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Il mondo vuole delle donne trasparenti

Laurie Penny,
Internazionale, 11 marzo 2018 10.32

Attraversiamo
una crisi, che sarebbe presa più seriamente se non riguardasse quasi solamente
le donne. I ricoveri per disordini alimentari sono quasi raddoppiati in sei
anni, mentre genitori e pazienti esprimono il loro strazio nel cercare cure che
siano anche solo minimamente adeguate. In tutto il paese, in tutto il
mondo
, donne e ragazze si autoimpongono di fare la fame, a volte
fino a morirne. Che vogliamo fare?
(Kazunori
Nagashima, Getty Images)
La
settimana della consapevolezza dei disturbi alimentari si è appena conclusa, e
ancora una volta i giornali hanno finto di chiedersi cosa mai abbia spinto
delle sciocche giovani donne ad avviarsi verso un lento suicidio, corredati da
sensuali foto di magrissime modelle svestite in posa per l’obiettivo dei
fotografi, oltre che da una serie di distratte banalità sul fatto che le
ragazze debbano in realtà lavorare sulla loro “immagine corporea” e, se
possibile, smettere di leggere tutte queste riviste.
Quando
ero un’adolescente anoressica pronta per essere ricoverata, leggevo
quest’immondizia per avere suggerimenti su cosa fare. Come ha
scritto Hadley Freeman
, “il problema dell’anoressia è il suo essere
così fotogenica”, l’ideale per l’economia mediatica della misoginia. Buona
parte di questo sfoggio di “consapevolezza” ci aiuta a capire i disordini
alimentari esattamente quanto, per esempio, un abbonamento a riviste porno come
Nuts ci aiuta a capire il sesso: cioè per niente.
È solo
l’inizio

Perché le cose stanno peggiorando. Le statistiche del servizio sanitario
nazionale britannico (Nhs) mostrano che i ricoveri per disturbi come anoressia
e bulimia sono stati 13.885 tra l’aprile 2016 e l’aprile 2017, una cifra che
comprende duemila ragazze di meno di 18 anni ricoverate per anoressia grave.
L’anoressia è, tra i disturbi mentali, quello con il più alto tasso di
mortalità.
Ed è solo
l’inizio. Si stima che 1,25 milioni di persone nel Regno Unito abbiano un
disordine alimentare. Donne e ragazze sono l’89 per cento di queste persone.
Non si tratta solo di una questione di sopravvivenza. Il punto sono gli anni
trascorsi torturandosi inutilmente e dolorosamente, sprecando il proprio tempo,
la propria energia e rovinandosi la salute. Candida Crewe, nel suo libro
autobiografico Eating myself , la definisce “la malattia della donna comune”.
Sappiamo che sta accadendo e la cosa non ci turba più di tanto.
Proprio
così. Nessun altro sembra disposto a dirlo, quindi lo farò io. Se i disturbi
alimentari fossero malattie tipiche degli uomini, invece che delle donne,
sarebbero presi più seriamente e si troverebbero cure adatte. Anzi, voglio
spingermi oltre: credo che da un certo punto di vista, l’autodeprivazione
alimentare e l’ossessione per la magrezza, l’immagine del corpo e l’autocensura
femminili siano state normalizzate a tal punto nelle nostra società, che è
impossibile non convincersi che queste ragazze abbiano fatto la scelta giusta,
sbagliando semplicemente nell’essersi spinte “troppo oltre”.
La dieta
è il più potente sedativo politico della storia delle donne
 

Diciamo
alle ragazze che non hanno il diritto di conquistarsi i loro spazi nel mondo e
poi siamo confusi quando smettono di mangiare. Facciamo crescere i nostri figli
in una cultura totalmente ossessionata dal controllo dei corpi femminili e poi
ci stupiamo quando vogliono riprendersi parte di questo controllo tramite atti
privati e violenti di ribellione passiva-aggressiva.
Come ha
scritto Naomi Wolf in Il mito della bellezza, “una cultura fissata con la
magrezza femminile non rappresenta un’ossessione per la bellezza femminile,
bensì per l’obbedienza femminile. La dieta è il più potente sedativo politico
della storia delle donne: una popolazione placidamente folle è più facile da
gestire”.
Gli
aperti e sinceri elogi che le ragazze ottengono per il loro uccidersi
lentamente in pubblico è direttamente proporzionale alla quantità di vergogna e
stigmatizzazione che si riversa sulle donne perfettamente in salute che si
trovano a essere anche solo leggermente sovrappeso.
Ogni
singola ora

Non credo sia fuori luogo suggerire che queste cose sono legate. E non parlo
per vaghe astrazioni: esistono solidi e fondati dati che provano come le donne
siano penalizzate finanziariamente e socialmente quando prendono peso, e
premiate quando lo perdono. Molto più di quanto accada agli uomini. Uno studio
pubblicato dal Journal of
Applied Psychology
nell’autunno 2010 mostrava che le donne “molto
magre” guadagnano circa 22mila dollari più delle loro omologhe di peso medio,
mentre l’essere appena sei chili sovrappeso mina seriamente le possibilità di
promozione o la sicurezza dell’impiego di una donna.
Uno studio più
recente
ha rivelato che solo il 15 per cento dei dirigenti
incaricati di un’assunzione, messo di fronte a fotografie di donne di peso
diverso, valuterebbe la possibilità di assumere quella più in carne per un
ruolo di responsabilità. Statistiche come questa rendono evidente quel che
quasi tutte le donne sanno nel loro intimo: che il mondo vuole che siano sempre
più piccole, sempre più magre, che il mondo vuole che esse desiderino meno, che
valgano meno.
Non
accade solo sul posto di lavoro, a meno di essere onesti e di ammettere che
alle donne e alle ragazze è richiesto di lavorare nell’immenso stage non pagato
dell’accettazione femminile ogni singola ora della loro vita. Sono riluttante a
parlare della mia esperienza personale, perché non voglio cadere nella retorica
anodina e alienante del sopravvissuto solitario, così frequente quando si parla
di disordini alimentari.
Facciamo
crescere le ragazze in un tornado d’immagini di bellezza inarrivabile
 

Ciononostante,
l’anno scorso ho avuto una piccola recidiva, ricadendo nelle cattive abitudini
mentre tentavo di riprendere faticosamente il controllo della mia vita, in un
momento nel quale su di me si riversava una serie di problemi da primo mondo. I
miei amici intimi e la mia famiglia, notando quanto peso avessi perso, erano
piuttosto preoccupati.
Tutti gli
altri erano felicissimi per me. Mi sentivo debole, fragile e triste, ed ero
premiata per questo. Ho passato un po’ di questo tempo frequentando vari uomini
e ognuno di loro era ossessionato dalla mia improvvisa magrezza. Uno non
smetteva di contare le mie costole. Un altro cercava d’indovinare il mio peso
mentre facevamo l’amore, sottostimandolo di nove chili, perché apparentemente
gli uomini non sanno nulla su come funzionano i corpi dai quali sono
ossessionati.
Adesso mi
sento molto meglio, in parte perché ho molto più controllo e potere sulla mia
vita di quanto ne avessi quando mi sono ammalata per la prima volta a 15 anni,
e poi una cosa che ho notato è che i millennial amano decisamente poco delle
costole visibili.
Ho deciso
di mettere a frutto questo controllo e di prendermi maggiormente cura di me
stessa, anche se in realtà non avrei voluto davvero, poiché di questi tempi ho
in realtà un sacco di cose per le quali vivere, un sacco da scrivere, e un
sacco di cose da fare che non possono essere fatte quando si è debole, affamata
e mezzo morta. Ho smesso di fingere di essere “semplicemente in buona salute”,
adottando una visione più olistica di cosa significhi la salute, giusto in
tempo per evitare danni a lungo termine. Sono stata fortunata.
Non tutti
lo sono altrettanto. Le persone in grave crisi – come me quando ero molto più
giovane e molto, molto più malata – hanno bisogno di serie cure ospedaliere.
Cure che troppe persone con disturbi alimentari non ottengono mai, o non
abbastanza, poiché il nostro sistema per la salute mentale viene
sistematicamente distrutto proprio ora che ne abbiamo più bisogno che mai.
Una
proposta radicale

Ma come possiamo amare i nostri corpi e prendercene cura quando il resto del
mondo fa l’esatto opposto? Certo, insegnare alle donne e alle ragazze ad amare
i loro corpi e a prendersene cura è ancora una proposta radicale in una società
che provoca e al contempo sfrutta l’odio che proviamo verso noi stessi. Ma i
singoli sforzi individuali di provare amore verso noi stessi non bastano quando
il problema è strutturale. Il problema è il sessismo.
E la
risposta è il gaslighting. Facciamo crescere le ragazze in un tornado
d’immagini di bellezza inarrivabile, le sottoponiamo senza sosta a una serie di
dimostrazioni con le quali le convinciamo che saranno penalizzate se non
avranno un certo aspetto. Lasciamo costantemente intendere che se crescendo
diventeranno qualcos’altro non varranno assolutamente niente a meno di non
conformarsi a un’idea di bellezza che è, letteralmente, magra al punto da non
permettere a un corpo umano di respirare.
Gli facciamo
pesare, giorno e notte, il fatto di vivere in un corpo che è femminile o queer.
E poi, quando sviluppano disturbi alimentari alziamo le spalle e diciamo:
accidenti però, queste ragazzine stupide, perché non si mangiano un panino?
Dire alle
donne e alle ragazze del ventunesimo secolo che hanno un problema con la loro
immagine del proprio corpo è un po’ come dire alla vittima di un
accoltellamento che ha un problema d’emorragia. Sì, lo sappiamo. E sappiamo che
è probabilmente colpa nostra, che siamo state deboli e superficiali nel
lasciarci accoltellare, e che se fossimo state più forti saremmo state in grado
di richiudere le nostre arterie con la semplice forza di volontà, arrestando
l’uscita di sangue. Ma nel frattempo sarebbe possibile, se non è chiedervi
troppo, aiutarci a tamponare la ferita prima che ce ne andiamo alla ricerca di
un po’ di giustizia?
Sono
arrabbiata con questa cultura che insegna ancora alle ragazzine a farsi più
piccole
 

Tutto
questo mi rende assolutamente furiosa. È una cosa che avrei trovato difficile
dire quando ero prigioniera dell’inferno dei disordini alimentari. Spesso è
solo un modo di fare i conti con una rabbia che sembra troppo pericoloso
esprimere, e che rivolgiamo verso il nostro corpo, controllando tutta la fame
per quelle cose che, ci viene detto, non abbiamo il diritto di volere, come il
cibo, una scopata, una briciola di maledetto rispetto, un posto sicuro nel
mondo o solo il diritto di sfogarsi un po’.
Che poi sarebbe il motivo per il quale i disordini alimentari spesso colpiscono
soprattutto le giovani donne. I ragazzi hanno più probabilità di esprimersi
apertamente, per un sacco di motivi. Le ragazze si tengono tutto dentro.
Affanculo
tutto questo: sono arrabbiata. Sono arrabbiata con lo stato che si rifiuta di
prendersi cura dei giovani di questo paese sotto molti punti di vista, che
distrugge qualsiasi speranza di un futuro sicuro, che li esclude dal sistema
sanitario e gli nega un alloggio sicuro, che esige che lottino l’uno con
l’altro per le briciole rimaste in un pianeta allo sfascio, e poi tagliano i
fondi per i servizi pubblici di salute mentale che potrebbero salvarli
dall’autodistruzione quando non ce la fanno più.
Sono
arrabbiata con questa cultura che ha così paura della carne femminile, della
fame femminile, delle donne che vogliono qualsiasi cosa e non solo quello per
cui gli dicono di essere grate, che insegna ancora alle ragazzine a farsi più
piccole, a tagliarsi a fette, a restringere i loro corpi e umiliare le loro
ambizioni finché il loro spazio nel mondo si riduce.
Una
questione politica

Sono furiosa per la tranquillità con la quale la società sembra guardare alle
ragazze che puniscono e trascurano i loro stessi corpi, anche e soprattutto in
nome dell’ossessione per la salute.
Sono
arrabbiata per tutto il tempo e tutta l’energia che le ultime e
intelligentissime generazioni sembrano ancora sprecare per odiarsi e
danneggiare i loro corpi, come facevamo noi solamente in maniera leggermente
più efficiente. Non sono arrabbiata con loro. Lo sono con il resto di noi
perché non ci prendiamo più cura di loro. E più di tutto sono furiosa per la
maniera in cui tutto questo è diventato normale.
Per la
settimana della consapevolezza dei disordini alimentari, vorrei chiarire a
tutti che i disordini alimentari sono una questione seria, politica e un chiaro
segno del mondo incessantemente sessista, omofobo e brutalmente competitivo nel
quale obblighiamo a crescere i nostri figli. I ragazzi lo sanno già, ma alcuni
adulti sembrano averlo dimenticato.
Se state
lottando con un disordine alimentare, vorrei usare questo spazio, in quanto
sopravvissuta e femminista che non ha alcun interesse a farvi la predica o a
prenderla alla larga: credetemi, non serve a niente. È una gigantesca perdita
del vostro tempo e della vostra energia, e il vostro tempo e la vostra energia
sono preziose. Il mondo non può farne a meno.
Il mondo
che davvero vi ama e vi capisce per quel che siete e per quel che potete
diventare, il mondo che vuole che prendiate più spazio che potete, che vuole
nutrire il vostro corpo e il vostro spirito, che celebra i vostri desideri e
apprezza le vostre imperfezioni: questo mondo forse oggi non è dappertutto
così, ma è per questo che abbiamo bisogno di voi per crearlo.
Ma non
potete farcela se prima non fornite al vostro corpo le cure necessarie, o se
passate le vostre giornate a ossessionarvi su quel che potete o non potete
inserire al suo interno. Abbiamo bisogno di voi. Di voi tutte e tutti. Abbiamo
bisogno di avervi affamate, arrabbiate e incasinate come siete.