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Corno d’Africa, un piatto ricco per sfamare tutti

2 Ottobre 2017

In uno dei luoghi più poveri al mondo, l’interesse economico e militare delle varie potenze cresce ogni giorno di più

Questo sabato, la Turchia ha ufficialmente inaugurato la sua nuova base militare in Somalia, nella capitale Mogadiscio. Si tratta della più grande base turca al di fuori dei confini nazionali, costata 50 milioni di dollari e in grado di ospitare diecimila truppe. Una decisione che, tuttavia, non stupisce, considerando lo sforzo che già la Turchia adopera nella cooperazione con la Somalia, costruendo strade, scuole e ospedali, e il sempre vivo interesse delle potenze straniere in questo territorio.

Già, perché la Somalia, e più in generale il Corno d’Africa, è un’area in cui, da tempo, sono già attivi diversi Paesi stranieri, che qui hanno stabilito diverse basi militari. A cominciare dagli Stati Uniti. Camp Lemonnier, nel territorio di Djibouti, è una delle più grandi e note basi americane che operano sul territorio. Un punto di controllo per l’anti terrorismo e sulla penisola arabica. Nonostante la politica di segretezza degli Usa sulle loro basi dislocate in Africa, documenti militari dall’AFRICOM – comando militare Usa per l’Africa – hanno rivelato una presenza ben più numerosa nell’intera regione.

Il territorio di Djibouti – staterello confinante con Eritrea, Etiopia, Somalia, e a due passi dallo Yemen – è luogo d’accoglienza per militari da ogni parte del mondo. Il generale Thomas Waldhauser, a capo dell’AFRICOM, aveva espresso la sua preoccupazione per la presenza di diretti ‘competitor’ degli Usa a pochi passi da Camp Lemonnier. Parlava di russi e cinesi, con quest’ultimi che hanno recentemente costruito una loro base proprio a poca distanza da quella americana. L’ultima potenza, in ordine cronologico, a costruire basi sul territorio, dopo la ormai nota presenza di basi tedesche, francesi, italiane, spagnole e giapponesi. Spostandosi di poco, a Mogadiscio si trova anche una base degli Emirati Arabi Uniti.

Gli interessi che spingono le principali potenze straniere in quest’area del mondo sono diversi. Innanzitutto, il Corno d’Africa si trova in una posizione geografica molto promettente. Djibouti, Somalia ed Eritrea rappresentano il canale di collegamento del mercato mediorientale, e, più a lungo raggio, asiatico, verso i mercati europei e americani. Il controllo dei canali del Mar Rosso, del Golfo di Aden e dell’Oceano Indiano sono cruciali, dal momento che, attraverso questi, passano gran parte dei prodotti via mare da un mercato all’altro, comprese le riforniture di greggio dai giacimenti del Medioriente. In questa parte del mondo, passa il 20 per cento dell’export mondiale ed il 10 per cento di quello degli idrocarburi. Assicurarsi una presenza in queste zone permette di poter controllare uno dei nodi di scambio più importanti al mondo.

In tutto questo, si innesta anche un discorso relativo agli equilibri internazionali e al controllo del terrorismo. Per quel che riguarda uno dei primi, e ad oggi, più importanti attori della regione, gli Stati Uniti, il controllo commerciale del traffico per il Mar Rosso si è affiancato alla volontà di tutela dei propri interessi in Medioriente. Un’area in cui gli Stati Uniti devono mantenere una forte influenza, garantire un sostegno a Israele e inserirsi nei fragili equilibri dei Paesi del Golfo.

Infatti, la situazione al confine fra Corno d’Africa e Medioriente è numericamente vantaggiosa in favore dei Paesi Arabi. In una zona del mondo in cui è forte, ancora oggi, la volontà di creare una ‘regione araba’ ad esclusivo svantaggio di Israele e dei suoi alleati, gli Stati Uniti devono assicurare che questo non accada, in modo da mantenere il controllo anche sulle fonti energetiche. Inoltre, la Casa Bianca può contare qui su un avamposto vantaggioso in chiave anti-terrorismo. Dalla propria base di Djibouti, le forze dell’AFRICOM portano avanti il loro impegno in territori come la Somalia, lo Yemen e il Sudan, dove sono attivi i gruppi che fanno capo ad al-Shabab.

Un altro attore storico, la cui presenza militare nel territorio del Djibouti è aumentata costantemente, è la Francia. Oggi sono 1900 le truppe francesi schierate a Djibouti, il più numeroso dispiego di forze dopo quello statunitense. Il loro ruolo rimane quello di assicurare la tutela dei propri interessi commerciali, in quanto antico Paese colonizzatore, così come mantenere una linea preferenziale con la popolazione francese stabilitasi oltreoceano, intorno agli 1.4 milioni di persone.Tuttavia, negli ultimi tempi la Francia sta vedendo erodere i propri interessi a causa della presenza di un nuovo attore, la Cina. Pechino ha di recente costruito la sua prima base militare fuori dai propri confini proprio a Djibouti, siglando l’accordo nel gennaio 2016 con il Governo locale. Un fatto singolare, considerando la politica cinese di espandere sì la propria influenza commerciale, senza tuttavia intervenire militarmente. In questo caso, la Cina ha invece voluto assicurarsi la presenza del proprio esercito, anche per agire direttamente contro la pirateria somala, che minaccia il miliardo di dollari giornalieri relativi al commercio fra Cina ed Europa.

Da qui si capisce anche quali possano essere gli interessi degli altri Stati europei che contano una loro presenza militare sul territorio, come Germania, Italia e Spagna, tutti volenterosi di dare il proprio sostegno nella lotta alla pirateria, oggi in gran parte debellata, e tutelare i propri traffici commerciali dal medio e lontano oriente.

Come ricordato sopra, il generale americano a capo dell’AFRICOM si diceva preoccupato dalla nuova presenza russa nei territori dell’Africa orientale. La Russia è infatti il Paese che, per ultimo, sta cercando di inserirsi nel già complicato arcipelago di potere presente nella regione. Il rapporto della Russia con il Corno d’Africa era più intenso negli anni della Guerra Fredda, quando l’URSS poteva attingere alle abbondanti risorse a basso prezzo come il cotone, il bestiame e il grano.

Un rapporto degradato con la caduta del Muro, che ha lasciato la strada libera all’ingerenza americana nel territorio. Tuttavia, oggi la Russia sta tornando protagonista. In questo caso, gli interessi di Mosca non coincidono però con quelli delle altre potenze. La Russia, infatti, è uno dei maggiori produttori ed esportatori di energia da combustibili fossili e di gas naturale, e, al momento, non è interessata alle stesse risorse provenienti dall’Africa. La nuova politica di Putin è invece quella di intensificare i propri rapporti e la propria influenza nel Corno in modo da creare un asse comune fra due continenti, congiuntamente responsabili del 60 per cento del mercato degli idrocarburi.

Non solo. Gran parte dell’interesse diretto di Putin in questa regione deriva anche dall’export di armi russo, che nel Corno d’Africa può contare su un mercato vasto e, considerando una situazione di conflitto decennale, sempre ricco di opportunità. A questi discorsi si aggiungono motivazioni prettamente geopolitiche, in cui la Russia di Putin vuole tornare a contare in una zona del mondo da cui si è progressivamente allontanata, e contendere zone d’influenza ai suoi più diretti competitor, come gli Stati Uniti.

Le aree del pianeta in cui si scontrano così tanti interessi sono spesso teatro di pesanti conflitti e situazioni instabili. Così è, in effetti, il caso della Somalia e del Corno d’Africa, una delle zone più povere al mondo. Tuttavia, in questo caso, la corsa delle super potenze verso questi mercati potrebbe determinare un futuro migliore. Il loro interesse comune rimane quello di rendere l’intera area più stabile.

Allo stato attuale, escludendo i piccoli Stati di Djibouti ed Eritrea, la situazione politica nella regione è frammentata fra numerosi poteri locali, interessati a conquistarsi potere contrattuale attraverso il controllo di determinate aree. E, soprattutto, l’area è ancora minacciata dalle cellule del terrore che operano qui. La tendenza a debellare queste forze entropiche e la volontà di investire i propri capitali da parte delle potenze straniere potrebbero essere strumenti per risollevare lo sviluppo nella regione.

Già oggi, gli interessi economici di Usa, Cina ed Europa vengono affiancati da programmi di aiuto umanitario alla popolazione. La forte presenza di risorse del Corno d’Africa, ricco di giacimenti potenziai di minerali e idrocarburi, ingolosisce le grandi potenze ad investire. Tuttavia, un territorio altamente instabile e difficilmente controllabile rende questa realtà ancora lontana.