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Attenuanti mai per chi è accusato di stupro, amare non sminuisce un reato

8 gennaio 2018
Due sentenze che riguardano fatti accaduti a Torino stanno facendo discutere in questi giorni.

Le ricordo: Il 3 gennaio scorso diversi quotidiani hanno riportato la notizia della sentenza del Tribunale di Torino che ha assolto un uomo di 41 anni processato per maltrattamento nei confronti della ex convivente.

Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a più di tre anni per “continue aggressioni fisiche e umiliazioni morali” che avevano causato alla donna, ricorsa alle cure del pronto soccorso per nove volte in otto anni, “uno stato di prostrazione fisica e morale”. 
La giudice ha optato per l’assoluzione perché “dall’esame della persona offesa e dei testi non è emersa una situazione tale da cagionare un disagio continuo e incompatibile con le normali condizioni di vita” e perché si sarebbe trattato di “atti episodici” che erano accaduti “in contesti particolari“.
E’ di ieri giovedì scorso invece la notizia della condanna a 4 anni di reclusione inflitta a un uomo per lo stupro di una ragazza di sedici anni. In primo grado il tribunale di Torino lo aveva condannato a cinque anni di reclusione, ma poi la Corte d’Appello li ha ridotti a quattro riconoscendo da una parte che l’uomo aveva “approfittato dell’inferiorità fisica e psichica della giovane donna” ma dall’altra ha concesso le attenuanti generiche “perché non si può dubitare di un sentimento di amore e di affetto”.
La ragazza per 4 anni era vissuta in uno stato di totale dipendenza, non solo perché era malata di sclerosi multipla ed era stata abbandonata dalla famiglia ma perché l’uomo che i giudici hanno descritto nella sentenza come premuroso, la teneva in uno stato di isolamento e controllo e le aveva concesso la presenza di un cagnolino come unica compagnia alternativa alla propria.
Silvia Lorenzino avvocata e presidente del Centro antiviolenza Svolta donna che opera nell’ambito del territorio della città metropolitana di Torino ed aderisce a D.i.Re spiega che può accadere, seppur raramente, che si giunga all’assoluzione per maltrattamento perché si tratta di un reato per il quale va provata l’abitualità della condotta vessatoria.
“Sono quotidianamente in Tribunale per difendere le donne da violenza e maltrattamenti. Non entro nel merito della sentenza di Torino, che ha assolto un uomo per maltrattamenti nei confronti della convivente, non essendo a conoscenza degli atti e non avendo letto le motivazioni della sentenza, ma non vorrei che traendo spunto da queste notizie qualcuno pensasse che non sia reato picchiare la moglie se ciò accade solo qualche volta. Il reato di maltrattamenti, sanzionato dall’articolo 572 del codice penale, richiede per la sua configurabilità che debbano essere compiute condotte aggressive, offensive e vessatorie abituali e reiterate nel tempo. 
Una recente sentenza della stessa Corte d’Appello di Torino ha affermato la penale responsabilità di un marito violento proprio sulla base di pronunce della Cassazione che hanno riconosciuto come le condotte aggressive e vessatorie sistematiche possano essere alternate da momenti di normalità senza che venga meno il disvalore complessivo e la rilevanza penale dell’accaduto e che tre aggressioni fisiche in un anno costituiscono condotta incompatibile con il concetto di occasionalità. Non dobbiamo comunque confondere i maltrattamenti con le lesioni. I maltrattamenti si compongono di una serie di atti vessatori abituali che non sempre sono connotati in prevalenza da violenza fisica ma molto spesso consistono in umiliazioni, violenza psicologica e economica.
In altre parole, può accadere che possa essere condannato per maltrattamenti chi abbia sistematicamente umiliato, minacciato, ingiuriato e vessato, ma non necessariamente chi ha aggredito fisicamente in modo sporadico, in assenza di continuità ed intensità tali da determinare l’abituale sopraffazione della persona offesa. Resta il fatto che chi picchia la compagna o la moglie commette comunque il reato di percosse o lesioni e quindi una diversa condotta di rilevanza penale. Mi lascia invece del tutto basita la sentenza che ha concesso le attenuanti generiche allo stupratore di una ragazza di 16 anni che era in uno stato di dipendenza e disabilità.
Pur non conoscendo anche in questo caso gli atti ed essendo ovviamente consapevole dei principi giuridici che governano la concessione delle attenuanti generiche, non posso però fare a meno di chiedermi, se i fatti si sono verificati come emerso sulla stampa, come il sentimento cosiddetto di amore e affetto di uno stupratore possa essere considerato elemento idoneo per la concessione delle attenuanti”.