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Rohingya: Aung San Suu Kyi diserta l’ONU

13 Settembre 2017

Nel corso dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, si parlerà anche della crisi della minoranza Rohingya in Myanmar. I Rohingya sono una minoranza etnica, di religione islamica, che vive tra Myanmar, Bangladesh e India: il Governo di Naypyidaw non li riconosce come cittadini birmani e, di conseguenza, le loro condizioni di vita sono peggiorate tanto da spingere una fascia non indifferente della popolazione ad abbracciare, negli ultimi anni, le posizioni di agitatori fondamentalisti islamici. Come risposta a degli attacchi portati contro le Forze dell’Ordine, il Governo birmano ha messo in atto una fortissima azione repressiva contro i Rohingya che, al momento, sono intrappolati al confine con il Bangladesh.
Secondo fonti ONU, ciò che sta avvenendo in Myanmar può facilmente essere definito pulizia etnica. Dopo la decisione di inserire la questione nel dibattito dell’Assemblea Generale, il Consigliere di Stato birmano, il Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, ha fatto sapere che non si recherà all’ONU come previsto. San Suu Kyi, che in passato si era battuta contro la dittatura militare nel suo Paese, in questo caso ha appoggiato la posizione dei militari nella repressione dei Rohingya.
A sostegno della posizione del Myanmar si è schierata l’India che sta, a sua volta, procedendo all’espulsione della minoranza Rohingya presente sul suo territorio: secondo Nuova Delhi, i Rohingya sarebbero facilmente vittime della retorica islamista e costituirebbero il bacino di reclutamento ideale per i gruppi terroristici attivi nell’area. Di certo, la forte repressione a cui i Rohingya sono sottoposti non fa altro che spingere sempre più individui tra le braccia degli islamisti: in un suo comunicato, al-Qaeda ha invitato tutti i mussulmani a colpire chi sta opprimendo i propri fratelli Rohingya.

L’altro tema caldo affrontato dall’Assemblea Generale ONU è quello della Corea del Nord. Dopo che lo scorso 11 settembre il Consiglio di Sicurezza ha approvato all’unanimità nuove sanzioni contro Pyongyang, oggi è arrivata la risposta ufficiale nord-coreana: le sanzioni, secondo Pyongyang, sarebbero una scellerata provocazione frutto dell’influenza che gli Stati Uniti esercitano sull’ONU e mirerebbero a privare la Corea del Nord del suo diritto all’autodifesa; per questo, il Governo di Kim Jong-Un continuerà diritto per la sua strada fino alla vittoria finale.
Dalla Corea del Sud, in risposta agli ultimi esperimenti missilistici e nucleari del nord, arrivano delle prove di forza: prima di tutto un’esercitazione che ha dimostrato come le forze aeree di Seul siano in grado di colpire bersagli a 400 km di distanza; i secondo luogo, secondo il ‘New York Times‘, il Governo sud-coreano starebbe costituendo un’unità speciale dell’Esercito con il solo fine di eliminare fisicamente Kim Jong-Un.

Nel suo discorso annuale sullo Stato dell’Unione, il Presidente del Parlamento Europeo, Jean-Claude Junker, ha toccato i punti più sensibili dell’attuale politica UE: crisi dei migranti, cambiamenti climatici, sviluppo economico e politico dell’Unione, Brexit e Turchia.
Per quanto riguarda la crisi dei migranti, Junker, dopo aver espresso grande apprezzamento per il lavoro dell’Italia (che, con il suo impegno, «ha salvato l’onore dell’Europa»), il Presidente ha affermato che l’UE deve coniugare le necessità dell’accoglienza con un piano a più lungo respiro che porti a superare le condizioni che portano alla migrazione dall’Africa.
Dopo aver auspicato un’Europa che sia in prima fila nella lotta ai cambiamenti climatici, Junker è passato alle questioni economiche: l’UE è al quinto anno di crescita consecutiva ma questo non basta. C’è bisogno di un’Unione che sia anche politica e che permetta ai Paesi membri di agire in maniera più concertante: per questo, il Presidente, che ha annunciato di non ricandidarsi per un nuovo mandato, ha auspicato la nascita di un Servizio Segreto Europeo, oltre che di Ministri degli Esteri e delle Finanze dell’Unione e all’introduzione del voto a maggioranza per le questioni di politica estera.
Infine, le due questioni più spinose: sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, Junker ha espresso rammarico ma ha anche avvertito gli Euro-Deputati britannici, che si agitavano sugli spalti, che è solo questione di tempo prima che si rendano conto di quanto gli costerà l’errore compiuto; per quanto riguarda la Turchia, Junker ha tagliato corto dicendo che, allo stato attuale, con i passi indietro che Ankara compie nel rispetto dei diritti umani e civili, un’entrata del Paese nell’UE è semplicemente impensabile.
Apprezzamento è arrivato dall’Alto Rappresentante per la politica Estera dell’Unione, Federica Mogherini, e dal capo-gruppo dei Socialisti Europei, Gianni Pittella che, però, ha annunciato che il partito è pronto a votare contro la prevista riforma del Trattato di Dublino se questa non dovesse prevedere l’eliminazione della norma che costringe i Paese di prima accoglienza di un migrante a farsi carico di questo.
Toni opposti da Neigel Farage, capo degli anti-europeisti che hanno guidato la battaglia per la Brexit, che ha accusato Junker e le istituzioni europee di essere «peggio dei sovietici».

In Spagna, la Procura Generale ha indagato più di settecento Sindaci della Catalogna che hanno sostenuto il referendum per l’indipendenza. Il referendum, ritenuto illegale da Madrid, si dovrebbe tenere il prossimo ottobre. Contro di esso si sono espressi anche il Re ed il Primo Ministro, Mariano Rajoy, che ha invitato i catalani a non andare a votare.
In Francia, dopo gli scontri di piazza tra manifestanti e polizia, il Primo Ministro, Édouard Philippe, ha dichiarato che il Governo è fermamente intenzionato ad andare avanti con la riforma del lavoro. La riforma, fortemente contestata dalle principali sigle sindacali, prevede un forte aumento di flessibilità e la possibilità, per le aziende, di sviluppare contratti locali che non coincidano con il contratto nazionale: i numeri in Parlamento dovrebbero permettere al Governo di attuare la riforma ma il Presidente Emmanuel Macron, al minimo di gradimento dopo il suo trionfo alle ultime elezioni, dovrà fare attenzione a non perdere qiel consenso che ha salvato la Francia da una vittoria populista.
In Germania, in vista delle elezioni del prossimo 24 settembre, sono usciti dei nuovi sondaggi: in testa resta il Partito del Cancelliere in Carica, Angela Merkel, la Christlich Demokratische Union Deutschlands (CDU: Unione Cristiano Democratica di Germania) con il 37% delle preferenze; il Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD: Partito Socialdemocratico di Germania) dello sfidante Martin Schulz si attesta attorno al 23%. I due dati più importanti, però, sono questi: il partito xenofobo ed anti-europeista, Alternative für Deutschland (AfD) si attesta al 9%, quattro punti sopra la soglia di sbarramento, ed è destinato ad entrare per la prima volta in Parlamento; d’altro canto, gli indecisi sono ancora al 26%, un dato estremamente alto che lascia aperti molti scenari.
In tutto ciò, la Merkel ha rifiutato di partecipare ad un nuovo dibattito televisivo a cui era stata invitata dal suo avversario Schulz.

Si svolge a Londra, in queste ore, il vertice internazionale sulla Libia: durante l’incontro, a cui parteciperà anche il Segretario di Stato statunitense, Rex Tillerson, si discuterà soprattutto dello status da attribuire al Governo di Bengasi, controllato dal Generale Khalīfa Haftar. Allo stato attuale, solo pochi Paesi riconoscono il Generale Haftar come un attore legittimo nel gioco politico libico; la maggior parte della comunità internazionale, infatti, riconosce come interlocutore legittimo solamente il Governo di Tripoli. Tra coloro che sostengono apertamente il Generale Haftar, un ruolo di spicco spetta alla Russia che, secondo fonti di Bengasi, si starebbe adoperando per superare l’embargo alla vendita di armi che ha colpito i territori del Generale Haftar: secondo tali fonti, l’embargo è inspiegabile, dato che le truppe di Bengasi sono impegnate in prima linea contro i miliziani legati al cosiddetto califfato islamico.

Nel pomeriggio, a Mosca, un allarme bomba, poi rientrato, ha provocato l’evacuazione di circa ventimila persone. Le autorità russe confermano si sia trattato di un falso allarme.

Il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, si è espresso a favore del referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno. Il referendum, la cui validità non viene riconosciuta da Baghdad, rappresenta, secondo Netanyahu, le giuste aspirazioni del popolo curdo ad un proprio Stato; nonostante ciò, Israele continua a considerare il Partîya Karkerén Kurdîstan (PKK: Partito dei lavoratori del Kurdistan) un’organizzazione terroristica: in questo, ha sostenuto il Primo Ministro, sta la differenza tra Israele e altri Stati, come la Turchia, che sostengono il gruppo Hamas.

Il Ministro degli Esteri del Venezuela, Jorge Arreaza, parlando alla sezione sui Diritti Civile dell’Assemblea ONU, ha dichiarato che le accuse rivolte contro il Governo di Caracas e le conseguenti sanzioni, sono prive di qualsiasi fondamento e mirano solo a minare l’autonomia del Paese. Nonostante ciò, oggi il Presidente Nicolás Maduro si è detto disponibile a sedersi ad un tavolo per trattare con le opposizioni: l’apertura, la prima dopo mesi di duri scontri politici e non solo, avviene dopo l’intervento diplomatico dell’ex-Primo Ministro spagnolo, José Zapatero, e del Presidente della Repubblica Domenicana, Danilo Medina.