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L’Armenia non è un paese per bambine. Il dramma degli aborti selettivi

Emanuele
Cassano, East Journal,
30 gennaio 2018

L’Armenia
è il secondo paese al mondo per tasso di aborti selettivi, a causa
dell’ossessiva ricerca di figli maschi. Un approfondimento
 
Mariam,
31 anni, è madre di due bambine ed è originaria della regione di Armavir,
Armenia occidentale. Anche dopo la nascita della seconda figlia, ha continuato
a inseguire il suo sogno, avere un maschio, affidandosi ad un calcolo di
probabilità. Ma non appena saputo di essere rimasta incinta e che si sarebbe
trattato di un’altra femmina ha scelto di ricorrere all’aborto. “Mi sento
colpevole di aver preso questa decisione, ma continuo a sperare di avere un
figlio maschio un giorno. Non voglio scoprire ancora una volta che si tratta di
una femmina e abortire di nuovo, non posso… Continuo a ripetermi che la
prossima volta sarà quella buona”.
Spesso,
in Armenia, molte donne come Mariam ricorrono alla pratica dell’aborto
selettivo – spesso spinte in questo dal marito o dalla famiglia – per
assicurarsi figli maschi, mettendo però a serio rischio la loro salute e lo
stesso equilibrio demografico del paese.
Tra i
primi al mondo per tasso di aborti selettivi
Secondo
il 2016 Global Gender Gap Report,
l’Armenia è il secondo paese al mondo per tasso di aborti selettivi, dietro
solo alla Cina. Come ricorda Garik Hayrapetyan, rappresentante di UNFPA Armenia
– agenzia Onu che si occupa di politiche famigliari – il sesso del feto è alla
base del 10% di tutti gli aborti indotti effettuati nel paese caucasico, dove
ogni anno circa 1.400 nascite femminili vengono interrotte. Il problema degli
aborti selettivi è emerso in seguito all’indipendenza del paese, negli anni
Novanta, sebbene in Armenia l’aborto venisse largamente praticato come metodo
contraccettivo fin dall’epoca dell’Unione Sovietica (il primo paese a
legalizzare l’aborto, nel 1920).
Questo
problema non riguarda solo l’Armenia, ma è comune a tutto il Caucaso,
come conferma la presenza nelle prime dieci posizioni della classifica dei
paesi con il più alto tasso di aborti selettivi dell’Azerbaijan (al 5° posto) e
della Georgia (all’8°).
Secondo
un rapporto di UNFPA Armenia del 2013, il paese ha inoltre il terzo più alto
livello di mascolinità alla nascita osservato nel mondo, e una sex ratio tale
per cui per ogni 114-115 maschi nascono solo 100 femmine (la media mondiale è
di 105 maschi per 100 femmine). Questa stessa ricerca dimostra come il divario
aumenti progressivamente a seconda dell’ordine di nascita: mentre il rapporto
tra sessi è relativamente equilibrato per la prima nascita, esso aumenta a 173
maschi per 100 femmine al terzo figlio.
Quali
sono le cause di questo fenomeno?
Per Ani
Jilozian, attivista presso il Women’s Support Center di Yerevan,
questo squilibrio è dovuto principalmente a tre fattori tra loro correlati. Il
primo è la preferenza verso i figli maschi, che deriva da una struttura
familiare in cui le ragazze e le donne hanno un ruolo sociale, economico e
simbolico marginale, e di conseguenza godono di meno diritti. I figli maschi
garantiscono inoltre una sicurezza per ogni famiglia, in quanto hanno il
compito di prendersi cura dei propri genitori e assisterli nel corso della loro
vecchiaia, poiché le donne, una volta sposate, vanno solitamente a vivere
presso la famiglia del marito. Un secondo fattore è lo sviluppo tecnologico
applicato alla diagnostica prenatale, che ha permesso ai genitori di conoscere
il sesso del bambino ancor prima della nascita. L’ultimo fattore è la bassa
fertilità (in media ogni donna armena partorisce 1,7 figli), che riduce la
probabilità di avere un figlio maschio nelle famiglie più piccole aumentando di
conseguenza la necessità di selezionare il sesso.
Sebbene
una statistica di UNFPA Armenia (2012) stabilisca che nel 70% dei casi siano le
donne a scegliere di abortire, non sempre esse sono messe in condizione di
prendere questa decisione in piena autonomia. Secondo uno studio qualitativo
condotto da Ani Jilozian, basato su una serie di interviste realizzate con
alcune donne che hanno fatto ricorso all’aborto selettivo, la maggioranza delle
intervistate, pur rivendicando inizialmente la decisione di abortire, ha
successivamente ammesso che la scelta è stata di fatto indotta dalla forte
volontà del marito o della sua famiglia di avere un figlio maschio. Talvolta
sono gli stessi mariti a prendere la decisione per la moglie, ricorrendo in
molti casi anche a pressioni psicologiche.
Una
legislazione inefficace
Secondo
la legge armena una donna può effettuare un aborto fino alla 12ma settimana di
gravidanza, periodo nel quale il sesso del feto non può ancora essere
determinato, il che dimostra come la maggior parte degli aborti selettivi siano
illegali e rischiosi. Solo il 57% delle donne è però al corrente
dell’illegalità di questo processo e dei rischi che esso comporta.
Recentemente
il governo armeno ha introdotto una nuova legge per combattere il fenomeno
degli aborti selettivi. Secondo la nuova norma, prima di poter effettuare un
aborto, una donna deve partecipare a una sessione di consulenza con il proprio
medico, e successivamente aspettare tre giorni prima di ricevere
l’autorizzazione per l’intervento. Secondo il governo armeno questa legge
dovrebbe aiutare a sensibilizzare le donne sui rischi che comporta l’aborto e a
metterle nella condizione di riflettere meglio.
Come
spiega però Ani Jilozian, questa legge è inadeguata, in quanto limita la libertà
riproduttiva della donna e ne mette a rischio la stessa salute. Dichiarare
illegali gli aborti selettivi non è una soluzione che può combattere
efficacemente il problema, in quanto non elimina le cause principali di questa
preferenza sessuale, le quali sono profondamente radicate nella società
patriarcale armena. Il tentativo di limitare l’accesso all’aborto senza
affrontare le principali cause della preferenza del sesso potrebbe quindi
finire per provocare una maggiore domanda di aborti illegali o non sicuri, in
particolare per le donne provenienti dalle comunità più emarginate.
Inoltre,
seppure negli ultimi anni in Armenia il numero di aborti selettivi sia in
leggera diminuzione, secondo alcune proiezioni, se nel lungo periodo questo
fenomeno non verrà adeguatamente contrastato, entro il 2060 in un paese di soli
tre milioni di abitanti verranno a mancare circa 93.000 donne, ovvero il 3%
dell’attuale popolazione totale. Questo causerebbe un conseguente processo di
emigrazione di una parte della popolazione maschile, destinata ad andare in
cerca di una partner al di fuori del paese, mettendone a rischio l’equilibrio
demografico.