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È crisi umanitaria a Gaza stretta nel blocco di Israele ed Egitto

di
Michele Giorgio
, Nena,
28 feb
2018
 

Il Cairo
ha nuovamente chiuso il valico di Rafah gettando nella disperazione migliaia di
palestinesi che attendevano da settimane il passaggio del confine. L’allarme
dell’Oms per il sistema sanitario al collasso.

 
Un
ospedale di Gaza (Foto: news.co)

Gerusalemme: «È stato solo un inganno, gli egiziani
dicevano che avrebbero aperto il transito di Rafah per quattro giorni e invece
l’hanno chiuso dopo appena 24 ore». Jamil Hammouda, un giornalista che abbiamo
raggiunto telefonicamente a Gaza, ci ha riferito della disperazione di migliaia
di palestinesi che contavano di poter raggiungere il Cairo.
Persone
gravemente ammalate, genitori che non vedono i figli da mesi, studenti diretti
ad università in altri Paesi arabi. Dovranno aspettare ancora e per quanto non
si sa. «E dall’altra parte ad El Arish – ha ricordato Hammouda – ci sono
centinaia di persone che attendono da settimane di tornare a casa».
Il valico
di Rafah, tra Gaza e il Sinai, è l’unica porta che due milioni di palestinesi
hanno sul resto del mondo arabo. L’altro, quello di Erez a nord è accessibile
solo a quei pochi che, dopo lunghe attese, riescono ad ottenere un permesso
israeliano per superarlo. Il blocco di Gaza, anzi, è più giusto chiamarlo
assedio, da parte di Israele ed Egitto è ferreo. E lo pagano oltre 2 milioni di
civili e non, come affermano Tel Aviv e il Cairo, il movimento islamico Hamas
che dicono di voler colpire.
L’Egitto
ha motivato la chiusura di Rafah con la mancanza della necessaria sicurezza per
i palestinesi in viaggio per il Cairo. «In realtà il valico è stato chiuso non
appena sono transitati quei pochi che hanno potuto pagare tremila dollari (alle
autorità egiziane, ndr)», ha spiegato Hammouda riferendosi alle “tariffe” che
garantiscono il passaggio sicuro del valico.
Congelati
gli accordi di riconciliazione tra Hamas e il partito Fatah del presidente
dell’Anp Abu Mazen, Gaza sta precipitando in una crisi umanitaria devastante. Gli
stessi israeliani nei giorni scorsi hanno lanciato un appello al finanziamento
urgente di un loro piano per Gaza: con il blocco strangolano la Striscia e con
le donazioni vorrebbero far respirare un territorio che hanno contribuito a
trasformare in una enorme prigione.
Ben
diverso è l’appello che ha lanciato l’Organizzazione mondiale della sanità
(Oms) a favore del sistema sanitario di Gaza al collasso e su 1.715 palestinesi
che stanno per morire tra cui 113 neonati, 100 pazienti in terapia intensiva e
702 in emodialisi. L’Oms chiede aiuti per 11,2 milioni di dollari necessari a
soddisfare i bisogni di salute per i prossimi tre mesi. E solleva il velo
dell’indifferenza sugli interventi chirurgici rimandati, sulle culle di terapia
intensiva che ospitano talvolta quattro neonati, sui 6.000 operatori sanitari
che da mesi ricevono il 40% del loro salario.
«Senza
finanziamenti nel 2018 – avverte l’Oms – 14 ospedali e 49 strutture di cure
primaria dovranno affrontare una chiusura totale o parziale, con un impatto su
1,27 milioni di persone». Tre ospedali e 13 cliniche di assistenza primaria
hanno già chiuso per la mancanza di energia elettrica. Scarseggiano i farmaci
salvavita.
Ad
appesantire il quadro c’è lo stato di emergenza proclamato dai municipi di
Gaza. Senza più fondi le amministrazioni locali sono state costrette a
dimezzare i loro servizi fra cui la nettezza urbana e la gestione del sistema
fognario e a vietare, per il forte inquinamento, i bagni in mare. L’erogazione
dell’acqua nelle case è stata limitata ad un’ora appena al giorno.
E intanto
resta alto il rischio di un nuovo conflitto con Israele che nei giorni scorsi,
in risposta ad un attacco a una sua pattuglia lungo il confine, ha lanciato ripetuti
raid aerei contro presunte postazioni di Hamas. Quello della scorsa settimana è
stato l’attacco dal cielo più ampio dalla guerra del 2014. Il generale Yoav
Mordechai ha avvertito che Israele reagirà con forza a nuove manifestazioni di
protesta sul confine. Negli ultimi mesi 15 dimostranti di Gaza sono stati uccisi
da fuoco israeliano. Nena New.