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LE “RAGAZZE MASAI” DEL KENYA CONTRO LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI

GARIWO 18 gennaio 2018
Le mutilazioni genitali femminili sono una pratica tradizionale – ormai fuori legge nella maggior parte dei Paesi – che prevede dall’incisione all’asportazione parziale o totale dei genitali femminili esterni.

Il “taglio”, come viene chiamato a livello popolare, è solitamente praticato da anziane donne dei villaggi con coltelli non sterili in 29 Paesi africani – principalmente in Kenya – e in alcuni Paesi a predominanza islamica dell’Asia. Si tratta di un rito di passaggio che porta le ragazze alla condizione di donne pronte per essere date in spose. 

Nell’immediato causa sanguinamenti, svenimenti e in alcuni casi anche la morte delle bambine, che possono avere persino meno di 9 anni. La pratica porta inoltre a una serie di problemi fisici che si protraggono nel tempo, fistole, dolore, complicazioni nella nascita dei bambini, cicatrici difficili da rimarginare.
In più, in quanto rito di passaggio che rende la bambina maritabile, “il taglio” comporta quasi sempre l’esclusione delle donne del villaggio dall’istruzione e dalle altre opportunità di crescita e di socializzazione.
Di recente sono emersi molti casi di donne che sfidano questa tradizione. I giornali internazionali hanno dedicato particolare attenzione alle “ragazze Masai” del Kenya – molto attive soprattutto nella predisposizione di rituali alternativi. Alcune sono donne che, come Kanenia Ntaiya – la cui storia è stata raccontata dal Guardian- hanno subito l’escissione e vogliono impedire che altre giovani debbano patire lo stesso trattamento. Altre “ragazze Masai” come Nice Leng’ete – che, sotto l’egida dell’organizzazione internazionale Amref, ha salvato 15.000 ragazze – sono riuscite invece a fuggire dal villaggio ed evitando la pratica e l’accanimento da parte degli uomini dei villaggi.
La cultura Masai ha un’impostazione patriarcale e per gli uomini delle famiglie avere una figlia o una moglie che non ha subito le mutilazioni era, e in molti casi è ancora, una causa di vergogna per tutto il nucleo famigliare. 
Spesso chi si ribella viene ostracizzata ed è considerata una poco di buono. Fortunatamente negli ultimi anni molti uomini, guidati da un sentimento di disprezzo verso quello che le ragazze sono costrette a subire, hanno iniziato a screditare tali pratiche. A Nice, ad esempio, gli anziani del suo villaggio hanno regalato il bastone del comando – che solitamente spetta ai più importanti di loro – a simboleggiare il loro sostegno nella sua opposizione. 
Nel mondo, le mutilazioni genitali femminili sono calate del 14% negli ultimi 30 anni. Nelle zone Masai del Kenya, il calo è addirittura di circa il 35%. Esiste anche un corpo di polizia impegnato a perseguire i genitori e membri dei villaggi che praticano ancora le mutilazioni. Tuttavia opporsi non è sempre facile perché le culture locali sono fortemente radicate. 
Ecco dunque che sono nati alcuni progetti come Safe Kenya, diretto da Sarah Tenoi – che ha fondato un centro dove viene messo a punto un rituale alternativo alle mutilazioni genitali femminili. Le ragazze e i loro parenti sono invitati a raggiungere la sede qualche giorno prima del rito. In quei giorni vengono spiegate a tutti i membri della famiglia alcune nozioni mediche e le bambine vengono aiutate a conoscere il loro corpo contro i pregiudizi verso le donne “non circoncise” – che vengono inculcati talvolta dalle mamme e dalle nonne, pur consapevoli della sofferenza che causano. Le ragazze vengono rapate, vestite di abiti tradizionali, e viene compiuto un rito in cui al posto di subire il taglio, viene versato loro del latte sulle cosce davanti a tutti gli invitati alla cerimonia – questo per cercare una soluzione che possa essere accettata dal villaggio senza però provocare la mutilazione.
Nel centro è allestita una scuola d’eccellenza in Kenya. In questo modo si mira ad aumentare il numero delle ragazze che portano avanti gli studi, purtroppo ancora troppo basso. In questi villaggi infatti solo l’11% delle bambine continua la scuola dopo le elementari.
Il rapare a zero e lo spogliare le ragazze non sono atti proprio privi di un loro contenuto violento, però, secondo gli esperti, consentono di evitare il peggio senza suscitare reazioni come quelle che hanno colpito Halima Bashir in Sudan o il dottor Denis Mukwege in Congo, a cui i guerriglieri avevano a un certo punto rapito le figlie minacciando di praticare loro l’escissione se lui non avesse smesso di aiutare le sue giovani pazienti a sfuggire alla violenza e a guarire.
Fortunatamente, questi tipi di progetti sono incentivati dal governo kenyota, che spera di riuscire a sradicare il fenomeno.