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La Libia siamo noi

Giulio
Cavalli, Left, 30 marzo 2018

«La
circostanza che la Libia non abbia definitivamente dichiarato la sua zona Sar
non implica automaticamente che le loro navi non possano partecipare ai
soccorsi, soprattutto nel momento in cui il coordinamento è
sostanzialmente affidato alle forze della Marina militare italiana, con propri
mezzi navali e con quelli forniti ai libici».
Una foto
pubblicata dalla ong Sea Watch mostra migranti salire su una nave della Guardia
costiera libica, di fatto salita sopra al gommone

Sono le
parole (messe nero su bianco) da Nunzio Sarpietro, giudice di Catania, nel
decreto di convalida del sequestro della nave di Open arms. Dice, fuori dal
lessico giudiziario, che è l’Italia a coordinare e decidere ciò che avviene in
quelle acque, è l’Italia che ricaccia indietro i disperati in fuga, è l’Italia
che si occupa, travestita da guardia costiera libica, dei respingimenti in
aperta violazione di tutti i trattati internazionali di cui si fregia.
La vera
notizia, quindi, non dovrebbe essere l’ennesima inchiesta già mezza sbriciolata
del pm Zuccaro ma piuttosto il fatto che l’Italia, con tutto il suo finto
carico di contrizione istituzionale, debba raccontarci ben altro. Scrive il
giudice: «Si è creato un polverone intorno all’ong spagnola Open arms ma in
pochi stanno ponendo attenzione su ciò che dicono realmente gli elementi di
indagine. All’interno della ricostruzione dei fatti il giudice riconosce, per
esempio, che l’ong ha ricevuto minacce esplicite anche con armi e che la
situazione in Libia è quella che conosciamo, ma si spinge ad effettuare
osservazioni che ritengo non condivisibili sul piano giuridico.
L’interpretazione delle norme vigenti sul favoreggiamento (art. 12 d. lgs. n.
286/1998) mi sembra infatti discutibile alla luce della riserva di legge
assoluta in materia di misure restrittive della libertà personale (art. 13
Cost.) e soprattutto della riserva di legge in materia di stranieri e di
diritto di asilo (art. 10, commi 2 e 3 Cost.).
Inoltre si
dice che Open arms, come le altre ong, non può decidere a propria discrezione
dove portare le persone, perché questa decisone fa parte di accordi tra gli
Stati, con un ragionamento che sembra dimenticare che la materia non è e
non deve essere soggetta alla discrezionalità degli Stati ma solo alle
normative internazionali sul soccorso in mare e alle normative sulla protezione
dei rifugiati e sul divieto di tortura. Inoltre si parla del Codice di
condotta come di una sorta di norma regolamentare auto accettata, quando nella
realtà esso non è una fonte secondaria. La ricostruzione infine non si
sofferma, invece, su quanto prevedono la convenzione di Ginevra, le leggi
internazionali che regolano il soccorso in mare (che l’associazione umanitaria
è tenuta a rispettare) e sulle ragioni per cui non era possibile individuare
nella Libia un luogo sicuro».
In
pratica, la Libia brutta sporca e cattiva, che Minniti e compagnia hanno
provato a farci credere che fosse rieducata e ammorbidita dal nostro bravo governo,
in realtà siamo noi. E non siamo colpevoli del silenzio su ciò che accade, ma
evidentemente siamo la causa degli accadimenti. Del resto è un vecchio trucco
che funziona sempre quello del poliziotto buono e del poliziotto cattivo che
convergono sullo stesso risultato finale.