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La Sirenetta, a teatro la fiaba di Andersen è metafora dell’identità sessuale degli adolescenti. ‘Si sentono sirene tra umani’

12 febbraio 2018
La compagnia Eco di Fondo ha portato sul palco dell’Elfo Puccini di Milano una rilettura del testo danese. Giacomo Ferraù, regista e attore: “Tutti conserviamo il ricordo di essere stati a disagio per una coda, che a volte è qualcosa di fisico, a volte un’attitudine”. 

Marco Siviero, neuropsichiatra infantile: “Per evitare i suicidi nell’adolescenza occorre non creare tabù e stare attenti ai modelli in cui i ragazzi si rispecchiano”.
“Mamma, papà, non ci siamo capiti”. “Sono sempre stato solo, ovunque fossi”. “Perché non mi guardate?”. “Ora che so cosa sono, come torno indietro? Come mi riparo?”. Parole di adolescenti, per la precisione le ultime loro parole prima di togliersi la vita. Prima di buttarsi già dalla finestra, o di gettarsi sotto un camion, come ha fatto Leelah Alcorn, una diciassettenne dell’Ohio. Era nata maschio, si sentiva donna, ma sua madre le aveva risposto: “Dio non fa errori”. Adolescenti che si sentono sirene in un mondo di umani: gli adulti non vedono la loro coda e li costringono a stare in silenzio, a non potere pronunciare per anni il proprio desiderio di amare persone del proprio sesso, o di sentirsi ragazzi intrappolatiin corpi femminili.
È un’opera di rara intensità quella che la compagnia Eco di Fondo ha portato sul palco del Teatro Elfo Puccini di Milano. La Sirenetta, ovvero una rilettura della fiaba di Andersen – privata dell’edulcorazione della Walt Disney – come metafora del tema dell’identità sessuale, il ritratto di un adolescente che rinuncia alla sua stessa essenza (la sua coda) per paura di non essere accettato. “La fiaba di Andersen finisce appunto con un suicidio, noi cerchiamo di portarla sul palco allargando la metafora a tutte le code del mondo – racconta Giacomo Ferraù, di Eco di Fondo – Tutti ci siamo passati. Tutti conserviamo quel ricordo di essere stati a disagio per una coda, che a volte è qualcosa di fisico, a volte un’attitudine, comunque qualcosa che fa parte di noi stessi e che temiamo non sia pienamente accettata e amata da chi ci sta intorno”.
Non sentirsi accettati, si potrebbe dire che fa parte della adolescenza. Peccato che “se a scuola sei preso in giro per il colore della pelle, tornando a casa ti senti rassicurato perché i tuoi genitori hanno lo stesso tuo colore – commenta Irene Pellizzone, docente del corso di Gender justice dell’Università degli studi di Milano – La Sirenetta, invece, non è capita soprattutto, e in primis, da mamma e papà”. Ed è così che entra in scena un secondo e costante co-protagonista dello spettacolo: la solitudine. Un’opera che unisce pugni allo stomaco e momenti di candida poesia, tra scene oniriche in cui – almeno nella fantasia del bambino protagonista – ad un Ken è dato di innamorarsi di unorsetto di pezza. “A guardare le statistiche di suicidio tra gli adolescenti, i dati sono sconcertanti – continua Giacomo Ferraù, regista e attore della Sirenetta – Per noi non è solo importante portare sulla scena questi temi, ma è necessario”.
Circa il 20% degli adolescenti pensa alla morte. “Di questi, l’8% ha tentato il suicidio”, racconta Marco Siviero, neuropsichiatra infantile. Se si restringe lo sguardo ai soli adolescenti, “di dieci ragazzi omosessuali, il 3% si suicida”, continua Stefano Antonini, autore di TORNA-Lettera di un padre al figlio omosessuale. “Il primo passo è non creare tabù – continua il neuropsichiatra – Dobbiamo insegnare ai ragazzi a dare legittimità ai loro pensieri, anche se riguardano il desiderio di togliersi la vita”. E infatti, il prezioso lavoro della compagnia milanese Eco di Fondo si inserisce in questo senso come rottura delle costrizioni sociali. “La sessualità, come la morte, sono ancora un tabù – continua Giulia Viana, attrice e co-drammaturga della pièce – In un liceo dove siamo stati, alcuni genitori hanno impedito ai loro figli di venire ad assistere allo spettacolo perché avevano letto la presentazione. Segnale evidente che la nostra generazione e quella precedente sono le prime responsabili della conservazione di questo tabù”.
Parlare, quindi: sembra ovvio, ma è il primo passo per rompere il silenzio. Il secondo, è stare attenti ai modelli che questi ragazzi inseguono. In televisione, sui social, tutto deve essere perfetto, bello e pulito, quasi di plastica. “E questo è preoccupante, perché non permette agli adolescenti di avere modelli su cui rispecchiarsi quando stanno male. Noi avevamo il metal, Kurt Cobain, modelli anche negativi con cui dialogare. Loro che modelli hanno oggi?”. Siviero, neuropsichiatra infantile, ha lavorato per anni all’ambulatorio dell’ospedale San Paolo dedicato ai tentati suicidi nel periodo dell’adolescenza. “L’unico vero consiglio che posso dare ai ragazzi è di leggere e studiare” e in questo modo salvare se stessi “dall’impoverimento culturale medio”. Perché secondo il neuropsichiatra, non sono i genitori ad essere peggiorati ma i modelli a cui gli adulti fanno riferimento, che diventano il linguaggio per parlare ai loro figli. “Sono molto preoccupato dall’impoverimento culturale medio – continua Siviero – Come genitori gli errori si sono sempre fatti”, eppure oggi siamo abituati a guardare la realtà e i rapporti attraverso la lente deformante del tubo catodico e delle chat. “Ci propongono un modello di vita allaC’è posta per te, dove in un secondo si cancellano gli errori di una vita. Peccato che nella realtà questo non avviene”.