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Sugli abusi sessuali ai chierichetti del Papa ci sono due possibili verità

Francesco Antonio Grana | 20 novembre 2017
Nella gestione degli abusi sessuali ai danni dei chierichetti del Papa c’è più di qualcosa di inquietante. Le risposte possibili a una delle pagine più nere e tristi che si sarebbero svolte sotto il Cupolone di San Pietro sono soltanto due. O siamo davanti a una colossale montatura per calunniare un novello sacerdote. O siamo di fronte all’ennesimo scandalo sessuale svoltosi in Vaticano e coperto, come sempre, da un muro di omertà sconvolgente.

Nessuno vuole affrettarsi a liquidare rapidamente la prima delle due possibili ipotesi. Ma è un dato di fatto che le testimonianze di quasi tutti i protagonisti della vicenda coincidono perfettamente. Dopo la denuncia fatta da Gianluigi Nuzzi nel suo libro Peccato originale (Chiarelettere), il quarto che si occupa dei misfatti del Vaticano, Gaetano Pecoraro de Le Iene ha avuto il grande merito di rintracciare e far parlare tutti gli attori di questa storia.
Da un lato ci sono le presunte vittime, dall’altro il presunto carnefice con le gerarchie ecclesiastiche che lo avrebbero coperto fino all’inverosimile. Denunce su denunce occultate per anni fino a quando Nuzzi prima, e Pecoraro dopo, hanno sollevato il pesante velo di omertà che in cinque anni si era riuscito a gettare sulla vicenda.
Le domande a cui qualcuno ora dovrà rispondere sono molto semplici: è vero che la sera nel preseminario vaticano san Pio X, un giovane che godeva della piena fiducia dei superiori entrava nelle stanze e nei letti delle sue vittime? È vero che questi rapporti sessuali erano compiuti senza il consenso dell’altro ragazzo e perciò erano dei veri e propri abusi? È vero che i testimoni oculari e le vittime di queste violenze hanno denunciato con nomi e cognomi ai superiori quanto avveniva? È vero che nonostante queste denunce, l’indagine, se davvero c’è stata, fu molto sbrigativa e tesa soltanto ad allontanare gli accusatori e a premiare il carnefice con il sacerdozio?
Il primo mea culpa è arrivato, in modo totalmente inatteso, proprio dal Vaticano. Un comunicato della sala Stampa della Santa Sede, infatti, ha ammesso che “è in corso una nuova indagine che faccia piena luce su quanto realmente accaduto”. Proprio il Vaticano, infatti, nella stessa nota ammette che “a seguito di alcune segnalazioni, anonime e non, a partire dal 2013 furono compiute, a più riprese, delle indagini sia da parte dei superiori del preseminario sia da parte del vescovo di Como, atteso che la comunità degli educatori appartiene alla sua diocesi. I fatti denunciati, che risalivano agli anni precedenti e che avrebbero coinvolto alunni coetanei tra loro, alcuni dei quali non più presenti nell’Istituto al momento degli accertamenti, non trovarono adeguata conferma”.
Un’indagine, dunque, alcuni anni fa fu aperta, ma forse è lecito ipotizzare che fu chiusa molto frettolosamente. Che del marcio ci sia stato nel preseminario vaticano è quantomeno credibile dato che furono allontanati alcuni dei protagonisti della vicenda. Non però, almeno stando a quanto emerso in questi giorni, il presunto carnefice, bensì coloro che denunciavano questi abusi sessuali.
C’è anche chi vorrebbe subito derubricare la vicenda a rapporti omosessuali fra coetanei respingendo con fermezza la parola abusi. Se, invece, quanto emerso si dimostrasse fondato, saremmo proprio in presenza di abusi sessuali perché si tratterebbe di rapporti non consenzienti. Sbaglia chi, proprio mentre viene riaperta l’indagine, chiaro segnale che quella precedente non è stata infallibile, vuole subito mettere la parola fine alla triste vicenda contestando l’uso del termine abusi. Così come sbaglia chi erroneamente crede che questa parola sia sinonimo di pedofilia, che è ben altra cosa.
Questo non è il momento di dare risposte preconfezionate e definite nelle stanza dei bottoni. Questo è il momento di consegnare al mondo, e non solo alla Chiesa, la verità. Lo si deve innanzitutto a quei ragazzi che hanno avuto il coraggio di uscire allo scoperto e denunciare le violenze che avrebbero subito. Lo si deve anche al novello sacerdote che merita, se risulterà innocente, di non vedere il suo ministero macchiato fin dall’origine. Lo si deve alla lotta che papa Francesco sta portando avanti con determinazione da cinque anni per ripulire la Chiesa partendo proprio dalla Curia romana. Non c’è dubbio, infatti, che Bergoglio è l’unico che può giungere alla verità di quella che già appare l’ennesima pagina buia del Vaticano.