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Gli anziani in carcere in Giappone

Il Post,
24 marzo 2018

Sono
soprattutto donne, spesso si fanno arrestare apposta dopo piccoli furti: perché
sono povere, ma anche perché sono sole e preferiscono la prigione
Una donna
anziana nel distretto di Sugamo, a nord di Tokyo, 18 settembre 2017 (Tomohiro
Ohsumi/Getty Images)

Circa il
20 per cento delle persone detenute nelle carceri giapponesi sono anziane,
accusate e condannate per piccoli furti che, in molti casi, erano anche il loro
unico modo di sopravvivere a causa della povertà. Nella fascia d’età che va dai
65 anni in su, però, in Giappone il taccheggio è commesso anche allo scopo di
finire in carcere, e non per necessità, perché la prigione offre condizioni di
vita migliori rispetto a quelle di una vita libera. C’entra dunque la
solitudine di cui soffrono gli anziani e in particolare le donne.

I dati
dicono che gli arresti che coinvolgono persone anziane avvengono in Giappone a
tassi superiori a quelli di qualsiasi altro gruppo demografico. Le condanne,
secondo gli ultimi dati della polizia, sono raddoppiate negli ultimi dieci anni
passando da una media di 80 ogni 100 mila residenti tra il 1995 e il 2005 a 162
ogni 100 mila residenti tra il 2005 e il 2015. Quasi una
donna su cinque
 attualmente detenuta nelle carceri giapponesi
ha 65 anni o più; nove donne anziane su dieci sono state condannate per il
reato di taccheggio.
Come scrive
Bloomberg, le detenute anziane hanno commesso dei criminispinte sia dalla loro
condizione di povertà che dalla solitudine. Un tempo prendersi cura dei vecchi
era un compito che spettava alle famiglie e alla comunità in generale, ma ora
l’organizzazione sociale è cambiata: dal 1980 al 2015 il numero di anziani che
vivono da soli è aumentato di oltre sei volte. Una ricerca del 2017 condotta a
Tokyo ha mostrato poi che più della metà degli anziani colpevoli di taccheggio
viveva da sola. Il 40 per cento non ha famiglia o parla raramente con i propri
parenti. Sono persone che hanno detto di non avere nessuno a cui rivolgersi
quando hanno bisogno di aiuto.
 
Il
Giappone ha il tasso di persone anziane più alto del mondo. Poco più di un
quarto dell’intera popolazione (il 27,3 per cento) ha più di 65 anni, e le
previsioni del ministero della Sanità dicono che la quota arriverà al 40 per
cento entro il 2060. La situazione demografica si riflette anche nella
popolazione carceraria in generale, dove quasi il 20 per cento è costituito da
persone oltre i 65 anni. Le donne anziane sono le persone economicamente più
vulnerabili, quando non ricevono
una pensione
 che permetta loro una vita dignitosa. Circa una
donna giapponese su quattro vivrà al di sotto del livello di povertà nel
prossimo futuro, con una percentuale che sale al 50 per cento per le donne non
sposate e divorziate. Negli uomini la percentuale scende al 10 per cento circa.
L’attuale
sistema pensionistico del Giappone è stato pensato più di mezzo secolo fa per
le famiglie uscite dal Dopoguerra. A quei tempi, le donne lasciavano il lavoro
per avere dei figli e diventare casalinghe e il sistema pensionistico era
relativamente generoso nei loro confronti e a quelle condizioni. Da lì in poi,
però, le donne hanno cominciato a fare scelte differenti: a non sposarsi o a
divorziare. Nell’attuale sistema pensionistico, queste donne ricevono dunque
solo una parte della pensione calcolata sulle donne sposate: una cifra che non
sarà sufficiente a mantenerle al di sopra dei livelli di povertà.
Spesso le
donne che vengono condannate sono anche recidive. Bloomberg ha raccolto
diverse testimonianze. Una detenuta di 78 anni ha raccontato di aver rubato
caffè, tè, riso e un mango: «La prigione è un’oasi per me, un luogo di relax e
comfort. Non ho la libertà qui, ma non ho nulla di cui preoccuparmi. Ci sono
molte persone con cui parlare. E ci forniscono pasti nutrienti tre volte al
giorno». «Mio marito è morto l’anno scorso» ha raccontato un’altra: «Non
avevamo figli, quindi ero completamente sola. Sono andata in un supermercato a
comprare delle verdure e ho visto una confezione di manzo. Lo volevo, ma
pensavo che sarebbe stato un peso finanziario, per me. Quindi l’ho presa».
La
signora T., 80 anni, condannata a due anni e mezzo per aver rubato uova di
merluzzo e una padella, ha raccontato di aver lavorato in una fabbrica per
vent’anni e poi come badante in un ospedale: «Mio marito ha avuto un ictus sei
anni fa e da allora è costretto a letto. Ha anche una demenza e soffre di
paranoie. Era molto faticoso prendersi cura di lui fisicamente ed emotivamente
a causa della mia vecchiaia. Ma non potevo parlare della mia situazione con
nessuno perché mi vergognavo. Sono stata imprigionata per la prima volta quando
avevo 70 anni. Quando ho rubato, avevo dei soldi nel portafoglio. Poi ho
pensato alla mia vita. Non volevo tornare a casa, e non avevo nessun altro
posto dove andare. Chiedere aiuto in carcere era l’unico modo». La signora
N., 80 anni: «Non posso spiegarvi quanto mi piaccia lavorare nella fabbrica del
carcere. L’altro giorno, quando si sono congratulati per la mia efficienza e la
meticolosità, ho capito la gioia di lavorare (…) Mi piace la mia vita in
prigione. Ci sono sempre delle persone in giro, e io non mi sento sola. Quando
sono uscita, la seconda volta, mi sono ripromessa che non sarei mai più tornata
indietro. Ma quando ero fuori, non potevo fare a meno di provare nostalgia».
Per
cercare di sostenere questa fascia di popolazione, il governo giapponese sta
costruendo sezioni penitenziarie specificamente pensate per detenute e detenuti
anziani, ma finora non sono stati avviati efficaci programmi di riabilitazione
e i costi del loro mantenimento in prigione stanno aumentando rapidamente. Le
spese associate all’assistenza agli anziani hanno contribuito a portare i costi
sanitari annuali degli istituti di correzione a oltre 6 miliardi di yen nel
2015, con un aumento dell’80 per cento rispetto a dieci anni fa. Sono stati
assunti anche dei lavoratori specializzati per aiutare i detenuti più anziani a
fare il bagno e andare in bagno durante il giorno, ma di notte questi compiti
spettano alle guardie. In alcune strutture, essere una guardia carceraria è
come essere l’assistente di una casa di cura.
Nel 2016
il parlamento giapponese ha anche approvato una legge che ha come obiettivo
quello di garantire che gli anziani recidivi ottengano sostegno dai sistemi di
assistenza sociale del paese. Ma i problemi che portano queste persone e
soprattutto le donne a cercare nella prigione un conforto superano il sistema e
sarebbero necessari interventi sociali molto più ampi.