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Processo Ahed, perché un nuovo rinvio?

Di Jean
Georges Almendras, Antimafia Duemila, 18 Marzo 2018

Per la
settima volta spostata la data dell’udienza per la 17enne palestinese


 
Che
intenzioni hanno le autorità israeliane rinviando ancora una volta il processo
e quindi la sentenza contro la combattente palestinese Ahed Tamimi? Perché
costringerla ancora a vivere nell’incertezza sulla sua sorte?

Per la settima volta, infatti, hanno rinviato il processo e non sembra sia
dovuto a una crudele burocrazia, quanto a motivi extragiudiziari, cioè
politici. Un rinvio che obbedisce ad una dottrina repressiva.



Ahed è
una prigioniera politica in ogni senso. Ecco perché è oggetto di mortificazioni
e prepotenze: bisogna allungare le istanze del processo e mantenerla relegata
in una cella. Una sorta di ammonimento e di punizione per aver affrontato i
soldati del regime. Furono filmati mentre uno di loro riceveva lo schiaffo di
Ahed, i calci e le proteste per essersi introdotti nel cortile di casa sua,
considerato dai palestinesi spazio libero.



Ahed
Tamimi non è una prigioniera comune. La sua storia è nota a tutto il mondo e
ciò disturba parecchio il regime sionista, preso dall’ira, che preferisce
coprire e nascondere tutto, non importa come.



I nazisti
facevano la stessa cosa, prima di essere scoperti. Prima che l’olocausto fosse
noto a tutti, bisognava darle un altro volto: quello degli ebrei catturati e
portati in centri per rifugiati, di rieducazione, quando in realtà venivano
caricati in vagoni come bestiame e portati ai campi di sterminio.



Sembra
che i sionisti non abbiano dimenticato quelle pratiche. Perché adesso sono
proprio loro a commetterle contro il popolo palestinese, in un altro tempo e
con altri metodi, non meno crudeli.



A
febbraio Ahed fu portata di fronte al Tribunale Militare per essere giudicata
in merito ad una decina di imputazioni. 
Quel
giorno i giornalisti locali e internazionali furono mandati via dalla sala dove
si teneva l’udienza, insieme al pubblico. L’udienza si svolse a porte chiuse,
senza le garanzie del diritto a giusto processo, trattandosi di una minorenne
arrestata a dicembre dello scorso anno. Quel giorno si decise di rinviare il
processo all’11 marzo. Ma anche in questa occasione tutto è stato fatto
all’insegna del segreto e dell’arbitrarietà.



Nuove
proteste sono giunte dal suo avvocato, dai familiari e compagni di lotta, per
poi estendersi sul territorio nazionale. È una protesta che viene da lontano,
dal 1948, quando la Palestina iniziò ad essere calpestata e spazzata via. E
sono 70 anni che la situazione non cambia.



Nonostante
tutto, si è diffusa nel mondo una notizia gratificante: Ahed Tamimi ha ricevuto
il Premio della Lotta per la Liberazione della Palestina assegnato
dall’Intergrupo del Congreso Español, di cui fanno parte diversi partiti
politici,
L’avvocato di Ahed, la dottoressa ebreo-messicana Gaby Lasky, ha detto che il
Tribunale Militare sta “cercando delle prove convincenti” per poter infliggere
una sentenza esemplare contro l’attivista.

Nel frattempo, sembra proprio di assistere ad un processo creato per dettare
una sentenza aggiustata a normative e parametri utili al gioco politico.



Ahed
Tamimi attende, con la pazienza della combattente e della rivoluzionaria, lo
svolgersi degli eventi. Ma non è sola, né isolata, nonostante si trovi in una
cella da circa 90 giorni e non ci sia nessuno con lei. Privata dalla sua
libertà fisica, ma non dalla sua libertà di coscienza.

Insieme a migliaia di noi, che siamo già milioni, sparsi in tutto il mondo.