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Trump, colpo mortale ai rifugiati palestinesi

Umberto De Giovannangeli 17/01/2018
La più grave crisi finanziaria da quando, 70 anni fa, fu fondata. Un colpo micidiale inferto a una Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di rifugiati: rifugiati palestinesi.

Una punizione collettiva che non colpisce di certo la nomenclatura palestinese ma rende ancor più drammatiche le condizioni di vita della popolazione dei Territori, in particolare di Gaza. Tutto nasce dalla decisione dell’amministrazione Usa, annunciata ieri, di tagliare 65 dei 125 milioni di dollari destinati alla Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi. A renderlo noto è il dipartimento di stato Usa in una lettera nella quale chiede all’agenzia un “riesame fondamentale” della sua attività. I restanti 60 milioni saranno erogati per impedire che l’Unrwa finisca il cash entro fine mese e chiuda.

Era stato il presidente Donald Trump a minacciare il taglio dei fondi ai palestinesi se non fossero tornati al tavolo dei negoziati di pace con Israele. Ieri, la portavoce del dipartimento di Stato, Heather Nauert, aveva assicurato che la decisione “non mira a punire nessuno” e ha spiegato che le ulteriori donazioni americane saranno subordinate a importanti cambiamenti da parte dell’Unrwa, che è stata pesantemente criticata da Israele. Al di là delle intenzioni, quella decisione “non mira a colpire nessuno”, il drastico tagli avrà effetti pesantissimi su una popolazione, quella dei campi profughi e della Striscia di Gaza, che vive in gran parte grazie agli aiuti internazionali. Lo ribadisce Jan Egeland, segretario generale del Norwegian Refugee Council, una delle organizzazioni più attive nell’assistenza ai rifugiati palestinesi, nel lanciare un appello al Governo americano perché riveda la sua decisione.
“Questo taglio – spiega – avrà conseguenze devastanti per i già vulnerabili rifugiati palestinesi, tra i quali centinaia di migliaia di bambini, nella West Bank e a Gaza, in Libano, Giordania e Siria la cui istruzione dipende dall’Unrwa”. Unica tra le Agenzie delle Nazioni Unite a lavorare direttamente sul campo senza intermediari, svolge un ruolo fondamentale nel fornire servizi essenziali per la salute, l’educazione, lo sviluppo e la protezione degli oltre 5 milioni di rifugiati che vivono nella Striscia di Gaza, in Giordania, Siria, Libano e Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est.
“La stessa sicurezza sociale, per quanto minima, di decine di migliaia di famiglie, la loro sopravvivenza, dipendono dalla possibilità dell’Agenzia Onu di far fronte agli eventi che caratterizzano il conflitto (israelo-palestinese)”, aggiunge Egeland. Nel documento dell’Unrwa, del quale HP ha potuto prendere visione, si dà un quadro potenziale delle conseguenze determinate dal taglio dei finanziamenti Usa: la chiusura del 40% delle scuole gestite dall’Unrwa nei campi profughi in Cisgiordania, Gaza, Libano e Giordania (con l’inevitabile licenziamento di oltre trecento insegnanti palestinesi); un taglio del 25% dei kit sanitari e del 30% della distribuzione di aiuti alimentari di prima necessità.
“Le conseguenze della decisione americana sono devastanti – dice all’Huffington Pos l’ambasciatore Giuseppe Cassini, vice presidente del Comitato italiano dell’Unrwa – L’Unrwa è l’agenzia Onu che ha il miglior rapporto tra costi e risultati. L’Agenzia ha 30mila dipendenti, dei quali oltre 29mila sono palestinesi, che agiscono in tutti i settori nei quali l’Unrwa è impegnata: scuole, ospedali, laboratori, tutto ciò che permette a gran parte dei palestinesi dei campi profughi di poter sopravvivere”.
Durissimo è il giudizio dell’ambasciatore Cassini sulla scelta americana: “È una scelta ‘assassina’ – dice ad HP – perché costa pochissimo agli Usa e alla comunità internazionale mantenere i contributi attuali, mentre i tagli annunciati avranno effetti devastanti sulla popolazione civile. Una scelta, totalmente politica, e peraltro ‘cieca”, che probabilmente dispiace alla maggior parte degli israeliani e ai Paesi arabi, come Libano, Giordania e Siria, che ospitano una parte significativa dei 5 milioni di profughi palestinesi e che ora si vedranno costretti a un maggiore impegno finanziario”.
Yazan Muhammad Sabri, 18 anni, nato e cresciuto nel campo profughi di Dheisheh, a ridosso di Betlemme, dice ad al-Jazeera: “Se l’Unrwa se ne va, non ci sarà istruzione, assistenza medica, non ci sarà più nulla, nulla…”. “Gli aiuti umanitari non devono essere ostaggi delle agende politiche”, sottolinea Kenneth Roth, direttore esecutivo di Human Rights Watch. Dopo l’annuncio americano riguardante l’Unrwa, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aveva esternato la sua “grande inquietudine”, stimando che la fine dei finanziamenti Usa provocherà “un problema grave, molto grave”.
“L’Unrwa non è una istituzione palestinese”, ma “una Agenzia dell’Onu” che “fornisce servi vitali” ai rifugiati, puntualizza Guterres, esortando Washington a confermare la propria contribuzione. “L’amministrazione Trump sta seguendo le istruzioni di Netanyahu per smantellare gradualmente una delle agenzie che sono state costituite dalla comunità internazionale per proteggere i diritti dei rifugiati palestinesi e dar loro i servizi essenziali”, afferma Hanan Ashrawi, esponente di spicco dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). I tagli ordinati da Trump, denuncia Ashrawi, hanno come target “i settori più vulnerabili del popolo palestinese” e serviranno a privare i rifugiati palestinesi “del diritto all’istruzione, alla salute, alla protezione e a una vita dignitosa”.
Di segno opposto è la reazione d’Israele. L’ambasciatore dello Stato ebraico all’Onu, Danny Danon, ha plaudito alla decisione statunitense, affermando che l’Unrwa “fa un uso massivo degli aiuti umanitari della comunità internazionale per sostenere la propaganda anti-israeliana” e “incoraggia l’odio”. “È tempo di porre fine a questa assurdità”, conclude l’ambasciatore israeliano.
Un passo indietro, ma non troppo lungo, nel tempo: 11 giugno 2017. Netanyahu apre la riunione del Consiglio dei ministri affrontando il tema Unrwa e i tunnel terroristici scoperti in una scuola a Gaza. “Negli ultimi giorni abbiamo scoperto un tunnel terroristico di Hamas sotto due scuole di Gaza”, afferma il premier israeliano. “Hamas sta usando gli scolari come uno scudo umano. Ho detto al direttore generale del Ministero degli Esteri di presentare una protesta ufficiale con il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. “La scorsa settimana ho incontrato l’ambasciatore americano presso l’Onu Nikki Haley e l’ho ringraziata per le sue parole forti. Le ho detto che è giunto il momento per l’Onu di riesaminare l’esistenza dell’Unrwa. Dalla seconda guerra mondiale – aveva proseguito il primo ministro israeliano – l’Alto Commissariato per i Rifugiati della Nazione Unita (UNHCR) ha affrontato e in buona parte risolto il problema di decine di milioni di rifugiati. I palestinesi, invece, hanno un proprio comitato, l’Unrwa, che continuamente attacca gli israeliani e tende a eternizzare il problema dei rifugiati palestinesi invece di risolverlo. Dobbiamo eliminare l’Unrwa e integrare i suoi diversi compiti in altre commissioni delle Nazioni Unite”.
Se è vero, come è vero, che la tragedia del conflitto israelo-palestinese, per dirla con Amos Oz, è che a scontrarsi sono due diritti egualmente fondati, e che compromesso è sinonimo di vita e non di resa, è bene riportare le riflessioni di Filippo Grandi, oggi commissario generale dell’Unhcr, al termine della sua esperienza a capo dell’Unrwa: “Quando sono arrivato a Gerusalemme, nel 2005, pensavo di sapere molto di un conflitto con il quale la nostra generazione era tutto sommato cresciuta”, dice Grandi. “Mai nella mia vita – continua – mai avrei immaginato la grandezza di misura e la gravità della ingiustizia perpetrata sui palestinesi. E lo si comprende soprattutto a Gerusalemme, città divisa e usurpata, perché tra i fatti e la misura dei fatti c’è un abisso che può solo essere chiaro sul posto. Solo sul posto si possono vedere le conseguenze degli ordini di demolizione delle case palestinesi a Gerusalemme est, o il Muro, o le condizioni in cui versa Shu’afat, l’unico campo profughi di Gerusalemme”.
Essere “sul posto”, per il commissario generale di un’agenzia come l’Unrwa, significa essere in un’area geografica frammentata all’interno del Medio Oriente, occupandosi però sempre degli stessi ‘destinatari’. “L’Unrwa ha una sua singolarità. È l’unica agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di una sola popolazione, quella palestinese. E lo fa direttamente, sul campo, dando lavoro a palestinesi per occuparsi di palestinesi. D’altro canto, non c’è scelta alternativa: così come succede in tutto il mondo, gli insegnanti fanno parte della popolazione. Sono palestinesi, dunque, i docenti che insegnano ai palestinesi”. Il risultato, spiega Filippo Grandi, è altrettanto singolare. “L’Unrwa è a tutti gli effetti un’agenzia internazionale, che è allo stesso tempo costituita da persone che provengono dalla stessa comunità. È questo il punto di forza dell’Unrwa, profondamente integrata nel tessuto sociale palestinese”. Una posizione in certo senso difficile, che proprio per questo ha attirato critiche sulla neutralità dell’Unrwa. La risposta di Grandi è tanto chiara quanto serena: “Certo che l’Unrwa è neutrale. Ma allo stesso tempo bisogna ricordare che i palestinesi non sono neutrali. E l’Unrwa ha nel suo mandato specifico il sostegno a una delle parti in conflitto”. E i più deboli tra i deboli vivono a Gaza.
A undici anni dal blocco aereo, marittimo e terrestre della striscia di Gaza, un milione di bambini sono costretti a vivere in condizioni inaccettabili. Più di 740 scuole si trovano in grande difficoltà per la carenza di energia elettrica, che è disponibile per sole 2 ore al giorno. Una limitazione che provoca gravi conseguenze anche per l’interruzione dei servizi sanitari e di emergenza, per l’aumento delle malattie trasmesse dall’acqua per la sospensione della potabilizzazione e il disastro ambientale a seguito del mancato trattamento delle acque reflue. Se un rapporto delle Nazioni Unite del 2012 dichiarava Gaza a rischio di invivibilità entro il 2020, Save the Children considera Gaza invivibile già oggi: con le condizioni attuali i bambini non riescono più a nutrirsi adeguatamente, dormire, studiare o giocare. Le forniture di energia elettrica dall’Egitto si sono completamente interrotte e l’unica fonte resta Israele nonché l’impianto di generazione interno di Gaza, che funziona a regime ridotto dopo essere stato colpito nel 2009 e lo scorso aprile si è dovuto fermare per mancanza di combustibile e di fondi per i rifornimenti.
In un documentato, Save the Children, l’Organizzazione internazionale dedicata dal 1919 a salvare la vita dei bambini e garantire loro un futuro, chiede a Israele di interrompere subito il blocco di Gaza, dove quasi la metà della popolazione non ha lavoro e l’80% sopravvive solo grazie agli aiuti umanitari, e chiede alle autorità palestinesi e israeliane di fornire i servizi di base indispensabili agli abitanti dell’area. I 10 anni di isolamento hanno ridotto progressivamente la disponibilità di energia elettrica per le case che ora si limita a due ore al giorno o è totalmente assente per troppe persone. La mancanza di energia elettrica sta penalizzando un’infrastruttura già paralizzata dal blocco e dal conflitto, costringendo a frequenti e lunghe sospensioni del trattamento delle acque reflue che hanno causato l’inquinamento e la contaminazione di più del 96% delle falde acquifere, non sono più utilizzabili dall’uomo, e del 60% del mare di fronte a Gaza. Ogni giorno si riversano infatti nel mare 108 milioni di litri di acque reflue non trattate, l’equivalente del contenuto di 40 piscine olimpioniche. “Essere consapevoli di questa tragedia umana e contribuire ad aggravarla – annota con amarezza il Vice presidente di Unrwa Italia – non è un errore, è un crimine”.