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Aggressioni in classe, ha vinto la burocrazia e perso la scuola

16 febbraio 2018
Colpa della Tv! Colpa dei genitori e delle famiglie! Colpa della società! Colpa, come sempre, della ministra!

Ho atteso qualche giorno prima di scrivere qualche riga su quanto sta accadendo nelle scuole italiane perché mi son preso del tempo per riflettere, per leggere ogni articolo uscito sulle vicende che vedono protagonisti ragazzi e insegnanti che mettono le mani addosso ai professori! Avevamo appena finito di puntare gli occhi sui docenti che chattano messaggi erotici ed ecco un “nuovo” fenomeno. So che deluderò qualcuno ma non c’è alcuna novità in queste notizie. Da sempre esistono maestri, professori, dirigenti che non sanno essere all’altezza del loro ruolo. Allo stesso tempo da che mondo e mondo esistono ragazzi che non sanno controllarsi e genitori che perdono le staffe. Il problema è un altro: questi casi (rari e da sempre esistenti, ripeto) sono la punta dell’iceberg di un clima di malessere che trova fondamenta in altro.

Distinguiamo le situazioni. Partiamo dagli studenti. Il ragazzo che ha sfregiato la professoressa così come quell’allievo delle medie di Piacenza che ha strattonato la docente sono dei violenti? Dei criminali da mettere in galera? Quanti ragazzi, bambini abbiamo in classe che manifestano la loro rabbia, la loro delusione, il loro malessere? Tanti, troppi. I motivi sono i più svariati: situazioni famigliari complicate; problemi psicologici; incapacità di relazionare con gli altri.
E la scuola che fa per loro? Li etichetta. Quelli come il bambino di Piacenza sono Bes, Dop e chi più ne ha più ne metta. In questi anni mentre eravamo costretti a compilare verbali, piani personalizzati, carte e carte per dire che Marco è uno con bisogni educativi speciali e Luigi ha disturbi oppositivi provocatori, ci hanno impedito di fare il nostro mestiere: i maestri, gli insegnanti (coloro che lasciano una traccia), gli educatori. Una delle educazioni più vitali è quella delle emozioni e della vita effettiva. Si chiama educazione all’affettività (da non confondere con quella alla sessualità che pure servirebbe) e serve a scoprire le emozioni, ad imparare a gestire la rabbia, a lavorare su di sé, sulle reazioni e sulle relazioni. Non c’è più tempo a scuola per fare questo: c’è da compilare, c’è da terminare il programma (che non c’è più), ci sono le prove delle prove Invalsi da fare prima che arrivino i test. Tutto utile, magari, ma poi non diamo la colpa alla TV, alle famiglie, alla società se Marco strattona l’insegnante.
Altra questione quella dei genitori. Partiamo da un’affermazione scontata, superficiale, stupida ma che vale la pena ricordare: non sono tutti uguali. Il maestro è uno e i genitori sono tanti. Diffido sempre dell’insegnante che va bene a tutti i genitori. Ma anche qui il problema è un altro. Dietro la violenza di uno cosa si nasconde? Nei giorni scorsi una maestra mi ha scritto chiedendomi aiuto: “Subiamo continue aggressioni. Entrano e urlano”. Negli stessi giorni una mamma dopo aver ritirato la pagella del figlio mi ha pure scritto: “Ti pare questo il giudizio da dare ad un bambino?”. Tra i due c’è un muro. Il cancello della scuola è la separazione fisica e psicologica delle due categorie che invece dovrebbero lavorare insieme. Nella mia esperienza mi son capitate colleghe e dirigenti che imponevano di “tener fuori dalla scuola i genitori” e di parlare con loro solo nei giorni dei colloqui. Spesso mamme e papà puntano dritti al “vado dal preside” e gli altri, i prof, intimoriti dai loro capi d’istituto sempre pronti a difendere i genitori, si proteggono come possono. Qualche volta allontanando mamme e papà, altre volte con l’aiuto della burocrazia.
Il vero problema è la partecipazione. Quest’ultima parola nella scuola si traduce negli organi collegiali: consigli di interclasse, d’istituto dove i genitori dovrebbero essere protagonisti. Non è così. Avete presente come vengono scelti i rappresentanti di classe: “Signora lo faccia lei quest’anno, non dovrà perdere molto tempo”; “Dai fallo tu, io l’ho già fatto lo scorso anno”. La vogliamo chiamare partecipazione? L’esperienza degli organi collegiali è fallita da tempo ma nessun ministro ha avuto il coraggio di mettere mano a questo capitolo. Risultato? Son tutti attaccanti, tutti allenatori e nessuno fa squadra.