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La crisi della Nigeria ha le radici nella terra

Elnathan John,
Medium,
Stati Uniti, Internazionale, 2 marzo 2018

“Scriviamo quanto segue affinché tutti possano
leggerlo. Chiunque, soldato o civile, uccida i peul
contrae un debito che un giorno dovrà ripagare, non importa quanto tempo passerà”.
Così scriveva nel 2012 su Twitter Nasir Ahmad el Rufai, governatore dello stato
di Kaduna, nella Nigeria nordoccidentale. 

 

Nel 2015
ho visitato una riserva di pascolo modello che promuove la sedentarietà dei
pastori e insegna (o almeno spera di insegnare) i moderni metodi di allevamento
e produzione casearia ad Abuja, la capitale federale della Nigeria. Poiché la
maggioranza dei pastori nomadi in Nigeria è di origine peul, l’apprensione di
amici e sconosciuti che hanno saputo della mia visita era evidente. Qualcuno mi
ha scritto: “Stai attento”. Un altro: “Abbi cura di te, sai com’è questa
gente”. Una terza persona che non conosco mi ha avvertito su Twitter: “Sono
terroristi”.
Nei
giorni precedenti alla mia visita ho parlato con diversi peul, in gran parte
pastori. Non sembra esserci qualcosa di anormale tra loro: si preoccupano di
come sopravvivere e proteggersi, esprimono gioia di vivere durante le feste e
cordoglio dopo la perdita di una persona cara.
Eppure,
niente che io possa dire riuscirà a riequilibrare quello che frulla nella testa
di chi ripete stereotipi e usa come se fossero una realtà affermazioni come
quella del governatore.
I
conflitti recenti tra i pastori nomadi e le comunità stanziali avrebbero
causato più morti di Boko haram
Per queste
persone il contesto non conta nulla rispetto a quelle che definiscono prove
concrete: le notizie di pastori peul che attaccano villaggi o comunità di
agricoltori, e gli stereotipi sulla loro propensione alla vendetta.
Secondo
alcuni osservatori, i conflitti recenti che coinvolgono i pastori nomadi –
spesso identificati nei notiziari come “mandriani peul” – e le comunità
stanziali, avrebbero causato più morti del movimento islamista Boko haram. A
vari livelli, il conflitto è quasi sempre legato ai diritti di pascolo e alla
transumanza.
Nell’area
oggi nota come Nigeria la pastorizia è più antica della nazione stessa. Alcuni
hanno addirittura fatto risalire al dodicesimo secolo la comparsa dei peul e
del loro bestiame. Molto prima che i britannici invadessero e creassero la
Nigeria, gli emirati che formavano il califfato di Sokoto (che sostituì i regni
hausa) avevano dei rapporti stabili con i pastori attraverso un sistema fiscale
chiamato jangali, una tassa sul bestiame. Il sistema garantiva ai pastori terreni
da pascolo sia nelle stagioni secche sia durante le piogge, e di fatto ha
contribuito a tracciare rotte di pascolo e di transumanza attraverso tutto il
califfato. 
Eredità
coloniale

Le leggi coloniali introdotte nel 1904 e nel 1906 hanno mantenuto la tassazione
sul bestiame, che implicava il mantenimento delle rotte di pascolo. Queste
ultime non sono sparite con la fine del colonialismo, ma gli sviluppi politici
che hanno condotto alla federazione nigeriana e a una legge agraria del 1978
hanno posto la terra sotto il controllo diretto degli stati senza una
corrispondente salvaguardia delle rotte di pascolo e di transumanza. Di
conseguenza, agricoltori e villaggi hanno cominciato a sconfinare, entrando
così in conflitto con i pastori transumanti.
Attualmente
si stima che il 50 per cento di tutti i pastori siano seminomadi che nella
stagione secca allontanano il bestiame dal Sahel conducendolo in zone con
maggiori disponibilità di terre arabili per poi tornare ai loro insediamenti
durante quella delle piogge.
Oggi, le
rotte di pascolo vicino alle città cedono il passo all’urbanizzazione e
arretrano anche nelle zone rurali, dove la distribuzione dei terreni spetta ai
capi tradizionali o ai capi distretto, che ormai non tengono quasi più conto
della pastorizia.
Il paese
non ha una politica agraria capace di affrontare la diminuzione delle piogge,
la desertificazione e la crescente sedentarietà dei nomadi in fuga dalle
malattie, dal banditismo e, in generale, dal disagio della transumanza. E
questo ha alimentato il conflitto tra i pastori e le comunità stanziali.
Nei
notiziari si alimenta lo stereotipo del mandriano armato dedito al saccheggio
Sono al
telefono con Mohammed Tukur, un avvocato e pastore (di origini peul), che mi
racconta degli ultimi scontri scoppiati nello stato di Kaduna. Tukur mi spiega
come è diventato organizzato il banditismo. Dai rapimenti al furto di bestiame,
i banditi sono entrati in contatto con i più importanti gruppi criminali che
forniscono un supporto nella rivendita del bestiame rubato o nella riscossione
dei riscatti. Per esempio, nel caso di un rapimento di alto profilo che ha
coinvolto degli espatriati nella Nigeria centrosettentrionale, gli autori del
rapimento erano di origine peul, ma poi li hanno ceduti a rapitori professionisti
(non peul) per negoziare il riscatto. Ma nei notiziari si continua ad
alimentare lo stereotipo del mandriano armato dedito al saccheggio, anche se il
banditismo e reati di altro tipo coinvolgono spesso persone appartenenti a
gruppi etnici diversi.
Come
soluzione per arginare gli scontri che insanguinano gli stati di Benue, Kaduna
e Plateau è stata proposta la creazione di riserve di pascolo o di “colonie per
il bestiame”, ma senza successo.
L’ipotesi
delle riserve di pascolo ha subìto varie battute d’arresto ogni volta che è
arrivata davanti ai legislatori federali. Nel 2016 i senatori hanno votato a
favore del ritiro di un provvedimento di legge che mirava alla creazione di
aree destinate al pascolo in tutto il paese, sostenendo che l’iniziativa era
incostituzionale perché la legislazione sulla terra spetta ai singoli stati e
non al governo federale.
La
questione delle aree da destinare ai pastori peul, in maggioranza musulmani e
provenienti dal nord, è un nodo politico di cui tanti non vogliono nemmeno
discutere. Per esempio, una versione della legge istituisce una commissione per
le riserve di pascolo che ha il potere di acquisire “qualsiasi terra sulla
quale, in base alle valutazioni della commissione, si possa praticare il
pascolo”.
Questo ha
spinto alcuni addirittura a ipotizzare che esista un complotto per islamizzare
lentamente la Nigeria. Le cadenti strutture nella riserva di pascolo modello
che ho visitato ad Abuja, dall’ambulatorio veterinario senza veterinario alla
scuola nomade senza posti a sedere a un macchinario per la pastorizzazione
fuori uso, difficilmente possono rappresentare un’attrattiva per i pastori
transumanti.
Le forze
di sicurezza si sono dimostrate in larga misura incapaci di difendere le
persone o di indagare e punire i colpevoli
In tutta
la Nigeria spuntano di continuo milizie e vigilanti per affrontare i problemi
più immediati e quelli di lungo periodo, in assenza di una forza di polizia che
sia in grado di difendere le vite e le proprietà dei cittadini, soprattutto
lontano dalle grandi città.
Dai reati
violenti al conflitto etnico, le forze di sicurezza si sono dimostrate in larga
misura incapaci di difendere le persone o di indagare e punire i colpevoli di
violenze contro i peul. Quando le
forze di sicurezza intervengono
nel tentativo di sedare o prevenire
l’esplosione di scontri violenti, lo fanno spesso con un’unica strategia, ossia
utilizzando la violenza e lasciandosi alle spalle una scia di distruzione,
abusi e morte.
Sullo
sfondo dei continui attacchi violenti contro villaggi in tutta la Nigeria
nordoccidentale, cresce un’ostilità che sta trasformando lo scontro da
conflitto per le risorse a conflitto etnico o etnico-religioso.
La
crescente assenza di un tempestivo sistema di soluzione delle dispute e la
mancanza di sviluppo rurale e sicurezza sono gli ingredienti di una ricetta che
continuerà ad alimentare e a far crescere il ciclo della violenza, una violenza
che la Nigeria non può permettersi.
 
Finché la
Nigeria non sarà in grado di dare vita a una politica dell’uso della terra che
funzioni per stati, agricoltori e pastori e prenda al tempo stesso sul serio la
sua sicurezza interna (soprattutto nelle aree rurali), accuse, attacchi e
rappresaglie proseguiranno e si trasformeranno in complicati problemi politici
in tutto il paese.
E quando
non c’è possibilità di ottenere giustizia dallo stato, le persone si sentono
spesso costrette a farsi giustizia da sole. Per molti aspetti questa è la
triste storia della Nigeria: il far da sé, dal punto di vista economico e
sociale, e il farsi giustizia da soli, frutto di decenni di disfunzione e di
una classe dirigente irresponsabile.
La
popolazione della Nigeria continua a crescere, la sua terra no. Le pressioni
sui terreni coltivabili aumenteranno. Le comunità non si sposteranno, né lo
faranno i pastori che sempre più spesso preferiscono l’agropastorizia
sedentaria al nomadismo. Un tempo pensavo che ci fosse qualcosa di sacro nel
nomadismo, poi i mandriani incontrati nei campi o nelle riserve di pascolo mi
hanno fatto cambiare idea. Aliyu Ghana, per esempio, è partito dal Ghana per venire
a vivere in una riserva di pascolo ad Abuja, in Nigeria, perché aveva sentito
dire che lì c’era una scuola. Tutto ciò che desidera, mi dice, è un pascolo,
una scuola nomade per i suoi figli, un ambulatorio veterinario e dell’acqua. E
io ho il sospetto che i suoi figli desidereranno molto più di questo.
(Traduzione
di Giusy Muzzopappa)