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La prima vittoria di #MeToo. In Alabama sconfitto il repubblicano Moore, sostenuto da Trump

Huffington Post 13/12/2017
Il democratico Doug Jones vince una corsa all’ultimo voto in Alabama strappando ai repubblicani un prezioso seggio in Senato e sconfiggendo il favorito Roy Moore. Ed è uno schiaffo, e sonoro, per il presidente Donald Trump che aveva appoggiato Moore nonostante le controversie sulle accuse di molestie sessuali. Il risultato in Alabama è anche la prima vittoria politica di #MeToo, il movimento di denuncia delle molestie nato sull’onda del caso Weinstein. 
In uno Stato ininterrottamente repubblicano dal 1992, e dove quattro anni fa il Gop vinse con il 63% contro il 37% dei democratici, il travaso di voti è massiccio: la corsa finisce sul filo di lana, con appena un punto di vantaggio per Jones. Ma è comunque un risultato storico, che certifica l’impatto del tema molestie sulla vita politica americana. Un tema che il presidente ha scelto di minimizzare, e da cui lui stesso non è immune, come da tempo sostengono le donne che lo accusano.

Determinante, per la vittoria di Jones, è stato il voto afroamericano, soprattutto delle donne. La maggior parte delle donne bianche ha continuato a sostenere Moore, ma il dibattito sulle presunte molestie e abusi – e in questo caso si parla addirittura di minorenni – ha comunque spostato l’ago della bilancia in un modo che era imprevedibile solo un paio di mesi fa. Complessivamente Jones è stato votato dalla maggioranza delle donne (57%), sommando bianche e afroamericane (57%), anche se a fare il vero muro al repubblicano sono state le afroamericane: ben il 98% ha votato contro di lui. Anche tra i maschi afroamericani Jones ha stravinto con il 93%, mentre i bianchi hanno continuato a preferire lui. È un duro colpo per il Grand Old Party, che vedrà la sua già risicata maggioranza in Senato – di 52 seggi su 100 – ulteriormente ridotta. Ed è un segnale particolarmente significativo in vista delle elezioni di midterm nel 2018 per il rinnovo del Congresso, di cui la consultazione nello Stato ‘ruby red’ (‘rosso rubino’ per la sua tradizionalmente netta connotazione repubblicana) è stata considerata un test.
A poco è valso allora il ‘talismano’ Sassy, questo il nome del cavallo di Roy Moore in sella al quale l’ex giudice conservatore si è recato a votare al seggio le scorse ore: ha perso per una manciata di voti, ma ha perso. Sebbene il giudice conservatore comparendo fra i supi sostenitori a Montgomery non è disposto a concedere la vittoria e prende tempo, per finalizzare il conteggio dei voti.
Intanto, con il 99% dei voti scrutinati Jones ha ottenuto il 49,9% dei consensi contro il 48,4% di Moore. Eppure sembrava un’impresa impossibile per il fronte democratico. Adesso ci si chiede se e quanto il voto afroamericano abbia influito in questo Stato del sud, lo Stato della marcia di Selma, voto a cui ha fatto appello nelle scorse ore anche l’ex presidente Barack Obama in persona esortando tutti a recarsi alle urne: “Questa è una cosa seria”, aveva avvertito in un messaggio registrato e diffuso via telefono.
Dal palco della vittoria Doug Jones esalta lo spirito dell'”Alabama: “Il popolo dell’Alabama ha più in comune di ciò che lo divide. Abbiamo mostrato non solo all’Alabama ma al Paese che possiamo essere uniti”, e cita Martin Luther King Jr: “L’arco dell’universo morale è lungo, ma tende verso la giustizia”.
Mentre dalla Casa Bianca Donald Trump twitta all’insegna del fair play, congratulandosi con Jones, “I repubblicani avranno un’altra chance per questo seggio molto presto. Non finisce mai!”, scrive. Questo è però per lui un terremoto, e alla Casa Bianca – e nella West Wing – l’aria deve essere davvero pesante in queste ore. Perché il presidente Trump ha ‘scommesso’ e ha sbagliato. Gli era stato anche consigliato di rimanerne fuori, ma ha voluto ascoltare Steve Bannon e si è buttato.
Moore non era stata la ‘prima scelta’ del partito, e anche del presidente che alle primarie repubblicane aveva sostenuto candidato Luther Strange più gradito all’establishment Gop. L’ex giudice conservatore Moore era invece più rappresentativo di quella fetta di partito che più si ispira ai valori di Steve Bannon, l’ex stratega di Donald Trump che infatti ha fatto campagna sul campo fino all’ultimo minuto. E poi sono spuntate le accuse di molestie sessuali, con le rivelazioni del Washington Post secondo cui Moore aveva assalito sessualmente quattro donne all’epoca minorenni mentre lui era un noto avvocato ultratrentenne. Trump a quel punto ha taciuto a lungo e per settimane la Casa Bianca ha nicchiato, poi si è deciso e ha abbracciato la causa do Moore, non un dettaglio – e non passato inosservato ai critici e agli oppositori politici – visto che anche verso il presidente sono state avanzate accuse di molestie sessuali.