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Italia: l’UE vuole vederci chiaro sugli accordi italiani con la Libia

12 Ottobre 2017

L’ intervista a Natalino Ronzitti, professore di Diritto internazionale presso l’università Luiss, consigliere scientifico dello IAI e membro dell’Institut de droit international.

Il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, ha scritto una lettera al Ministro degli Interni dell’Italia, Marco Minniti, nella quale chiede all’Italia “informazioni riguardo alle operazioni marittime italiane nelle acque territoriali della Libia tese a gestire il flusso dei migranti”. Il Consiglio d’Europa, cioè, richiama il nostro Paese riguardo gli accordi con i libici per la gestione delle partenze dei migranti verso le nostre coste.

Esprimendo “apprezzamento per gli sforzi dell’Italia per salvare vite e ricevere migranti”, sottolinea che “anche quando uno stato ha difficoltà ad affrontare il flusso dei migranti, ha ancora il dovere di proteggere e tutelare i loro diritti umani”. E il Commissario chiosa: “La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo è chiara di questo dovere e credo che sia importante per le operazioni dell’Italia nelle acque territoriali libiche”.
“Alla luce dei recenti rapporti sulla situazione dei diritti umani in Libia, consegnare gli individui alle autorità libiche ed altri gruppi in Libia li esporrebbe al reale rischio di torture o di trattamenti inumani e degradanti o punizioni”, si legge in una lettera data 28 settembre e inviata al Ministro dell’Interno, Marco Minniti.

“Per questa ragione” prosegue la lettera, “chiedo al Governo italiano di chiarire il tipo di operazioni di sostegno che si aspettano di fornire alle autorità libiche nelle acque territoriali libiche e quali tutele l’Italia abbia adottato per garantire che le persone intercettate o messe in salvo dalle navi italiane nelle acque territoriali libiche non rischino una situazione contraria all’articolo 3 della Convenzione Europea sui diritti umani“.
Nella lettera il commissario per i diritti umani affronta anche la questione delle Ong, richiedendo “informazioni riguardo alle misure per garantire che le operazioni di ricerca e recupero nel Mediterraneo, comprese quelle condotte da attori non governativi, possano continuare ad essere condotte in modo effettivo e sicuro“.

Ecco, partiamo intanto dal definire chiaramente l’oggetto della discussione. Qui in discussione c’è la politica italiana in Libia, quella che porta la firma del Ministro degli Interni Marco Minniti, l’ideologo della nuova politica del Governo Gentiloni in Libia.

La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo richiamata dal Commissario Muiznieks, è nello specifico l’articolo 3. Questo articolo recita: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti». Il Commissario, insomma, chiarisce che la preoccupazione è per il rischio tortura, o, in subordine, si temono trattamenti ‘inumani’.

Dunque, veniamo alle domande poste dal Commissario:  quale tipo di operazioni si stanno conducendo nelle acque territoriali libiche? Quali tutele l’Italia ha adottato per garantire che le persone intercettate o messe in salvo dalle navi italiane nelle acque territoriali libiche non rischino una situazione contraria all’articolo 3 della Convenzione Europea sui diritti umani? Quali le  misure adottate per garantire che le operazioni di ricerca e recupero nel Mediterraneo, comprese quelle condotte da attori non governativi (Ong), possano continuare ad essere condotte in modo effettivo e sicuro?


La lettera con i tre interrogativi è datata, e inviata, 28 settembre, ma solo ieri l’ufficio del Commissario l’ha resa nota. Poco dopo la sua diffusione due interventi di risposta dal Governo. «L’Italia non sottovaluta affatto il tema del rispetto dei diritti umani in Libia ed, anzi, lo considera cruciale», ha affermato Minniti,  e, «mai navi italiane o che collaborano con la Guardia Costiera italiana hanno riportato in Libia migranti tratti in salvo», scrive il Ministro nella lettera di risposta inviata al Commissario Muiznieks.

Nella sua missiva, il responsabile del Viminale ricorda che le attività delle autorità italiane sono finalizzate «a null’altro se non alla formazione, all’equipaggiamento e al supporto logistico della Guardia costiera libica in stretta collaborazione con gli organismi dell’Unione europa» e che proprio quello dei diritti umani in Libia per i migranti bloccati nel Paese nord africano viene considerato un tema «cruciale al punto da farne una componente essenziale della complessiva strategia sviluppata dal Governo».

«L’obiettivo dell’azione italiana», spiega ancora Minniti nella sua lettera, «è infatti duplice: prevenire traversate che pongano a rischio le vite (fermo restando l’impegno nelle operazioni di Search and rescue, quando tale rischio si verifichi) e garantire il rispetto degli standard internazionali di accoglienza in Libia, anche e soprattutto mediante il rafforzamento della presenza e delle attività di Unhcr e Oim».

Noi le tre domande del Commissario Nils Muiznieks le abbiamo poste Natalino Ronzitti professore di Diritto internazionale presso l’università Luiss, consigliere scientifico dello IAI e membro dell’Institut de droit international.

Che tipo di operazioni di sostegno l’Italia sta dando alla guardia costiera libica?

Il sostegno che viene dato alla Guardia costiera libica consiste in primo luogo nel suo addestramento, credo inoltre nella cessione di alcune motovedette. Questo venne già accordato nel 2008 e, di per sé, questa non rappresenta una violazione del Diritto Internazionale.

Quali garanzie sta dando il Governo italiano in termini di tutela dei Diritti Umanitari? Il suo operato rientra in quanto prevede il Diritto Internazionale?

L’Italia pretenda dalla Libia il rispetto dei Diritti Umani ovviamente secondo un’ottica di carattere generale. L’Unione Europea, nei confronti della Libia, ha portato avanti un’iniziative affinché il Paese ratifichi la Convenzione ONU sui rifugiati, in quanto non ne faceva parte. Si può, quindi, asserire che in questo contesto si è realizzata un’azione che tutt’oggi è portata avanti.

La lettera inviata lo scorso 28 settembre dal commissario dei Diritti Umani del Consiglio d’Europa richiede informazioni sull’operato del Governo italiano riguardo la Libia. Credo che sia stato esposto chiaramente che l’Italia non sta ritrasferendola in Libia i migranti salvati. A tal proposito c’è stata una sentenza da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, richiamata in questa veste dal Commissario dei diritti umani, ovvero la sentenza Hirsi del 23 febbraio 2012, secondo la quale la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la violazione dell’art.3, art.4 Protocollo n.4 e art.13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La sentenza fa riferimento all’episodio verificatosi il 6 maggio del 2009, quando circa 200 persone su barche dirette sulle coste italiane furono intercettate da motovedette italiane nelle acque internazionali (precisamente nella zona SAR – Search and Rescue – ) di responsabilità maltese. Gli individui intercettati vennero trasferiti a bordo delle navi italiani e riportati successivamente nel Paese di partenza, ovvero la Libia, in conformità agli accordi bilaterali Italia-Libia. In questa circostanza si parlò addirittura di espulsione collettiva e ci tengo a a ripetere la mia critica riguardo suddetta sentenza Hersi, dal momento che, secondo me, non è possibile parlare di espulsione collettiva.

L’Unione Europea, dal suo canto, cosa propone invece e cosa sta realmente facendo in merito alla questione migranti?

L’UE propone la stabilizzazione della Libia, in particolar modo per quanto riguarda i rifugiati. L’UE propone un aiuto alla Libia allo scopo di poter consentire alle organizzazioni umanitarie ufficiali di poter operare in Libia. E possiamo dire che quanto proposto risulta essere meritorio e positivo.

Secondo me, è molto importante anche l’operazione che l’UE sta conducendo a largo della Libia contro il traffico illegale di migranti e contro anche il traffico di armi. Si tratta di operazioni molto importanti. Lo dimostra, ad esempio, il fatto che ora c’è la possibilità di fermare una nave senza il consenso dello Stato della bandiera. Una volta richiesto il suo consenso, se lo Stato non lo concede passato un certo periodo – credo entro quattro ore -,  la nave può essere ugualmente fermata. Questa, secondo me, è un’operazione del tutto positiva nel contesto analizzato.

Cosa sta facendo concretamente l’Italia con il suo Ministro dell’Interno, Marco Minniti, in Libia per salvaguardare i dritti umani e, allo stesso tempo, impedire il traffico di migranti?

Stanno addestrando la guardia costiera libica. Vi è, inoltre, l’invito alle HCR affinché si insedio in Libia e gestiscano direttamente i campi di rifugiati, in quanto sappiamo – ovviamente – che le condizioni in Libia non siano esemplari dal punto di vista dei diritti umani. Allo stesso tempo, l’Italia sta aiutando il Paese nel controllo delle frontiere a sud – provvedimento stabilito già con l’accordo del 2008 -, in quanto i migranti provengono dal Niger, o da altri Paesi a sud del Sahara.

Quindi, secondo lei, questa politica sta gestendo il traffico di migranti e allo stesso tempo salvaguardando i diritti umanitari?

Dovrebbe salvaguardare anche i diritti umani. A mio parere vi è un’importante questione che, ad oggi, si fatica a capire. La Convenzione dei rifugiati del 1951 si riferiva alle singole singole che fuggivano dalla guerra o da Stati in cui erano sottoposti a determinati trattamenti. A mio avviso, oggi, tutto questo discorso va ripensato anche nel quadro delle Nazioni Unite. In tema migrazioni illegali tutti concentrano la loro attenzione sull’Europa, dimenticando invece che si tratta di un fenomeno mondiale.Lo scorso anno  in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – proprio all’inizio –  fu adottata una dichiarazione sull’immigrazione sulle masse di migranti e di rifugiati. Tutt’ora le Nazioni Unite stanno portando avanti questo discorso, naturalmente con la collaborazione dei singoli Stati, con lo scopo di adottare un trattato internazionale, una sorta di patto sui diritti dei migranti, quindi una Convenzione internazionale giuridicamente vincolante.  Stiamo parlando, infatti, di un fenomeno – migrazioni – dalle dimensioni davvero importanti. A tal proposito sono onorato di essere membro dell’Institut de droit international – Istituto di diritto internazionale. Durante la nostra ultima sessione tenutasi i primi di settembre di questo anno in India, è stata proprio adottata una risoluzione in materia, il cui oggetto non consistenza tanto nei rifugiati, quanto nelle migrazioni di massa. Una di queste disposizioni (non sono atti giuridicamente vincolanti, in quanto tratta di un’associazione di studiosi) ha per oggetto il fatto che non dovrebbe essere impedito il transito di migranti all’interno di un territorio, salvo però motivi di ordine pubblico e così via. Il discorso dei migranti, oggi, deve essere disciplinato e i vecchi strumenti non bastano più. Bisogna pensarne di nuovi per far capo alla situazione attuale, ovvero un contesto completamente diverso da quello degli anni 50.

Partendo dall’art. 3 della Convenzione Europea sui diritti umani, se l’Italia stesse davvero rispedendo i migranti salvati nelle acque libiche sulle coste, in che modo verrebbe giudicato tale operato italiano secondo un’ottica del diritto internazionale?

Qualora fosse vero, sarebbe in questo caso possibile fare un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come accaduto nel caso Hirsi, invocando il precedente di questa sentenza, che io però ho criticato. Il discorso potrebbe venire in considerazione per quanto riguarda l’art. 3. In questo caso, allora, è necessario che le organizzazioni umanitarie gestiscano e sorveglino i campi in Libia allo scopo di accertarsi che questi individui siano trattati secondo le norme dei diritti dell’uomo. Non si può imporre alla Libia di rispettare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché non è parte, ma le si può imporre di rispettare gli standard dei diritti umani.

Le operazioni di salvataggio, aiuto umanitario e recupero portate avanti dalle Organizzazioni non Governative vengono in qualche modo ostacolate dalle operazioni italiane in acque libiche?

Ritengo di no. La grande polemica emersa – e non so se è vero o no –  è che queste ONG, o almeno alcune di esse,  fungevano un pò da ‘taxi’ per quanto riguarda queste le immigrazioni illegali. Non si deve, infatti, dimenticare che si tratta di traffici di persone illegali gestiti da organizzazioni criminali. Detto ciò, il Governo italiano, tramite il suo operato, non ha proibito alle ONG di operare, ha messo dei paletti per quanto riguarda il loro comportamento. Capisco benissimo che si tratta di una questione delicatissima, perché sappiamo di alcuni Governi che vedono di mal occhio le ONG, ma non è il caso italiano. Il comportamento dell’Italia non è stato per niente incensurato nell’ambito dell’Unione Europea.

L’attuale capo della Guardia Costiera Libica  è Abdurrahman Milad. Secondo numerose fonti, quest’ultimo sarebbe il capo indiscusso del traffico dei migranti e avrebbe ricevuto mazzette dai trafficanti illegali per garantire quello che nel Paese libico è un vero e proprio business, ovvero il traffico di migranti. Fornire supporto a un’Autorità che fa capo a questo personaggio in che modo verrebbe giudicata dal Diritto Internazionale?

Il metro di giudizio su questa analisi non rientra nel Diritto Internazionale. Spetta, infatti, alle Autorità libiche la cautela e il controllo dei sottoposti e organi di polizia o della marina, affinché si comportino conformemente a quelli che sono i dettami dell’ordinamento interno libico, il quale dovrebbe essere poi conforme ai parlamentari del Diritto Internazionale.

Alcuni mesi fa è emersa la notizia che l’Italia avrebbe pagato le milizie locali libiche per fermare il traffico dei migranti, costringendo quindi quest’ultimi a rimanere nel Paese in condizioni forse disastrose. Come giudicherebbe questo comportamento italiano secondo l’ottica del Diritto internazionale?

Si tratta di tesi fittizie. E’ ovvio che il nostro Governo non fa accordi con organizzazioni criminali, ma ha fatto accordi alla luce del sole con il Governo di Al-Sarraj e con alcuni sindaci locali. Il comportamento non sarebbe conforme al diritto internazionale, ma lo escluso nella maniera più assoluta.