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I nativi americani: una minoranza frammentata in cerca di una voce?

Di Gianluca Pastori, L’Indro,
5 marzo 2018 16:00 

Durante Durante
l’ultima campagna presidenziale sono stati indicati come la “minoranza
dimenticata”. Ma sembra che qualcosa stia cambiando.


Dopo la
mobilitazione seguita alla ripresa dei lavori per gli oleodotti ‘Keystone XL’ e
‘Dakota Oil’, gli ultimi mesi hanno assistito a una consistente ripresa
dell’attivismo dei nativi americani. Tradizionalmente sottorappresentati nel
panorama politico nazionale, i nativi sono una delle tante facce di una
‘frontiera del colore’ che negli ultimi anni pare tornata a occupare un posto
importante sulla scena pubblica statunitense. I livelli cui si esprime questo
attivismo sono diversi e si collocano al centro di un reticolo di tematiche
(prime fra tutte quelle ambientali) tradizionalmente care al Partito
democratico. Donne native sono candidate alle elezioni di midterm per la Camera
dei Rappresentanti in New Mexico e Kansas nelle liste del Partito democratico e
per il Senato in Arizona in quelle del Green Party. In questo come in altri
fenomeni recenti, il successo di Donald Trump e la reazione sociale che questo
a prodotto spiegano in parte il risultato. Anche in questo caso, tuttavia, le
dinamiche sottese sono più profonde e rispondono a una evoluzione ‘di lungo
periodo’ della società e della politica statunitensi.
Negli
ultimi anni, il rapporto fra popolazioni native e mobilitazione politica negli
Stati Uniti ha riscosso un certo interesse accademico, specie per quanto
riguarda il complesso rapporto fra ‘ritorno alle radici’ e integrazione in un
contesto che ha tradizionalmente premiato adesione e omologazione ai valori e
ai modelli dominanti. Viceversa, a livello politico, il voto nativo continua a
essere visto con scarso interesse soprattutto dai partiti maggiori. Salvo rare
eccezioni, la partecipazione elettorale (turnout) delle popolazioni native è
bassa; una situazione in qualche modo favorita dal fatto che le oltre 560
nazioni native riconosciute a livello federale sono a tutti gli effetti Stati
sovrani, con gli effetti che ciò comporta sia sul piano pratico (ad esempio, i
documenti di identità emessi dalla loro autorità non sempre sono compatibili
con i requisiti richiesti a livello statale per l’esercizio del diritto di
voto), sia su quello dell’autopercezione. Il fatto che il territorio delle
riserve indiane sia amministrato dal Bureau of Indian Affairs e non dalle
rispettive autorità statali è un altro fatto che spinge in questa direzione.
Sulla
sponda opposta, le autorità dell’‘America bianca’ hanno tradizionalmente
mostrato scarso interesse per gli ‘affari indiani’ e, quando lo hanno fatto, il
loro approccio è stato, di norma, ispirato a un principio ‘livellante’ che ha
finito più che altro per alimentare la disaffezione degli ‘amministrati’. Norme
come quelle sul possesso e la tassazione delle terre comuni, da una parte hanno
inserito le popolazioni native nel mainstream politico ed economico nazionale
senza, dall’altra, portare loro benefici reali. In particolare, le riserve
indiane (nelle quali, all’ultimo censimento, viveva oltre il 20% della
popolazione nativa), restano aree economicamente arretrate, con un reddito
medio molto più basso della media nazionale e con tassi di disoccupazione molto
più alti, due elementi che – uniti alla forte dipendenza dalle (limitate)
opportunità di impiego pubblico – concorrono a mantenere la percentuale di
popolazione sotto la soglia federale di povertà parecchio sopra la media della
popolazione nativa su scala nazionale, attestato – come nel caso dei neri e
degli ispanici – nell’ordine del 25%.
Non
stupisce che, durante l’ultima campagna presidenziale, i nativi americani siano
stati indicati come la ‘minoranza dimenticata’. Anche in questo campo, tuttavia,
sembra che qualcosa stia cambiando. Dopo l’attenzione a suo tempo dimostrata da
Bernie Sanders, nelle ultime settimane anche Elizabeth Warren (da più parti
indicata come un candidato credibile alla corsa del 2020) ha trovato opportuno
rivolgersi alla constituency dei nativi americani con un discorso dal palco del
recente National Congress of American Indians. Le sue – peraltro difficilmente
dimostrabili – ascendenze native sono già state bersaglio degli strali dei suoi
avversari politici. D’altro canto, le sue aperture al mondo dei nativi non le
sono nemmeno valse il favore di tutte le numerose componenti di quest’ultimo. A
differenza di altre minoranze, i nativi americani rappresentano, infatti,
ancora oggi, una realtà profondamente frammentata e – sotto molti aspetti –
orgogliosa di questo stato di cose; uno stato di cose che, se può renderla un
attore importate a livello locale, ne limita in maniera forse fatale la
possibilità di giocare a livello nazionale un ruolo paragonabile a quello delle
minoranze ‘tradizionali’.