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Macri vince ancora: il futuro dell’Argentina fra riforme e declino del peronismo

24 Ottobre 2017

L’analisi del Professor Francesco Davide Ragno dell’Università di Bologna sugli scenari aperti dalle elezioni argentine

Svolta politica in Argentina. Il partito del Presidente Mauricio Macri ha vinto nettamente le elezioni legislative. Il popolo argentino , chiamato alle urne per rinnovare un terzo del Senato e la metà della Camera, ha inviato un forte segnale di fiducia al Presidente in carica, salito al potere dopo le elezioni presidenziali del 2015. La coalizione di Governo formata dal partito di Macri, Cambiemos, e dai suoi alleati, si è imposta in ben 14 distretti elettorali, tra gli altri nelle principali province quali Buenos Aires, Cordoba, Santa Fe, Mendoza, e nella città di Buenos Aires, capitale del Paese. Era dai tempi di Raul Alfonsin, nel 1985, che un Presidente non otteneva un risultato così positivo.

Dall’altra parte dell’arena politica, esce nettamente sconfitta da questo voto l’ex Presidente dell’Argentina, la peronista Cristina Fernandez Kirchner, moglie di Nestor Kirchner, anch’egli Presidente del Paese, scomparso nel 2010. La leader del fronte peronista perde anche la sfida chiave della provincia di Buenos Aires dove viene distaccata di ben quattro punti dal candidato di Cambiemos, l’ex ministro Esteban Bullrich.

Con questa vittoria, il Presidente in carica Mauricio Macri ottiene la maggioranza parlamentare necessaria per l’approvazione delle riforme economiche promesse fin dalle presidenziali del 2015. Se nel suo primo anno al potere l’economia del Paese ha vissuto una contrazione a causa di interventi dolorosi, ma necessari, quali la svalutazione del peso, lo smantellamento del controllo sui cambi e i tagli alle sovvenzioni per l’elettricità e il gas, nell’ultimo anno le riforme governative hanno cominciato a dare i propri frutti come dimostrato dall’inflazione scesa sotto il 22 % e dalla crescita economica superiore al 3%.

La continuazione di questo trend positivo dipenderà molto da come Macri riuscirà a capitalizzare questo importante risultato elettorale. Certamente lo schieramento peronista non sarà disposto ad arrendersi facilmente, come dimostrato dalle parole della Kirchner «niente è finito, oggi inizia tutto». Un nuovo inizio in cui non è escluso che i legislatori peronisti rimasti in carica decidano di appoggiare parte delle riforme dell’Esecutivo allo scopo di mantenere il potere e sperare in una prossima rielezione. Dall’altra parte, la stessa coalizione di Governo potrebbe tentare un dialogo con gli elementi maggiormente moderati del partito peronista per accelerare l’implementazione delle riforme più complesse.

Sullo sfondo, il declino del populismo in America latina, laddove nel resto del mondo i movimenti populisti sembrano cavalcare l’onda del consenso. Sugli scenari aperti dalle elezioni argentine abbiamo sentito il Professor Francesco Davide Ragno, Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Bologna.

Si può dire che con questa elezione l’Argentina entri in una nuova era archiviando definitivamente il periodo peronista?

La storia ci ha insegnato che il peronismo non muore mai. Ad esempio, nel 1983,  il peronismo, pur sembrando notevolmente indebolito, ha avuto la capacità di rimettersi in ordine e di vincere le elezioni presidenziali successive. Un altro discorso deve essere fatto rispetto al kirchnerismo. La relazione fra peronismo e kirchnerismo, infatti, non è del tutto lineare al giorno d’oggi, anzi è in parte contraddittoria. Vi sono molte liste di chiara ispirazione peronista che hanno rifiutato di prendere parte alla Union Ciudadana, l’alleanza politica kirchnerista. Onestamente, quindi, non possiamo ancora dire di essere o meno davanti ad una svolta epocale della politica argentina. Il peronismo infatti ha una serie di resilienze e di resistenze, unite ad una grande capacità di rinnovarsi, che non ci permette di considerare definitivamente estinto tale movimento.

Quali sono state le principali ragioni della vittoria del presidente Macri?

La principale ragione della vittoria di Macri risiede nella maniera in cui viene percepito il Presidente e il suo gruppo dirigente. In questi anni, il Governo di Macri si è impegnato nel tentativo di unire il Paese, a differenza di quanto avvenuto durante le Amministrazioni Kirchner. In quel periodo infatti il Paese era profondamente diviso dal punto di vista economico, sociale e culturale. Si trattava di una divisione manichea tipica di tutti i regimi populisti: una divisione fra patria e antipatria, popolo e oligarchia corrotta. Macri, al contrario, ha rappresentato (e continua a rappresentare) una svolta per la politica argentina nel tentativo di promuovere un dialogo fra attori politici e sociali all’interno del paese: ha coinvolto partiti, sindacati, amministrazioni locali. In questo modo il Presidente in carica ha voluto costruire spazi di incontro. Anche le ultime notizie dall’Argentina vanno in questa direzione: Macri intende infatti invitare in un luogo neutro i governatori delle varie province, i leader dei sindacati e i rappresentanti della giustizia per tentare di definire meglio le riforme in materia fiscale, educativa e politica più in generale.

In particolare quanto hanno pesato gli investimenti in opere pubbliche effettuati in particolare nella grande periferia di Buenos Aires, un’area decisiva per la vittoria del partito del presidente?

La periferia della capitale, la cosiddetta Gran Buenos Aires, rappresenta una delle realtà più emblematiche di questa elezione. Le opere pubbliche sono state realizzate in un’area fra le più popolose del paese, con uno fra i più elevati tassi di criminalità e con forti componenti di povertà, si pensi alle tristemente note villas miserias. Queste grandi periferie sono una sorta di mito, venerato da tutti i leader peronisti e un tempo fortino politico del peronismo prima e del kirchnerismo poi. Oggi la situazione è profondamente mutata. L’eccessiva personalizzazione operata dai Governi Kirchner ha portato ad un progressivo allontanamento di molti storici leader locali, i cosiddetti punteros. Si pensi al caso del sindaco storico di Lanùs, uno dei maggiori municipi di Buenos Aires, Manuel Quindimil il quale, nonostante fosse storicamente un peronista, nel 2005 si allontanò dal kirchnerismo. Un caso analogo è quello del sindaco della città di Tigre, Sergio Massa, un tempo allineato allo schieramento peronista, che pian piano si è allontanato dal kirchnerismo per fondare un proprio movimento politico, movimento che recentemente ha perso numerosi voti, i quali sono andati ad alimentare la coalizione di Macri.

Le riforme del presidente Macri hanno cominciato a dare i loro primi frutti solo quest’anno, questo significa che dietro la vittoria del suo partito vi è una grande fiducia della popolazione, come si spiega questa fiducia nei confronti del Presidente?

Io credo che nel caso dell’Argentina l’approccio alla politica da parte del suo Presidente sia stato la carta vincente, al fine di invertire la tendenza per cui spesso alle elezioni di medio termine gli Esecutivi in carica subiscono una battuta d’arresto. Macri ha espresso la chiara volontà di non tornare indietro all’epoca delle contrapposizioni manichee (come quella tra la stampa che mentiva e la politica governativa vicina al popolo o quella fra l’autoritarismo e la democrazia) che hanno attraversato l’intera società argentina nell’epoca del kirchnerismo. L’intenzione di costruire ponti che al contrario uniscano i vari segmenti della società credo sia stata la carta vincente anche per affrontare la spinosa questione del ritrovamento del corpo di Santiago Maldonado, l’attivista scomparso due mesi fa in Patagonia dopo una manifestazione a favore degli indigeni della tribù Mapuche. Il momento in cui è stato ritrovato il corpo del giovane, proprio alla vigilia delle elezioni di domenica, poteva far pensare ad un tracollo del Governo in carica, investito da violente polemiche dopo l’accaduto.  Così non è stato perché la situazione, per quanto difficile, è stata gestita in maniera oculata dalle autorità di Governo, e la cittadinanza ha dato maggior peso all’approccio positivo generale da parte dell’Esecutivo piuttosto che a possibili errori da parte di singoli elementi.

Sono state sollevate critiche di una svolta autoritaria nel paese, queste critiche sono fondate e da dove derivano?

Non penso sia in corso una svolta autoritaria all’interno del Paese. Se si ripercorre la storia del peronismo, si deve ricordare come tale movimento politico nasce in un contesto di legami viscerali con i regimi corporativi dell’Europa degli anni ’30. E’ pertanto paradossale vedere che un movimento con alle spalle una storia di questo tipo dipinga come ‘fascisti’ i suoi oppositori. Nel momento in cui vi era (come durante le amministrazioni Kirchner) una rappresentazione manichea della società, vi era una necessità endemica di creare il Nemico (interno o esterno). Io ho vissuto in Argentina nell’epoca finale del kirchnerismo e ricordo ancora che per lunghi periodi appariva sui muri della città di Buenos Aires una scritta che recitava Cristina es el pueblo, scritta che si riferiva naturalmente a Cristina Kirchner. Non si diceva Cristina rappresenta il popolo, ma Cristina è il popolo, in qualche maniera lo incarna e ne percepisce i desideri e i turbamenti. Pertanto se Cristina incarna il popolo allora i suoi oppositori incarnano una sorta di “antipopolo”. Ed allora se Kristina incarna il popolo, i suoi oppositori sono l’antipopolo. E se, in maniera meccanica ma molto efficace, il popolo è il fondamento della democrazia, gli oppositori del popolo e della sua incarnazione sono anti-democratici e, dunque, autoritari. Le critiche al Governo di Macri derivano quindi soprattutto dalla visione politica e dalla storia dei suoi avversari e costituiscono un’arma retorica per screditare l’Esecutivo in carica.

Come questa vittoria aiuterà Macri a realizzare compiutamente il suo programma di riforme economiche?

I passi che l’Argentina deve compiere in ambito economico sono ancora molto grandi, primo fra tutti risolvere il problema dell’inflazione che pende come una spada di Damocle sull’economia argentina. Sicuramente per il Governo avere un’ampia maggioranza in entrambe le Camere, ma soprattutto poter contare su uno schieramento parlamentare maggiormente omogeneo nel paese, rappresenta un fattore positivo. Se si guarda la cartina elettorale che viene fuori dalle ultime elezioni, ci si rende conto che, al di là di qualche provincia, la coalizione Cambiemos ha vinto un po’ ovunque, senza concentrarsi su alcuni luoghi a discapito di altri. Questo aspetto potrebbe aiutare ad avere una maggiore coerenza nelle riforme politiche ed economiche che il Governo è intenzionato ad attuare.

Qual è invece il futuro del fronte kirchnerista? La leadership della Cristina Kirchner è vicina alla fine?

Io non so dirle se siamo davvero di fronte al canto del cigno della ex Presidente. Certamente la sua leadership, dopo queste elezioni, si trova in gravi difficoltà, ma non va dimenticato come i movimenti populisti abbiano una particolare propensione ad accentrare il potere nelle mani di un solo leader facendo terra bruciata intorno al medesimo. Al momento non pare vi siano all’interno del movimento kirchnerista dei leader capaci di prendere il posto di Cristina. La sconfitta di Daniel Scioli nelle ultime elezioni presidenziali di due anni fa lo ha ampliamente dimostrato: il candidato kirchnerista non è sembrato capace di raccogliere tanti consensi quanto accaduto in precedenza. Le cosiddette ‘seconde linee’ del partito non sono al momento in grado di prendere il posto della ‘prima linea’, pur vivendo quest’ultima un periodo di forte crisi.

E’ probabile che i legislatori e i governatori peronisti ancora in carica appoggino alcune politiche di Macri allo scopo di mantenere il potere e sperare in una futura rielezione?

Si tratta di una tendenza in parte già in atto. Io preferisco analizzarla più in ottica di collaborazione che di mera convenienza politica. Negli ultimi anni, infatti, alcuni governatori kirchneristi hanno cominciato a dialogare con la Presidenza Macri, pertanto alcuni analisti hanno cominciato a parlare di un’evoluzione del peronismo-kirchnerismo in una sorta di governismo, ossia una costante volontà di collaborare con il Governo, andando oltre il colore politico. Credo che questo approccio tenderà ad incrementarsi, se poi sarà portato avanti in buona fede o per un mero calcolo politico è difficile a dirsi. Quello che sicuramente farà bene alla politica argentina sarà sotterrare ‘l’ascia di guerra’ dello scontro politico manicheo.

Dall’altra parte è probabile che il Presidente Macri cerchi l’appoggio dei peronisti maggiormente moderati per rafforzare l’attuazione del suo programma di riforme?

Vi è nel Paese la percezione di una sorta di sfaldamento del fronte kirchnerista. Di fronte a tale situazione, spero si assista ad un sano dialogo istituzionale fra gli schieramenti avversari. La collaborazione fra Governi locali e nazionali di opposti segni politici è sicuramente un segno di miglioramento e di buon funzionamento delle istituzioni argentine.

Quanto questa elezione influirà sugli Stati dell’America Latina, quali Cile Brasile e Messico, che sono chiamati alle urne l’anno prossimo?

Non penso che il voto di mid-term in Argentina sia in grado di esercitare un’influenza determinate sul resto dell’America Latina. Paesi come il Cile, il Brasile o il Messico sono caratterizzati da situazioni politiche molto diverse l’una dall’altra. Si pensi alla relazione con gli Stati Uniti di Donald Trump per quanto riguarda il caso messicano o ai recenti scandali di corruzione per quanto riguarda il Brasile. Vi sono condizionamenti interni ed esterni sicuramente in grado di esercitare un’influenza maggiore di quella derivante dalle elezioni argentine. Quello che sicuramente si può osservare è il radicamento sempre maggiore di una sorta di democrazia dell’alternanza: le opposizioni cominciano ad andare al Governo senza essere delegittimate troppo spesso era successo in passato.

Si può dire che questo voto si colloca in una generale tendenza al superamento del populismo in America Latina?

Il populismo è in un periodo di flessione in America Latina, a differenza di altre aree geografiche in cui sembra rafforzarsi. Dopo quindici anni in cui sembrava essere tornato nuovamente ai clamori delle cronache, oggi la tendenza in Latinoamerica sembra essersi invertita. Non credo tuttavia che si sia di fronte a un totale superamento del populismo, se si guarda con una prospettiva storica si può osservare quanto il populismo periodicamente sia capace di risorgere in momenti di particolare debolezza dei sistemi politici. Si pensi agli anni Ottanta in cui sembrava che la stessa parola populismo fosse diventata un vocabolo ormai bandito dai dizionari politici e accademici: nessuno allora avrebbe potuto immaginare un ritorno di fenomeni populisti che si sarebbero manifestati negli anni Novanta quale quello di Carlos Menem in Argentina, di Alberto Fujimori in Perù o addirittura il trionfo dei movimenti chavisti-kirchneristi nei primi anni Duemila. La realtà politica è spesso imprevedibile e sorprendente.