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La voce che la Francia non tollera

15 febbraio 2018 16.28
La sua voce purissima comincia a intonare le prime parole della canzone di Leonard Cohen Hallelujah. La giuria della versione francese del popolare talent show The Voice si gira conquistata: è un momento magico. 



La giovane cantante continua la canzone in arabo, con infinita grazia. Si sente la bellezza del canto, il languore della melodia di Cohen si sposa perfettamente con le note nostalgiche del canto arabo. La musica unisce. Ma purtroppo non per molto.
Oltre ad avere innegabili qualità canore e di interpretazione, Mennel Ibtissem indossa un turbante. E questo sembra ormai un crimine irreparabile in una certa Francia ordinariamente razzista. Quattro giorni dopo, la ragazza deve lasciare il talent in mezzo a un inferno di commenti xenofobi e attacchi violentissimi.
Forse era scritto che il momento magico non dovesse esserci, perché una francese di origine siriana che canta l’Halleluja scritta da un ebreo canadese, in arabo e su una tv francese deve diventare per forza un problema. Censura a catena
Per prima cosa i suoi account sui social network vengono passati al setaccio. Viene fuori che durante gli attentati di Nizza, nel 2016, la ragazza ha pubblicato su Twitter un commento giudicato complottista – si chiedeva perché a ogni attentato si ritrova sempre il passaporto del colpevole – accompagnato da un hashtag idiota #preneznouspourdescons (#ciprendeteperfessi).

Forse è complottista, ma “come i giovani della sua generazione”, spiega in un articolo su Libération Saïd Benmouffok, un professore di filosofia del liceo Condorcet di Limay, nella periferia parigina: “Ha twittato idee stupide a tendenza complottista. Esattamente quello che la maggior parte degli insegnanti francesi ha sentito nelle proprie classi dopo gli attentati di Parigi nel 2015 e poi nel 2016. Niente di più, niente di meno. Come tutti noi, Mennel è una ragazza della sua epoca. La gioventù non scusa niente, ma dà almeno il diritto all’errore. E lei ha chiesto scusa”.
Il caso Mennel Ibtissem avrebbe potuto essere l’occasione per parlare di questo pensiero complottista molto diffuso tra i più giovani che stentano a credere ai mezzi d’informazione tradizionali. Per una grande maggioranza dei giovani francesi, le teorie del complotto sono, almeno in parte, realtà. È il risultato dell’inchiesta condotta per la fondazione Jean Jaurès e Conspiracy Watch: “Il 79 per cento delle persone intervistate in Francia crede in almeno una delle dieci teorie del complotto proposte dal questionario”, e i giovani sono in prima linea, ricordava un dossier di Le Figaro a gennaio: “Rispetto a chi ha 35 anni credono due volte di più nelle teorie cospiratorie”.
La giovane promessa della canzone francese si è scusata, ha ritirato tutto, ha spiegato la rabbia, si è giustificata in ogni modo possibile. Mette addirittura a disagio leggere come una francese ordinaria si senta obbligata a confermare il suo attaccamento alla Francia: “Nata a Besançon, amo il mio paese”. Ha sottolineato che questi commenti non erano pubblici ma condivisi con i suoi amici, ha spiegato che era fuori di sé perché aveva familiari a Nizza al momento dell’attacco. Niente da fare.
Sul piano artistico, il suo profilo conferma anche ciò che ripete dall’inizio del caso: apertura, riferimenti musicali variegati caratteristici di un’epoca di remix, con gusti eclettici e globalizzati, che vanno da Beyoncé ad Adele, da Maher Zein, un cantante inglese musulmano, a John Lennon. Mennel canta e scrive all’infinito messaggi di pace, amore e musica.
Il terzo peccato capitale riguarda il suo aspetto: Mennel indossa un turbante, che si scontra con un’ossessione francese per il velo
Non è sufficiente: Isabelle Morini-Bosc, una giornalista televisiva di un programma popolare: “Mennel non avrebbe dovuto cantare in arabo, con i tempi che corrono…”.
Cantare in arabo, anche questo è diventato un errore imperdonabile. Per il sito marocchino Ya Baladi, quest’avversione per la lingua araba ricorda una lunga storia di intolleranza francese verso la differenza linguistica. “Sembra di essere tornati a un secolo fa, quando i maestri repubblicani umiliavano i bambini bretoni che si azzardavano a parlare in dialetto: stessa violenza, stessa isteria contro una lingua, stessa umiliazione che segnerà generazioni intere”.
Il terzo peccato capitale riguarda il suo aspetto: Mennel indossa un turbante, che si scontra con una “strana ossessione francese per il velo”, come spiega la storica americana Joan W. Scott. Secondo lei, il velo risveglia “l’inconscio politico del repubblicanesimo francese”. L’isteria politica intorno all’abbigliamento femminile si spiega anche con due dati storici del paese: in primis, la differenza sessuale ovvia tra uomini e donne mette in pericolo le basi dell’uguaglianza dell’individuo repubblicano. Secondo, il ricordo dell’ideologia coloniale e della “missione civilizzatrice” è molto vivo nei confronti di queste donne “arabe native”. All’epoca, il loro velo era visto in modo erotico, oggi come simbolo di repressione sessuale. Le reazioni al velo appartengono sempre a una proiezione di un repubblicanesimo estremo.
Concretamente, quest’isteria tutta francese verso il velo è visibile nei numeri degli attacchi islamofobi. Le aggressioni contro i musulmani riguardano molto di più le donne che gli uomini: le donne sono l’81 per cento delle vittime di islamofobia e la quasi totalità delle persone musulmane aggredite con violenza. Il ministero dell’interno in un rapporto dell’aprile 2014, si dichiarava preoccupato per “un fenomeno particolarmente inquietante, l’aumento degli attacchi verso le donne e particolarmente verso quelle che portano il velo”.