbe potuto svelare non
pochi retroscena imbarazzanti per i suoi nemici occidentali e arabi.
Un’ulteriore conferma che la guerra alla Libia fu determinata da un progetto
ben più ampio ci giunge dalla considerazione che l’ostilità palese di Parigi nei
confronti degli interessi italiani in Libia non è certo venuta meno con i
successori di Sarkozy.
I
presidenti François Hollande ed Emmanuel Macron hanno continuato a cercare di
liberarsi della presenza italiano sostenendo le forze del generale Khalifa Haftar
e più recentemente facendo cacciare da milizie legate a Parigi e affiancate da
consiglieri militari francesi (secondo quanto raccontato da fonti libiche alle
agenzie di stampa) i gruppi armati di Sabratha con i quali Roma aveva trovato
un accordo per interrompere i flussi di immigrati illegali verso l’Italia.
Che dire
poi delle boutade anti-italiane del commissario europeo per l’economia e le
finanze, il socialista francese Pierre Moscovici, sempre pronto a ricordare a
Roma la necessità di non sforare quel rapporto deficit-Pil del 3% che la
Francia ha superato mole volte senza doversi sorbire reprimende da Bruxelles.
Ostilità
e rivalità nei nostri confronti sono caratteristiche fisiologiche e strutturali
per Parigi come per altri partner Ue che considerano l’Italia un pericoloso
competitor ma al tempo stesso un “nano politico” facile da umiliare e tenere al
guinzaglio.
Per
questo fa sorridere amaramente che oggi esponenti politici del centro-destra
esultino per i guai di Sarkozy con lo slogan “ride bene chi ride ultimo” che
ricorda gli sberleffi rivolti all’Italia dal duo Sarkoxzy-Merkel in occasione
di un vertice bilaterale in cui Berlusconi e il suo governo vennero messi alla
berlina.

L’incriminazione
di Sarkozy per le tangenti libiche non ripaga certo l’Italia dei colossali
danni subiti con la guerra in Libia e con le sue drammatiche conseguenze, non
ultima il rovesciamento del governo liberamente eletto rimpiazzato da un
esecutivo imposto da Berlino e Parigi guidato non a caso dall’ex commissario Ue
Mario Monti. Un governo ”d’occupazione” per così dire, voluto dal Quirinale e
che ha inferto il colpo di grazia alla nostra sovranità nazionale.
Quanto ai
danni subiti dall’Italia in seguito alla caduta di Gheddafi basti ricordare la
minaccia alla sicurezza determinata da una Libia fuori controllo, ormai una
Somalia sulle sponde del Mediterraneo, e dall’arrivo in Italia di oltre 700
mila immigrati illegali dal 2011 ad oggi.
Colpe che
non ricadono solo su Sarkozy e sulla Francia. Non dimentichiamo che furono gli
Stati Uniti a colpire con un attacco devastante le difese di Gheddafi,
annientandole.
Obama
però non aveva il via libera del Congresso per condurre una guerra su vasta
scala e lasciò le operazioni agli alleati europei, che impiegarono ben sette
mesi per avere ragione delle deboli forze di Gheddafi. Per colmo del ridicolo,
esaurite le bombe d’aereo, alcune aeronautiche europee dovettero addirittura
chiederle in prestito all’Usaf!

Una
guerra a cui, su pressioni dirette di Washington, anche il governo italiano
decise di partecipare, si disse per non “restare isolato” dagli alleati Nato e
Ue e impedire così che i raid aerei francesi distruggessero gli impianti
dell’ENI.
Resta
però il fatto che partecipando alla guerra l’Italia ha bruciato la sua
credibilità violando il Trattato di amicizia con la Libia del 2009 che vietava
espressamente persino di prestare basi militari a paesi terzi per condurre
attacchi. Quello compiuto ai danni di Gheddafi fu un altro “8 settembre” che ha
mostrato al mondo quanto sia credibile l’Italia e quanto valga la parola dei
suoi governanti.
Troppo
comodo quindi attribuire quella disfatta agli interessi stranieri o alle
“bustarelle” di Sarkozy, quando il centro-sinistra italiano con una 
vecità senza precedenti si schierò a favore della guerra solo perché
simpatizzava con Obama e considerava Gheddafi “amico di Berlusconi” mentre nel
governo di centro-destra solo il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto osò
esprimersi pubblicamente contro l’intervento.

Peraltro,
senza le basi italiane, quella guerra i nostri “alleati” non l’avrebbero
tecnicamente potuta combattere. Obama non avrebbe mai avuto dal Congresso il
via libera a condurre operazioni di lunga durata e per sostituire le basi
italiane avrebbe dovuto schierare non meno di tre o quattro portaerei. Gli
altri belligeranti non avrebbero potuto fare molto: Londra non aveva portaerei
e Parigi ne aveva e ne ha una sola mentre far decollare i jet dalla Corsica o
dalla Francia meridionale avrebbe richiesto costi altissimi e una flotta di
rifornitori in volo che nessun paese europeo schiera.
Opponendosi
con fermezza al conflitto, Roma non solo lo avrebbe scongiurato mantenendo fede
per una volta ai trattati firmati ma avrebbe guadagnato una consistente
reputazione e influenza sui paesi di Africa del Nord e Sahel, tutti
pubblicamente ostili all’intervento contro Gheddafi.
Mostrando
gli attributi per difendere i suoi interessi nazionali magari l’Italia sarebbe
pure riuscita a tutelare meglio la propria sovranità.

Foto:
Ansa, AP, Reuters e AFP.