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Razzismo quotidiano tedesco, libertà dell’idiozia e AfD Conversazione con Sami Omar

di Kira Ayyadi, Belltower News, 12 marzo 2018. Traduzione italiana di Milena Rampoldi, ProMosaik. Sami Omar è nato in Sudan e cresciuto nella cittadina di Ulm in Germania meridionale. É autore e moderatore e si occupa di migrazione, integrazione e discriminazione. Ha appena pubblicato “Sami und die liebe Heimat/ Sami and the Beloved Homeland”, una raccolta bilingue (tedesco/inglese) dei suoi testi.

Con lui abbiamo parlato della sua infanzia e giovinezza come afrotedesco in Svevia, sugli eroi/le eroine errati e di come a volte l’unica soluzione rimangono le patatine.

Belltower.News: Sei nato in Sudan da genitori eritrei e sei cresciuto come figlio di genitori tedeschi nella cittadina di Ulm in Svevia. La tua infanzia era diversa da quella dei bambini bianchi?

Sami Omar: Senza dubbio il mio bisogno di amore e protezione da parte della mia famiglia era superiore alla media. Questo ha a che vedere con i miei primi anni di vita abbastanza agitati. La mia infanzia era diversa perché vi erano cose e situazioni che mi rendevano l’”altro”. Essere l’unica persona di colore in famiglia non mi ha reso “estraneo”. Erano le domande, lo scetticismo e lo stupore che questo presunto “essere fuori luogo” causava in determinate persone. Sviluppavo dei concetti per questi fenomeni prima di trovare le parole per designarli. Credo che questo aspetto lo abbiano in comune molte persone “rese diverse”. A volte ci si rende conto della violenza subita, senza trovare le parole per definirla.
Scrivendo su questo tema  distacco il dolore e la rabbia dall’avvenimento e mi rendo capace di narrare. Non lo faccio perché me lo chiedono, ma perché lo voglio fare e in questo modo sono in grado di mostrare i meccanismi di queste ferite.  

Nel tuo libro dici che ci sono degli eroi/delle eroine della tua infanzia e giovinezza dai/dalle quali ti sei dovuto separare a causa delle loro affermazioni razziste, tra cui ad esempio Hannah Ahrendt

Non ho mai veramente rotto con gli eroi che nomino nel libro. Anche Hannah Ahrendt continuo a leggerla in modo dilettantistico. Quello che invece vorrei mettere in evidenza è l’impossibilità di poter essere un fan senza riserve nel contesto di una tensione come questa. Il mio distacco da loro in un certo senso mi ha preso la leggerezza entusiasta dell’atteggiamento acritico.
Ne parlo perché attraverso la socializzazione e la formazione dei tedeschi neri  in Germania si creano situazioni assurde.  Gran parte dei programmi scoalistici  si riferiscono a persone che ci ritengono esseri umani inferiori. Ci confrontiamo con i contenuti delle loro dottrine e vorremmo svilupparci intellettualmente. Ma non sengiamo parlare  del loro razzismo perché non ci hanno mai pensati come recipienti. Ritengo che oggi come oggi la diversità etnica degli allievi comunque debba essere presa in considerazione, affrontando anche questo aspetto dell’insegnamento.

Un’inchiesta condotta l’anno scorso dalle Nazioni Unite ha analizzato la situazione delle persone nere in Germania, si conclude  con un pesante atto di accusa. In Germania le persone di colore spesso sono vittime di discriminazione razziale da parte di compagni di scuola, colleghi di lavoro e subiscono discriminazione strutturale da parte del governo e delle autorità di contrasto. Che esperienze hai fatto tu personalmente?
Molte esperienze non me le ricordo più. Le porto con me come delle cicatrici sottocutanee. Dovrei toccarle volutamente per poterle descrivere. Altre cose invece hanno lasciato le loro tracce. Il fatto che io difenda il mio “essere-tedesco” con tanta testardaggine contro i tentativi di estraneizzazione, ad esempio ha certamente a che fare con il mio maestro elementare. Quando imparavamo il Canto dei tedeschi, mi diceva di lasciare l’aula perché non era il mio inno. Questa ricerca dell’ONU ha avuto un effetto strano: ha dimostrato dati di fatto vissuti da numerose persone nella loro vita quotidiana in Germania. Parliamo di quello che succede alle persone di colore e nere in Germania, raccontiamo la loro storia e accusiamo. Eppur ci vuole questo patrocinio dell’ONU. Ne sono felice e rattristato allo stesso tempo. Si potrebbe saperlo se si ascoltassero le vittime, invece di vedere i loro racconti come una critica nei confronti dell’immagine di se del tedesco che afferma di non essere razzisti.

Il tuo “essere tedesco” oggi viene ancora messo in dubbio?
Ma certo. Il fatto che sono tedesco per molti è ovvio e per altri è una pretesa. Spesso sento e leggo l’analogia tratta da una favola secondo cui il topo che – solo perché vive nella stalla del cavallo – non è un cavallo. Questo dimostra che anche i razzisti hanno una certa sensibilità per le metafore. E dimostra anche che il concetto dell’”essere tedesco” troppo spesso si basa ancora su un concetto di razza, caratterizzato da una credenza nell’omogeneità etnica. Confutare questa tesi è il compito educativo di coloro che fanno parte “per natura” di questo popolo. Spero ad esempio che il confronto diretto di molti parlamentari ancora timidi con l’AfD nel Bundestag renda necessario affrontare la questione del razzismo – anche se solo a livello superficiale.

Nel tuo libro scrivi che la parola razza dopo la seconda guerra mondiale è stata sostituita dal concetto della cultura. Che cosa vuoi dire con questo?
Fortunatamente la maggior parte della società rifiuta il concetto di razza. L’ideologia alla base però è ancora molto in auge. Spesso il valore di un essere umano viene rapportato allo stato della sua cultura e per riferimento incrociato al suo colore di pelle o alla sua etnia. L’AfD nel suo programma di partito afferma che “le tendenze culturali importate vengono equiparate con cecità storica con la cultura locale, relativizzando dunque profondamente i suoi valori”. In questo ad esempio vedo un’elusione voluta del concetto di razza mantenendone il contenuto – e una concezione veramente ridicola della cecità storica.

Come ti spieghi che nell’AfD ci sono persino membri di colore?
Mentre stavo facendo una ricerca su un’altra tematica riguardante l’AfD, ho scoperto che nell’AfD ci sono diversi membri di colore. Credo che nella maggior parte del partito viga l’alibi di Roberto Blanco [cantante tedesco di origine afrocubana, NdE]. Si usa una persona di colore nella propria cerchia per dimostrare la propria non-colpevolezza quando si tratta di razzismo. Infatti si può sempre fare la controdomanda: Se sono razzista, perché dovrei avere un amico nero?
Affermo di continuo che gli esseri umani sono tutti uguali e hanno lo stesso valore. Non ho mai detto che siamo tutti ugualimente intelligenti! Queste persone di colore ci dimostrano chiaramente la differenza. Ma credo che tutti abbiano la libertà dell’idiozia. Il loro numero è ridotto e spero che anche la loro influenza lo sia.

Scrivi che anche i tuoi bambini fanno esperienze di razzismo. In famiglia come le affrontate?
Siamo fieri della loro riflessività di fronte a tali situazioni  e cerchiamo di parlare apertamente con loro delle offese. Tutti i sentimenti di sdegno, tristezza e indifferenza che provano vanno bene.
Ma è anche vero che a volte non potremmo proteggerli. Spero che a casa trovino un luogo ove sentirsi sicuri e riflettere. E se non c’è via d’uscita, ci prepariamo di solito un piatto di patatine e di chicken nuggets.
Sami und die liebe Heimat / Sami and the Beloved Homeland
Sami OmarMilena Rampoldi(Übersetzerin)
epubli 2018
ISBN: 9783746705071
10,99 €

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