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Le manovre dell’Iran in Siria e la ‘catastrofe’ vicina dell’Europa

19 Settembre 2017

Il report del Besa Center getta inquietanti dubbi: scenario possibile? Il parere del prof. Francesco Strazzari

‘Il declino della guerra in Siria comporterà una catastrofe per l’Europa’, è questo il titolo di un report pubblicato dal Think Tank israeliano Besa Center. L’analisi è stata riportata lo scorso 11 settembre e l’autore, Mordechai Kedar, sostiene delle ipotesi decisamente interessanti. In primo luogo, Kedar sostiene che l’Iran avrebbe sfruttato il conflitto in Siria per trasformare gli equilibri demografici nel Paese. A tal proposito è doveroso ricordare che la Siria, nonostante fosse un Paese a maggioranza sunnita, è stato governato dalla dinastia degli Al-Assad, la cui religione è di fede alawita, ovvero una setta sciita.

Secondo l’autore, durante il conflitto, l’Iran avrebbe garantito l’ingresso nel Paese siriano a cittadini di fede sciita provenienti dall’Iraq, Libano e Afghanistan, in modo da alterare le percentuali demografiche e  rendere la Siria un Paese a maggioranza sciita. Così facendo, secondo quanto riportato da Besa Center, l’Iran starebbe perseguendo un piano geopolitico cui obiettivo sarebbe quello di costruire una dorsale di Paesi a maggioranza sciita che dall’Iran arriverebbe al Mediterraneo, accerchiando l’Arabia Saudita, la Giordania e, infine, Israele, lo storico nemico iraniano.

Stando a quanto sostiene l’analista Kedar, una volta raggiunta la maggioranza sciita in Siria, i rifugiati presenti nei Paesi vicini, come il Libano o la Turchia, non ritornerebbero nel loro Paese d’origine, in quanto dominato e controllato da ‘gruppi’ religiosi ostili, ovvero sciiti. Di conseguenza, si creerebbe un enorme flusso di rifugiati che, non potendo tornare in Siria, cercherebbero di raggiungere l’Europa, provocando una vera e propria ‘catastrofe’.

A questo punto, è interessante capire se la tesi sostenuta da Mordechai Kedar è dettata dall’allarme israeliano, o se si tratta di un’ipotesi sostenibile. Lo abbiamo chiesto a Francesco Strazzari, professore associato alla Scuola Superiore sant’Anna di Pisa e Senior Researcher al ‘Consortium for Research on Terrorism and International Crime’ del Nupi (Norwegian Institute of International Affairs) di Oslo.


Qual è il ruolo dell’Iran in Siria?

Secondo le ultime indiscrezioni – di provenienza per altro dalla stampa israeliana -, l’Iran sarebbe prossimo ad annunciare lo stabilirsi di alcune sue basi in Siria. Questo suggellerebbe una lunga tendenza di interventi a sostegno del regime di Bashar Al-Assad, che ha visto il dispiegarsi di corpi di élite guidati dai BAZARAN iraniani. Il loro ruolo non era solo di sprone, ma anche di prima linea, basta pensare alla battaglia di Aleppo e a tutte le fasi in cui le forze armate dell’esercito arabo-siriano erano fondamentalmente allo sbando -avendo perso ormai molti uomini sul campo. Suddetto sostegno iraniano avrebbe iniettato, dunque, vigore e anche disciplina in un esercito che stava evidentemente sbandando. Questo ruolo si è visto soprattutto nella battaglia di Aleppo e ovviamente nella saldatura, dall’altro lato, con il proxi iraniano – quale Hezbollah – che dal Libano rappresenta la forte componente sciita di lingua farsi. La componente arabo-sciita libanese ha inviato gran parte dei suoi combattenti sul fronte siriano, saldandosi con le milizie dell’élite militare iraniana. A complemento di questo sodalizio sono arrivate anche le milizie sciite di provenienza irachena, soprattutto dal sud dell’Iraq – dove gli sciiti sono la maggioranza. Tutto questo insieme di forze ha combattuto sul versante di Al-Assad. Nel momento in cui questa coalizione vede Assad riconquistare territori, dalla battaglia di Aleppo in poi, lo scenario che si presenta è decisamente il peggiore per Israele. Pertanto, non ci si deve sorprendere se siano proprio delle fonti israeliane a lanciare il grido d’allarme nel momento in cui la partita siriana volge al termine, in quanto si riscontra una situazione sfavorevole e soprattutto diversa rispetto all’opzione che Israele avrebbe favorito.

Besa Center sostiene che l’Iran a partire da due o tre anni sta inviando dei cittadini sciiti, dall’Iran, Libano, Iraq e Afganistan, in Siria per poter modificare gli equilibri demografici del Paese, rendendolo a maggioranza sciita, anziché sunnita ( come Di fatto era nel 2011). Può essere una tesi plausibile?

In verità, in questo momento sappiamo molto poco sugli equilibri demografici siriani, in quanto non si ha accesso a quanto avviene in loco. E’, sicuramente, considerevole l’afflusso di milizie da tutti i lati. Si tratta di combattenti volontari e non, i quali vengono indotti dai Paesi vicini. Infatti, non è da oggi che quella siriana è una guerra PROXI, e quindi tra formazioni vicarie sostenute da potenze regionali e globali. Pensiamo, ad esempio, al coinvolgimento saudita o degli altri Paesi del Golfo. In conclusione, l’enorme afflusso di combattenti – ribattezzati Foreign Fighters – proviene evidentemente anche dal mondo vicino ed amico dell’Iran. E’ plausibile che arrivino anche afghani. Vi è, infatti, una minoranza di lingua farsi in Afghanistan, ma anche una componente migratoria all’interno dell’Iran, ma la gran parte degli afflussi di combattenti in Siria, per quanto ne sappiamo, proviene dal mondo sunnita, e quindi non si tratta di combattenti diretti da Teheran.

Secondo il report, cambiando gli equilibri demografici in Siria, e quindi rendendolo un Paese a maggioranza sciita, l’Iran starebbe portando a termine un piano per accerchiare  Paesi come l’Arabia Saudita e la Giordania, per poi arrivare alle coste del Mediterraneo e, infine, al suo acerrimo nemico quale Israele.  In questo caso si tratta di una tesi dettata principalmente dalla fobia israeliana?

L’idea di una dorsale sciita che accerchia e spezza le continuità geopolitiche territoriali del mondo sunnita, è una tesi sostenuta da tempo. Gli sciiti sono in crescita demografica e la questione sciita è una delle principali problematiche che agita il Medio Oriente. Le monarchie sunniti hanno sempre guardato il mondo sciita ‘dall’alto verso il basso’. Negli ultimi anni ha, però, ritrovato un protagonismo dovuto al  fatto che politicamente il mondo sunnita avrebbe partorito le versioni jihadiste salafite, dai taleban fino allo Stato Islamico, entrando così in guerra con l’Occidente. In questo modo, gli Stati Uniti hanno eliminato notoriamente i due grandi nemici del mondo iraniano, ovvero i taleban ( a partire dall’intervento del 2002 dopo l’11 settembre) e Saddam Hussein( nel 2003). Questi due eventi hanno liberato un potenziale politico che l’Iran ha capitalizzato prima sotto la presidenza di Mahmoud Ahmadinejad e poi, a seguire, con delle élite più riformiste – ma sempre sotto il cappello della teocrazia degli Ayatollah. Possiamo, dunque, asserire che esiste una questione politica, la quale ha una componente demografica – e questo è innegabile. Mi sembra, però, che il timore espresso dal report cui si fa riferimento – che purtroppo non ho letto e di cui non conosco l’autore – dipenda principalmente da quanto avviene sul territorio.

In realtà bisogna considerare come questione centrale l’alterazione degli equilibri territoriali nella dimensione micro. Faccio un esempio. Nella città di Aleppo – che è sempre stata a maggioranza sunnita-, la grande borghesia sunnita  ha tardato nel prendere posizione. Ha sempre appoggiato, in qualche modo, la dinastia degli Assad – padre, e figlio poi -, ma  quando la rivoluzione – intorno al 2012/ 2013- è diventata militare, si è trovata nella condizione di dover prendere una posizione, ed è stata in gran parte spazzata via. In particolare con gli eventi bellici di oggi, è molto probabile che alla città di Aleppo spetti un destino in cui la componente sciita -minoranza alawita o curda -, avrà un ruolo importante. Da questo punto di vista si può parlare di un cambiamento di chi esprime la forza sul territorio,  ma leggere tutto questo come la creazione di una dorsale che porta l’Iran a dominare nel Mediterraneo mi sembra un timore lanciato per richiamare l’allarme, anziché una minaccia fondata e realistica. Le dinamiche sul territorio sono molto spesso frastagliate e non vedo un disegno iraniano a lungo termine, come invece sostiene il report.Il report sostiene, inoltre, che la fine del conflitto siriano comporterebbe una catastrofe per l’Europa in termini id rifugiati. Lei la crede una tesi possibile?

Si tratta di uno scenario di lettura da scontro fra civiltà che, dal punto di vista sia scientifico che metodologica, presenta grandissimi problemi. Uno tra tutti è l’Iran. Il Paese è la quinta essenza della teocrazia sciita e ha ottimi rapporti con l’Armenia (il primo Paese di conversione cristiana ancor prima dell’Editto di Costantino). Vi è, quindi, una lettura concentrata sulle presenza di gruppi che è dettata da bandiere identitarie di civiltà che si scontrano a priori, ma, a mio parere è tutto da dimostrare. Non mi sembra, inoltre, che i rifugiati accolti dalla Germania abbiano intenzione di ritornare a casa domani. Un discorso diverso, invece, si potrebbe fare per i rifugiati rimasti nei campi intorno alla Siria, ovvero in Giordania, in Turchia etc.. A tal proposito, dobbiamo ricordare che all’interno della Siria,  Israele, durante tutta la guerra, ha cercato di creare una linea di attacco semplicemente su Hezbollah – nemico storico –  tramite  attacchi mirati ai convogli e al trasporto di armi. Tel Aviv, infatti, ha creato di fatto una fascia di sicurezza sul suo confine con la Siria, la quale è pattugliata da forze sunnite rivoluzionarie di marca Islamico-jihadista. Israele ha fornito a queste forze sunniti assistenza medica, cercando di creare un cuscinetto che lo tenesse lontano da Damasco e dalle sue forze, in particolare da quelle che avevano portato Hezbollah sul confine delle alture del Golan.

Quindi, Israele ha colpito dall’altra parte in maniera mirata facendo un uso anche sproporzionato della forza, facendo capire chiaramente che non avrebbe accettato un’avanzata delle truppe, in particolare della componente iraniana e di Hezbollah su quel confine. È, quindi, è chiaro che nel momento in cui la guerra volge a termine, al confine tra Israele e la Siria la pressione sia aumentata, in quanto le forze sunnite islamiste stanno perdendo un po’ ovunque all’interno della Siria. Oltre ciò, Israele si trova raccordato con l’Arabia Saudita – uno Stato che neanche  lo riconosce. Guarda caso, è giunta notizia di una una visita del principe ereditario SALMAN dell’Arabia Saudita in Israele. Dobbiamo, a riguardo, ricordare che l’Arabia Saudita condanna storicamente Israele e rifiuta l’ingresso a Israele. Ci sono, quindi, una serie di contatti semi-segreti che, paradossalmente, in questo momento allineano Israele con il mondo del conservatorismo wahabita di marca saudita e spiazzano e confondono un po’ le carte con cui siamo abituati a leggere il Medio Oriente. L’evoluzione della guerra in Siria ha creato un’asse Iran-Hezbollah, insieme al ruolo della Russia – ha dato man forte aerea – che ha inevitabilmente  indotto Israele in uno stato di allerta. Per cui le grida che arrivano in questi giorni, anche con questi report, vanno secondo me inquadrate un po’ in quest’idea di un terreno che potrebbe risultare cedevole rispetto alla scommessa che è stata fatta e che ha portato Israele addirittura a tollerare la presenza di formazioni jihadista sul suo confine per arginare quello che gli pare il nemico geopolitico storico. L’ ultima questione che leggo in sotto traccia è il ruolo dell’Iran nei confronti della Comunità Internazionale.

Qual è, secondo lei, il nocciolo importante per i futuri risvolti politici in Siria?

E’ difficile dirlo. Credo sia importante capire cosa faranno gli americani dopo la conquista dell’Iraq, quanto tempo rimarranno in Siria e che appoggio daranno ai curdi siriani.

Secondo lei, le faide tra i gruppi religiosi, che in qualche modo sovrastano un’eventuale identità nazionale nel Paese, potrebbero rappresentare il principale ostacolo per la costruzione di un Paese stabile?

Si, sicuramente è uno dei grandi ostacoli. Il punto sostanziale risiede nella presenza di una forza preponderante che è in grado di fermarle. Il punto cruciale è comprendere quale ruolo ricopriranno le grandi potenze nella Siria di domani, quale sarà il loro grado di vicinanza alla ricostituzione di un principio di sovranità nelle mani di qualcuno a Damasco. E’ chiaro che se tutto viene lasciato al decentramento e a ipotesi locali, ci sarà da aspettarsi una nuova pulizia etnica e faide che si consumeranno nel dopo guerra, come in ogni conflitto armato. Vorrei, per altro, sottolineare che il conflitto siriano non è per nulla vicino a una soluzione, ma rimangono forti elementi di guerra. A tal proposito, vorrei ricordare che Israele ha preso una posizione contraria al piano di de-escalation nelle zone di de-conflicting elaborato dalle grandi potenze. Quella siriana è una situazione veramente complessa, in cui numerose linee di faglia possono trasformarsi in linee di faida, se non si ricostruisce un principio di sovranità o per lo meno di egemonia di un terzo attore. E purtroppo questo è decisamente lontano dall’avvenire, in quanto la guerra è tutt’altro che finita. Cosa costituisca un principio di nazionalità in Siria oggi è una questione enorme.