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Dietro la sfida in Alabama tra Moore e Jones una domanda: quanto conta il #MeToo in politica?

Giulia Belardelli 12/12/2017
La posta in gioco, apparentemente, è “solo” la scelta di un senatore per l’Alabama. Ma in realtà la sfida tra il settantenne repubblicano Roy Moore, accusato di molestie sessuali su minorenni quando aveva trent’anni, e il democratico Doug Jones, 63 anni, ex procuratore sostenuto da un super Pac controllato dai vertici dem a Washington, è molto, molto di più. 
In ballo c’è il peso degli scaldali sessuali e della campagna #MeToo sulla scena politica americana, tanto più che l’ombra delle molestie grava anche sul presidente Donald Trump. In questo senso il voto di oggi in Alabama – Stato ininterrottamente repubblicano da 25 anni a questa parte – può fornire indicazioni decisive per le elezioni di midterm del prossimo anno, un appuntamento che già domina le mosse di Trump sia in politica interna che all’estero, come mostra la decisione di procedere al riconoscimento di Gerusalemme come capitale “unica e indivisibile” dello Stato di Israele.

Se con la mossa di Gerusalemme Trump ha voluto soddisfare i finanziatori pro-Israele e gli evangelici, rappresentati soprattutto dal suo vicepresidente Mike Pence, il sostegno pubblicamente espresso a Moore potrebbe costargli caro. Per Pence, un conservatore evangelico che durante la campagna elettorale aveva criticato Trump per le sue affermazioni sessiste, la scelta del presidente di spendersi in prima persona per il candidato Moore deve essere risultata particolarmente indigesta. Lo dimostra il silenzio sulla questione in cui il vicepresidente si è barricato dopo il moltiplicarsi delle accuse a Moore: come fa notare Bloomberg, il suo ultimo commento pubblico sulla corsa in Alabama risale al 9 novembre, prima dello scoop del Washington Post che ha sentito quattro donne che hanno accusato Moore di aver abusato di loro quando erano adolescenti. Secondo i sondaggi, lo scandalo sessuale ha reso la contesa inaspettatamente aperta. Decisivo sarà il voto delle donne che alle presidenziali del 2016 scelsero di voltare le spalle a Hillary Clinton, determinandone più di ogni altra cosa la sconfitta. Se l’elettorato femminile che ha preferito The Donald a Hillary dovesse cambiare bandiera nella sfida Moore-Jones, questo potrebbe suggerire una nuova attenzione ai temi sollevati dal caso Weinstein. Le ricerche sulle intenzioni di voto non bastano ad anticipare una risposta. Secondo un sondaggio della settimana scorsa realizzato dal Washington Post, le donne bianche dell’Alabama non sarebbero rimaste più di tanto turbate dalle accuse da Moore: 6 su 10 hanno detto di voler comunque votare per lui; per 4 su 10 si sarebbe trattato di avances non intenzionali. Moore ha 70 anni, è cristiano conservatore, ex capo della Corte suprema dello Stato. Diverse donne lo hanno accusato di aver subito da lui abusi sessuali, quando Moore aveva circa trent’anni e loro erano minorenni. Tra esse, una ha raccontato che all’età di 14 anni subì un approccio sessuale dal repubblicano. Moore ha negato ogni accusa. Ma il partito repubblicano si è diviso. Molti alti esponenti del Gop, tra cui il leader della maggioranza al Senato Mitch McConnell, hanno preso le distanze dal candidato.
Dopo essere sparito dai riflettori negli ultimi cinque giorni, fa discutere la scelta del candidato repubblicano di ricomparire poche ore prima del comizio finale a Midland City, facendosi intervistare da una ragazzina di 12 anni per una tv cristiana. Scelta bizzarra considerato che Moore è accusato di aver molestato minorenni quando aveva trent’anni. L’ex giudice ultracattolico non si faceva vedere in pubblico da martedì scorso, tanto che circolava la voce che fosse deluso dai sondaggi: aveva rifiutato interviste, persino un faccia-a-faccia con il suo diretto avversario per le sue posizioni “troppo liberali” sui diritti dei transgender. E l’assenza è stata interrotta da un’intervista a una dodicenne, Millie March, famosa nei circoli conservatori per le sue invettive contro Barack Obama. America First Project – il gruppo pro-Trump fondato da alcuni collaboratori di Breitbart, il sito dell’estrema destra americana – ha spiegato di aver organizzato l’intervista per dimostrare che Moore ha “un sostegno ad ampio raggio”. La giovane ha chiesto a Moore del suo sostegno al muro di Trump con il Messico e su quelli ritenga essere i problemi per l’Alabama. E poi ha concluso l’intervista con una calorosa stretta di mano.
Poche ore dopo il 70enne esponente della destra iper-religiosa repubblicana è tornato in pubblico con il suo ultimo comizio, in cui gli sono andati in soccorso tanto il presidente Trump (con un video messaggio), che l’ex capo stratega della Casa Bianca, il ‘padre putativo’ di Breitbart, Steve Bannon. All’appuntamento, chiamato ‘Drain the swamp’ (prosciuga la palude), Bannon si è scagliato contro i compagni di partito che non si sono schierati con il controverso candidato: “C’è un posto speciale all’inferno per i repubblicani che dovevano fare meglio”, ha detto, lanciando una frecciata a Ivanka Trump, che dopo le accuse a Moore aveva detto che c’è un posto speciale all’inferno per i pedofili. Trump ha registrato un messaggio a favore di Moore, e lo stesso hanno fatto l’ex presidente Barack Obama e il suo ex vice Joe Biden per lo sfidante democratico Jones. Questi si è proposto come “la voce della ragione”, puntando molto sugli elettori afroamericani, i più ‘affidabili’ nello Stato. Se Jones vincerà, i repubblicani controlleranno il Senato con uno stretto margine di 51 a 49, dando una ‘spinta’ al partito democratico in vista delle elezioni del novembre 2018, quando in gioco ci saranno entrambe le Camere del Congresso.
“Le elezioni sono per il popolo dell’Alabama, noi siamo qui per difendere i nostri diritti, noi vogliamo prosciugare la palude”, ha detto Moore nella sua arringa finale, usando uno degli slogan più di successo di Trump, tornando a smentire tutte le accuse che gli hanno rivolto donne “che non si sono fatte avanti per oltre 40 anni e lo hanno fatto un mese prima delle elezioni”. “Se non credete alla mia moralità, non votate per me”, ha concluso il controverso giudice che è stato sospeso due volte dalla Corte Suprema dell’Alabama, la prima perché non ha voluto rimuovere una targa con i 10 comandamenti dall’aula e la seconda perché non ha riconosciuto i matrimoni gay. La risposta a chiusura delle urne, alle 7pm locali, le 2 di notte in Italia. Domattina sapremo se il movimento #MeToo, personaggio dell’anno secondo Time magazine, ha una voce abbastanza forte da impattare anche sul voto femminile repubblicano.