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L’abbraccio di Papa Francesco ai Rohingya: “Vi chiedo perdono per l’indifferenza del mondo”

Maria Antonietta Calabrò 01/12/17
“La presenza di Dio oggi anche si dice Rohingya”, ha detto il Papa, a braccio, rivolto a un gruppo di sedici profughi dal Rakhine, dopo averli salutati uno ad uno a Dacca. È la prima volta che il Papa pronuncia la parola “Rohingya” durante questo viaggio in Asia, e lo fa in modo teologicamente molto forte. Dopo l’incontro con il Papa, alcuni di loro piangevano. Insomma, Dio si fa presente oggi come Rohingya. 
Di più non si può, più che una similitudine, più che un’equazione. Oggi “Dio si dice anche Rohingya”.

Alla fine, nel viaggio del Papa in Asia, è arrivato il momento. Dopo che la presenza di questa minoranza etnica (bangladini, cioè provenienti dal Bangladesh, immigrati irregolari, senza riconoscimento, sans papier, diremmo noi, spinti all’indietro dai militari in Myanmar) e religiosa (musulmani in un paese a stragrande maggioranza buddista) è stato il convitato di pietra di tutto il viaggio. La loro disperata situazione in realtà è sempre stata tenuta presente anche nei discorsi del Papa in cui la parola però non è stata mai pronunciata.
Ma oggi è arrivato il momento dell’incontro fisico tra Francesco e sedici di loro che hanno viaggiato dai campi al confine con il Myanmar stipati di circa un milione di profughi. Vittime di quella che le Nazioni Unite e il segretario di Stato americano Rex Tillerson hanno definito “una pulizia etnica” da manuale.
È iniziato con un inchino reciproco di Francesco davanti a dodici uomini e quattro donne, comprese due ragazzine. Il Papa infatti quando essi sono saliti in fila sul palco, dopo il discorso dell’incontro interreligioso, si è inchinato davanti alla prima coppia, ricambiando il loro inchino.
Non sono mancati altri gesti d’affetto: una pacca sulle spalle a uno dei profughi che più a lungo gli aveva parlato, un lungo tenere la mano a un altro, più anziano, e poi anche a un giovane, il sorriso a una giovane che portava sul capo due veli, uno dei quali era forse un burka che si era sfilata dal viso. Era evidente la grande commozione da parte del Pontefice che ha ascoltato le loro storie restando spesso in silenzio e annuendo.
Il Papa ha detto ai Rohingya: “Forse possiamo fare poco per voi ma la vostra tragedia ha molto spazio nel nostro cuore. Per quelli che vi hanno fatto male, soprattutto nell’indifferenza del mondo, vi chiedo perdono!”, come ha riferito il diacono Alberto Quattrucci della Comunità di Sant’Egidio che ha accompagnato all’arcivescovado di Dacca per l’incontro con il Papa.
Usa il plurale il Papa, usa il noi, ed è rarissimo. E non è un plurale maiestatis, è il plurale di chi dà voce al sentimento di tutti i cristiani e di tutta la Chiesa. Non è da solo Francesco, nella dichiarazione di questa impotenza. Anche se molte sono le organizzazioni e i gruppi cattolici che da mesi si prodigano per alleviare le sofferenze di questo popolo di profughi. Ieri il Pontefice ha ringraziato le autorità del Bangladesh per la generosità davanti alla crisi che si è aperta nell’agosto scorso.
Ecco il testo completo delle parole dette a braccio del Papa ai Rohingya, così come sono state bobinate e pubblicate dalla Sala Stampa vaticana:
“Cari fratelli e sorelle, noi tutti vi siamo vicini: E’ poco quello che possiamo fare perché la vostra tragedia è molto grande. Ma facciamo spazio nel nostro cuore. A nomi di tutti, di quelli che vi perseguitano, di quelli che hanno fatto del male, soprattutto per l’indifferenza del mondo, vi chiedo perdono. Perdono. Tanti di voi mi avete detto del cuore grande Bangladesh che vi ha accolto. Adesso io mi appello al vostro cuore grande perché sia capace di darci il perdono che chiediamo. Cari fratelli e sorelle, il racconto ebreo-cristiano della creazione dice che il Signore che è Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. Tutti noi siamo questa immagine. Anche questi fratelli e sorelle. Anche loro sono immagine del Dio vivente. Una tradizione delle vostre religioni dice che Dio, all’inizio ha preso un po’ di sale e l’ha buttato nell’acqua, che era l’anima di tutti gli uomini; e ognuno di noi porta dentro un po’ del sale divino: Questi fratelli e queste sorelle portano dentro il sale di Dio. Cari fratelli e sorelle, facciamo vedere al mondo cosa fa l’egoismo del mondo con l’immagine di Dio. Continuiamo a far loro del bene, ad aiutarli; continuiamo a muoverci perché siano riconosciuti i loro diritti. Non chiudiamo i cuori, non guardiamo dall’altra parte. La presenza di Dio, oggi, anche si chiama “Rohingya”. Ognuno di noi, dia la nostra risposta” .