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Catalogna indipendente: ora tocca a Madrid

10 Ottobre 2017

La Catalogna è a un punto di svolta: il Presidente della Generalitat de Catalunya, Carles Puigdemont, ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza. Nonostante fonti del Governo di Madrid avessero chiaramente detto che, nel caso di una dichiarazione di indipendenza, Puigdemont avrebbe rischiato l’arresto per ribellione allo Stato e nonostante negli ultimi giorni documenti riguradanti i piani degli indipendentisti per giungere alla secessione nei giorni seguenti il referendum avessero provocato un certo sdegno da parte degli unionisti, il Presidente Puigdemont non si è lasciato intimidire. Nonostante la forte divisione dello schieramento politiuco corrisponde una divisione dell’intera società catalana (a votare per l’indipendenza è stato il 42% circa della popolazione) e le manifestazioni contrapposte mostrano numeri molto simili tra loro, nonostante la minaccia della fuga di capitali ed il mancato riconoscimento da parte dell’Unione Europea, Puigdemont ha tirato diritto per la sua strada… fino a un certo punto.
Nel dichiarare l’indipendenza, dopo un’attesa estenuante dovuta a colloqui dell’ultimo momento con alcuni alleati, il Presidente catalano ha fatto riferimento a trattative e a compromessi possibili, a patto che da Madrid arrivi una disponibilità al dialogo. Alla fine, dunque, Puigdemont ha optato per la cosiddetta Indipendeza ‘Sospesa’: una dichiarazione formale, simbolica, a cui dovranno seguire delle trattative che lo vedranno, in teoria, agire da una posizione di forza. Ora sta a Madrid: il Governo spagnolo accetterà di trattare con Barcellona, dopo aver ribadito più e più volte di non essere disposto a farlo?

Nel resto dell’Unione Europea, tiene ancora l’asse franco-tedesco. Oggi, il Presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron, si è recato a Francoforte sul Meno per presiedere, assieme al Cancelliere tedesco Angela Merkel, l’inaugurazione della Fiera del Libro che, in questa edizione, è dedicata alla lingua francese.
Per il Presidente francese, però, non tutto va esattamente bene: oggi, in Francia, si svolgerà uno sciopero dei dipendenti pubblici (indetto da tutte le principali sigle) che protestano contro la riforma voluta da Macron. La riforma prevede il congelamento dei salari e la fine della copertura completa in caso di malattia: si tratta solo dell’ultimo di una serie di scioperi provocati dalle riforme di questo Governo.

Sul fronte della cosiddetta Brexit, il Primo Ministro inglese, Theresa May, ha affermato che il Governo britannico deve essere pronto anche all’eventualità che non venga raggiunto alcun accordo con l’Unione Europea.
Il Presidente della Commissione Europea, Donald Tusk, in netto contrasto con quanto affermato dal Primo Ministro inglese, ha fatto sapere che l’UE non contempla l’ipotesi di un mancato accordo.
In ogni caso, oggi si è svolto a Bruxelles un incontro fuori programma tra i capi delle delegazioni incaricate delle trattative, David Davis per gli inglesi e Michel Barnier per gli europei: a quanto pare, però, le distanze sui diritti dei cittadini UE e sugli obblighi finanziari britannici sembrano ancora abissali.

Dopo molti anni, finalmente le Fuerzas Armadas Revolucionairas de Colombia (FARC: Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia) hanno depositato il nome del proprio partito. L’istituzionalizzazione del movimento, risultato dello storico accordo raggiunto con il Governo di Bogotá, era stato annunciato da tempo: ora nasce ufficialmente la Fuerza Revolucionaria Alternativa de el Pueblo (Forza Rivoluzionaria Alternativa del Popolo). Si tratta di un passaggio storico per il Paese.

In Brasile, dopo gli ultimi avvenimenti (arresto al confine con la Bolivia e rilascio), Cesare Battisti, ex-membro del gruppo eversivo Proletari Armati per il Comunismo e condannato il Italia a quattro ergastoli, ha rilasciato un’intervista ad un’emittente locale. Nel corso dell’intervista, Battisti ha affermato che, non essendo lui un rifugiato bensì un immigrato con permesso di soggiorno permanente, non gli è vietato allontanarsi dal Paese: un’eventuale estradizione, a suo dire, sarebbe dunque illegale. Battisti si è anche detto convinto che quanto accaduto fosse stato organizzato a suo danno.

Fonti del Governo di Teheran dichiarano che l’Iran non ha alcun interesse a veder naufragare l’accordo sul nucleare faticosamente raggiunto con gli Stati Uniti: per questo, il Governo invita gli USA a smettere di minare la tenuta dell’accordo. Se da un lato si tende la mano, però, dall’altra i toni sembrano alzarsi: fonti interne alle Forze Armate minacciano dure lezioni se da Washington non si faranno passi in dietro sulla nuova linea da tenere sul nucleare e sulla volontà di dichiarare terroristi i Pasdaran, ovvero i Guardiani della Rivoluzione Islamica.

Anche la Turchia, in questo periodo, sembra non avere ottimi rapporti con Washington. Dopo le proteste statunitensi per l’arresto di un cittadino turco dipendente dall’ambasciata USA ed accusato di spionaggio, i rapporti tra i due Paesi sono divenuti tesi e si è giunti alla reciproca sospensione dei visti per motivi turistici. Oggi, il Governo di Ankara ha dichiarato che la Turchia non ha bisogno del permesso degli USA per applicare le proprie leggi ed arrestare qualcuno.
Anche con l’Unione Europea i rapporti restano tesi: il Governo turco ha protestato per l’assegnazione del Premio dei Diritti Umani ‘Vaclav Havel’ a Murat Arslan, ex-Relatore della Corte Costituzionale Turca, accusato da Ankara di far parte dei fiancheggiatori del tentato Colpo di Stato che, fallendo, ha contribuito ad accentrare tutti i poteri nelle mani del Presidente Recep Tayyip Erdoğan.

In Egitto, a Il Cario, sono iniziati i colloqui che dovrebbero portare ad una riconciliazione tra al-Fath (l’Autorità Nazionale Palestinese: ANP) e il movimento Hamas che, da anni, controlla la Striscia di Gaza. I colloqui si svolgono a porte chiuse ma fonti di Fatah fanno sapere che, nel caso la mediazione dovesse andare a buon fine, l’ANP ha già piani e programmi per la Striscia di Gaza.

Il Presidente della Libia, Fayez al-Serraj, residente a Tripoli e riconosciuto dalla Comunità Internazionale, ha confermato il suo sostegno a qualsiasi soluzione che preveda delle nuove elezioni parlamentari e presidenziali. L’altro uomo forte del Paese, il Generale Khalifa Haftar, che controlla la zona di Bengasi, ha però fatto sapere agli inviato ONU di pretendere il controllo delle Forze Armate della nuova Libia come premessa a qualsiasi accordo.

Parte, in Giappone, la breve campagna elettorale per il voto del prossimo 22 ottobre. Il voto si annuncia come un referendun sull’attuale Primo Ministro Shinzo Abe che ha, dalla sua parte, un buon risultato in campo di occupazione (anche se la maggior parte dei nuovi impiegati ha contratti a tempo determinato) e la simpatia della popolazione che, spaventata dalla crisi nord-coreana, tende ad appoggiare la sua proposta di riforma costituzionale in chiave meno pacifista. Il principale avversario di Abe sarà Yuriko Koike, attualmente Governatore di Tokyo. La Koike ha dalla sua parte le simpatie di chi vede di buon occhio il suo programma di chiusura delle centrali nucleari: è ancora fresco il ricordo della tragedia di Fukushima. Proprio oggi, un Tribunale giapponese ha condannato l’azienda proprietaria di quella centrale ed il Governo a risarcire le vittime del disastro.

Al via le operazioni di voto in Liberia. Dopo dodici anni di Governo di Ellen Johnson Sirleaf, si aspetta di conoscere il nome del successore. Si tratta delle prime elezioni totalmente libere in settant’anni e, al momento, non ci sono chiari favoriti: il due principali candidati sono il Vice-Presidente dell’attuale Governo, Joseph Boakai, e l’ex-calciatore George Weah.

In Kenya si registra un attentato in cui sarebbero morte almeno due persone: uomini armati avrebbero attaccato un campus universitario di Mombasa.
La notizia del giorno, però, è il ritiro dalla corsa alle presidenziali del principale oppositore del Presidente Uhuru Kenyatta, Raila Odinga: la decisione di Odinga è stata motivata con il fatto che le riforme, effettuate dopo che la Corte Suprema aveva invalidato le ultime elezioni, no sarebbero sufficienti a garantire uno svolgimento ordinato e chiaro.