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La protesta contro il velo, il coraggio delle donne di Teheran

Sophie
Tavernese
, East Journal, 8 marzo 2018

Si
mettono in piedi su panchine, muretti o centraline elettriche per essere
ben visibili. Poi si scoprono il capo, legano il proprio velo ad un bastone e
lo sollevano in alto. Rimangono lì, immobili e silenziose, con il braccio
alzato e l’hijab che sventola. Un gesto per il quale rischiano fino a due mesi
di prigione e una multa di 100 dollari.
È la protesta
pacifica
delle donne iraniane contro l’uso obbligatorio dell’hijab,
che va avanti da qualche mese nelle principali città dell’Iran. Queste donne
coraggiose, riprese in decine di video divenuti virali sui social con l’hashtag
#girlsofrevolutionstreet – dal nome della via dove tutto è iniziato lo scorso
dicembre, a Teheran -, sfidano il divieto in vigore sin dal 1979. Prima della
rivoluzione khomeinista, infatti, le donne erano libere di scegliere cosa
indossare.
Un desiderio di libertà sostenuto anche da molti uomini che, per solidarietà,
si sono uniti alla protesta. In gioco non c’è soltanto l’uso volontario dell’hijab,
ma anche la conquista di diritti civili e sociali più ampi.
La
polizia, di recente, è corsa ai
ripari
. Decine di trasgressori, in maggioranza donne, sono state
arrestate. E per evitare nuove proteste, gli agenti hanno installato delle
coperture metalliche a punta sopra ogni centralina elettrica, in modo da
impedire che ci si possa salire sopra. Invano. Le donne si sono attrezzate
infatti con piccole pedane in legno per continuare a protestare pacificamente.
L’esempio
di Vida

A trasformare un gesto isolato in una campagna virale è stato il video di una
ragazza iraniana di 31 anni, Vida Mohavedi. Il 27 dicembre scorso, durante le
proteste di piazza contro il caro-vita e la crisi economica a Teheran, si è
fatta riprendere in Enghelab Street – “via della Rivoluzione” in farsi – in
piedi su una centralina, a capo scoperto e con il velo bianco in mano. È stata
arrestata e ha trascorso un mese in prigione prima di essere liberata. Le
immagini della sua protesta sono rimbalzate sui social grazie ai post
dall’attivista iraniana Masih Alinejad che, in esilio da New York, lotta da
anni per i diritti civili in Iran.
Nelle settimane successive, l’esempio di Vida è stato imitato da decine di
altre donne. Almeno 35 quelle finite in carcere il mese scorso. Diverse organizzazioni
per i diritti umani
hanno denunciato violenze durante la loro
detenzione; alcune di loro sarebbero state picchiate e malmenate. Inoltre, per
almeno due di loro è stata formalizzata l’accusa di “incitamento alla
prostituzione” e ora rischiano fino a 10 anni di prigione.
Ma la protesta non si ferma; ragazze di ogni classe sociale ed età continuano a
postare su Twitter, Facebook e Instagram scatti e video a capo scoperto con una
sciarpa bianca in mano, in alcuni casi insieme al proprio marito che le
sostiene.
L’avvio
del dibattito pubblico

Per alcuni esponenti politici appartenenti alla corrente riformista la
questione posta dalle donne di Enghelab Street è poco rilevante. «L’uso del
velo – sostiene Ali Motahhari, vice presidente del parlamento – non è
obbligatorio per legge, ma prescritto dal Corano e la maggior parte delle donne
lo porta volontariamente». In effetti, molte lo indosserebbero comunque, ma
vorrebbero essere libere di decidere.
I più tradizionalisti invece, e tra questi il procuratore iraniano Mohammad
Jafar Montazeri, affermano che la sharia impone l’uso obbligatorio del velo a
tutte le donne, anche a quelle straniere che entrano nel Paese, aggiungendo che
«quanti aderiscono alla protesta saranno perseguiti e puniti».
Eppure, la presidenza iraniana, scrive il New
Yorker
, ha diffuso uno studio in base al quale quasi il 50 per cento
della popolazione, uomini e donne, preferirebbe che fosse possibile scegliere
se indossare o meno il velo. L’indagine, commissionata tre anni fa al Centro
Iraniano per gli studi strategici, istituto alle dipendenze del presidente, dimostrerebbe
che Rohani sarebbe favorevole ad un dibattito pubblico sul tema.
La
società iraniana è quindi pronta per un cambiamento? Difficile dirlo, ma le
donne iraniane non si arrendono. Dal suo profilo Twitter,
Masih Alinejad lancia l’invito a continuare la protesta nelle strade anche in
vista della festa delle donne, l’8 marzo. «La legge sul velo obbligatorio è
draconiana e anacronistica. Attraverso la disobbedienza civile recupereremo i
nostri diritti», ha twittato.