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La riforma del lavoro francese minaccia dei diritti fondamentali

21 Settembre 2017

Per le persone comuni le vittorie sono rare. Sempre più rare in questi tempi dominati dal denaro e dagli uomini forti. In Francia, dove mi trovo mentre scrivo queste righe, il presidente Emmanuel Macron ha deciso di farla finita con le protezioni di cui godeva la classe operaia francese. Sono conquiste ottenute a caro prezzo, diritti fondamentali che aiutano i francesi a resistere alle pressioni imposte dal lavoro. Questi diritti comprendono il pagamento degli straordinari e le ferie, due argini contro la pressione esercitata dai datori di lavoro che vogliono incatenare i dipendenti alle loro scrivanie e alle loro macchine.

Macron riceve questi ordini dall’associazione dei datori di lavoro francesi (Medef), che da tempo desidera tagliare i costi derivanti dalla copertura medica e dai sussidi di disoccupazione, distruggere i programmi di tirocinio professionale, i contributi pubblici per l’alloggio e annullare le disposizioni relative al salario minimo. Il Medef si nasconde abilmente dietro a una retorica che esalta il progresso individuale. Non dice, per esempio, di voler tagliare i sussidi di disoccupazione per poter così ridurre i contributi versati. Piuttosto suggerisce che i lavoratori, se smetteranno di contribuire al fondo di sostegno, avranno più denaro a disposizione per i loro consumi individuali. Ma naturalmente questo significa anche che quando saranno disoccupati non esisteranno meccanismi in grado di aiutarli.

Nel progetto di Macron non c’è nessuna volontà di prendere in considerazione le difficoltà delle persone
Macron, eletto come antidoto al crudele populismo del Front national, ha messo al cuore del suo programma politico la volontà di schiacciare le vite della popolazione francese, in particolare dei lavoratori. Non c’è niente del vecchio liberalismo in Macron, nessun tipo di chiamata patriottica a tutte le classi sociali affinché sacrifichino i loro guadagni per il bene più alto dell’investimento nazionale francese in infrastrutture e sviluppo sociale. Nessun invito alle grandi aziende o alle élite francesi a pagare più tasse o ad accettare minori profitti, nessuna volontà di prendere in considerazione le difficoltà delle persone in un’epoca d’insicurezza economica e caos culturale.

Niente di tutto questo. Il suo programma è scritto da economisti convinti della vecchia idea che la crescita debba farla da padrone assoluto, e che liberare gli istinti animali del capitalismo, facendola finita con le protezioni sociali dei lavoratori, permetterà alla sonnacchiosa economia francese di ripartire di slancio.

Ma è qui che le cose si fanno interessanti. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha osservato più da vicino le riforme di Macron e ha notato che queste non sarebbero in grado di avere un impatto significativo sui tassi di crescita. Farebbero sicuramente crescere il prodotto interno lordo francese (pil) dello 0,4 per cento nel prossimo decennio, ma si tratterebbe di un aumento minuscolo rispetto ai costi sociali che la popolazione dovrebbe affrontare.

Al governo Macron restano altri strumenti, ma i suoi pregiudizi contro i prestiti di stato, alimentati dal Fondo monetario internazionale, gli impediscono di andare in questa direzione. Per esempio, con dei tassi d’interesse effettivi a zero e una bassa inflazione, il governo potrebbe facilmente prendere a prestito del denaro per finanziare gli investimenti e favorire la situazione dell’impiego (visto che i tassi di disoccupazione sfiorano il 10 per cento). Ma il pregiudizio contro l’idea che lo stato s’indebiti per generare crescita economica è così forte che Macron non ha nemmeno preso in considerazione l’idea.

Il conto lo pagano i lavoratori
Ancor più offensivo è sostenere che lo stato francese non possa usare altro denaro per rimpinguare i vuoti bilanci dei programmi sociali per i suoi cittadini. Quasi un decennio fa, durante la crisi finanziaria, lo stato francese si è affrettato a trovare più di 360 miliardi di euro da regalare alle banche private. “Non dobbiamo rinunciare ad alcuna misura in grado di evitare un inasprimento della crisi”, dichiarò all’epoca Nicolas Sarkozy. Ma la crisi dei cittadini francesi non viene affrontata con analoga urgenza. Saranno loro a essere costretti a pagare per sostenere delle istituzioni sociali al collasso, come pensioni e previdenza sociale.

Non c’è posto, nella Francia di Macron, per una discussione sulla stagnazione economica. A pagare il conto saranno chiaramente i lavoratori francesi, ai quali si continueranno a chiedere sacrifici per tenere a galla una nave che va a fondo.

Se le riforme sono state bloccate nel 2016, perché lo stesso non dovrebbe accadere nel 2017
In una piccola città della Francia meridionale, guidata da una giunta comunista, le persone reagiscono con un’alzata di spalle al corso degli eventi. La speranza diffusa è che le proteste che hanno avuto luogo nelle grandi città, come Parigi, fermeranno Macron. Lo scorso anno centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza in Francia per bloccare le riforme proposte dall’allora presidente della repubblica François Hollande. I raduni notturni a place de la République, a Parigi, hanno spinto Hollande a ridimensionare la riforma, di fatto minando la sua carriera politica.

La tentazione di spedire i corpi antisommossa della polizia ai sensi delle leggi sullo stato d’emergenza era forte, ma Hollande ha capito la situazione. Si è ritirato e il suo protetto Macron è salito alla ribalta. Queste alzate di spalla non sono quindi immotivate: se le riforme sono state bloccate nel 2016, perché lo stesso non dovrebbe accadere nel 2017?

Ma oggi la situazione è così spiacevole che Hollande ha criticato Macron per gli “inutili sacrifici” imposti da queste riforme del lavoro.

Alcune persone temono che se Macron e il Medef andranno avanti sulla loro strada, si velocizzerà anche l’impoverimento della popolazione francese e con esso l’ascesa del fascisteggiante Front national. I principali oppositori alla legge sul lavoro non sono il Front national ma il sindacato di sinistra della Cgt e i partiti politici di sinistra. Sono loro ad aver lanciato un appello per la manifestazione del 12 settembre, cui hanno partecipato molte persone, e del prossimo 23 settembre. Anche se la sinistra si è dimostrata efficace nella sua opposizione a queste riforme neoliberiste, non è stata altrettanto capace di trasformare questa opposizione in vantaggi elettorali. Il politico di sinistra Jean-Luc Mélenchon è visto più come un uomo di protesta che di governo. “Mélenchon è in prima fila nelle proteste”, dice Fréderic Dap dell’Istituto francese di opinione pubblica (Ifop), “ma non è visto come un’alternativa concreta” alla presidenza Macron. E questo rappresenta una grande debolezza per la sinistra.

Il partito di Mélenchon dispone di appena 17 parlamentari sui 557 che siedono nel parlamento francese. Possono fare rumore, ma non saranno in grado di definire il futuro corso degli eventi.

Intanto in India
Nel frattempo a Sijkar, nello stato del Rajastan, i contadini guidati dal movimento All India Kisan Sabha hanno portato avanti un’ininterrotta lotta di 13 giorni contro il governo per ottenere delle riforme fondamentali. È stata una lotta difficile, nella quale repressione poliziesca e indifferenza mediatica hanno cercato di soffocare la volontà dei manifestanti. Ma i contadini hanno vinto. Questi volevano semplicemente che il governo mettesse in pratica le raccomandazioni della commissione Swaminathan, creata per aiutare il governo a evitare ulteriori suicidi di agricoltori (a oggi più di trecentomila tra loro si sono suicidati per motivi direttamente legati alle riforme agricole di natura neoliberista).

Questi agricoltori, che esibivano la bandiera rossa di Kisan Sabha e del movimento comunista, sono ricorsi alla tattica del mahapadav (sit-in) per bloccare le attività del governo e paralizzare lo stato. Il governo non aveva scelta. Non potevano semplicemente uccidere la maggior parte dei contadini. Dovevano negoziare e, dal momento che gli agricoltori sapevano il fatto loro, hanno dovuto cedere alle loro richieste. Kisan Sabha ha suggerito che questa vittoria potrebbe “dare forza a simili lotte nel resto del paese”.

Forse se i lavoratori francesi verranno a conoscenza di questa battaglia e del suo esito positivo, potranno trovare nuove motivazioni per la loro lotta. La cosa potrebbe aiutarli a far capire ai loro dirigenti che nessun paese può crescere cannibalizzando i propri cittadini.