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Kenya, un Paese sull’orlo dell’esplosione dopo il voto annullato

5 Settembre 2017

Guerra etnica. Infiltrazioni di terroristi. Turismo ed economia in crisi. Passaggio dal liberismo al marxismo. Lo storico ritorno alle urne può stravolgere equilibri fragili. Nairobi chiamata alla prova della democrazia.

Per il 17 ottobre 2017 la Commissione elettorale ha fissato la data dello storico ritorno alla urne in Kenya – è la prima volta, che si ricordi, che in Africa va in porto un ricorso dell’opposizione sul voto – per le Presidenziali dell’8 agosto: annullate dalla Corte suprema per brogli dopo le verifiche per le veementi proteste dello sfidante, il marxista Raila Odinga, amico di lungo corso dei Castro e di altri leader non allineati.

LUNGA TRADIZIONE DEI KENYATTA. Il presidente uscente e ricandidato Uhuru Kenyatta era in carica dal 2013, da un solo mandato e capitanava i liberali dell’Unione nazionale che erano al governo dall’indipendenza dalla Corona, nel 1964. Della quale il padre ed ex presidente Jomo Kenyatta fu il principale fondatore.

PURE GLI ODINGA FAMIGLIA DI POTERE. Odinga junior, più volte ministro del governo, è viceversa figlio del capo dell’opposizione, ex vice presidente filorusso, negli anni della Guerra fredda, e prima ancora leader della lotta per l’indipendenza Oginga Odinga. Una famiglia di potere anche la loro (il fratello di Raila, Oburu, è senatore ed è stato ai vertici del ministero delle Finanze), non così potente però come i Kenyatta, che puntualmente a ogni tornata elettorale reclamava la vittoria. Sempre rigettata dai giudici fino alle ultime elezioni, punto di svolta e a questo punto grossa incognita per il Paese, alla prova della democrazia.

Le parole del presidente della Corte suprema sulle «irregolarità e illegalità» della Commissione elettorale nella trasmissione dei risultati dalle circoscrizioni al centro nazionale per il conteggio pesano come un macigno sulla riorganizzazione della chiamata alle urne dei circa 20 milioni di aventi diritto.

RISCHIO DI RIVOLTE SANGUINOSE. Il primo pericolo, alle porte, è di rivolte ancora più sanguinose dei 1.100 morti e 600 mila sfollati per le contestazioni dei risultati del voto nel 2007. L’11 agosto 2017, alla dichiarazione della vittoria di Kenyatta con il 54%, nelle slum di Nairobi e Kisumu, sul Lago Vittoria, si scatenarono scontri con la polizia con un bilancio di almeno 21 morti, inclusa una bambina di 9 anni.

La divisione, prima che politica, è etnica: i Kenyatta sono bantu kikuyo (circa il 21% dei kenioti), gli Odinga luo (una delle oltre 70 etnie del Paese, circa il 13% e culturalmente ed economicamente forte). Anche nella logica di contenimento di una guerra tribale con migliaia tra morti e sfollati, i luo hanno goduto di una subalterna rappresentanza al governo e in parlamento.

L’OMBRA DELLA PULIZIA ETNICA. Ma proprio il presidente uscente Kibaki, 10 anni fa vincitore di misura su Odinga, imputò i roghi e le stragi con il machete, pietre e bastoni di bande armate che portarono in Kenya sull’orlo di una guerra civile, al «tentativo di pulizia etnica dei luo».

In crescita annua del 6%, dopo il Sud Africa e la Tanzania il Kenya passa per uno degli Stati sub-sahariani economicamente più forti – nonostante il 50% della popolazione sotto la soglia della povertà -, più democratici e più stabili, al centro anche di una speculazione finanziaria che, negli ultimi anni, ha reso la sua moneta particolarmente forte e sproporzionata alle tasche dei kenioti.

PENETRAZIONE DI TERRORISTI ISLAMICI. Ma la sicurezza che nell’ultimo decennio aveva attratto numerosi occidentali nelle riserve e sulle spiagge del Paese si è andata fortemente deteriorando anche per la penetrazione di terroristi islamici dalla Somalia e i numerosi e cruenti attacchi da loro compiuti, soprattutto contro turisti e cristiani.

La minaccia jihadista crescente, anche di batterie di criminali islamizzati delle slum o di musulmani radicali delle storiche comunità sulla costa, unita alle rapine sanguinose che hanno ucciso anche alcuni italiani, ha spinto non ultimo l’imprenditore Flavio Briatore a mettere in vendita i suoi famosi resort di Malindi.

TURISMO CROLLATO FINO AL 60%. Il turismo, dopo gli attacchi degli al Shabaab nei villaggi e nei centri commerciali anche a Nairobi, è crollato fino al 60%, soprattutto sulla costa. L’economia, nel 2017, è data in flessione di almeno lo 0,5%, in un Paese dove la grande corruzione di pochi ha creato, in assenza di redistribuzione delle ricchezze, un divario estremo tra élite e la popolazione.

L’inedito ritorno al voto del Kenya cade in uno scenario che non è dei migliori. La stabilità, sempre illusoria negli Stati africani, è in bilico perché, oltre che tra gruppi etnici, le tensioni sociali potrebbero esacerbarsi anche tra l’80% di cristiani e l’11% di musulmani.

DISEREDATI DELLE SLUM PROTESTANO. Ancora il 3 settembre a Ukunda, nel Sud del Kenya, un gruppo di jihadisti ha mitragliato e ucciso degli agenti di guardia a una chiesa anglicana. Masse di diseredati delle slum, non soltanto luo, gridano al cambio della guardia tra Kenyatta tra Odinga (che ha chiesto garanzie sul conteggio elettronico, pena il suo ripresentarsi alle urne) sperando in un miglioramento delle loro condizioni di vita miserevoli.

VIRATA DAL LIBERISMO AL MARXISMO? La rabbia latente potrebbe esplodere già all’attesa pubblicazione delle motivazioni della Corte suprema per l’annullamento delle Presidenziali. Una scalata dell’opposizione di Odinga, rappresenta – nelle promesse – un cambiamento verso la socialdemocrazia e dell’assetto geopoltico del Kenya, osteggiato anche dalle potenze occidentali i cui osservatori internazionali avevano approvato il voto di agosto. Nell’ex colonia britannica, con i Kenyatta nell’orbita del libero mercato, il welfare non esiste: anche scuole e ospedali sono a pagamento. Odinga ha più volte ribadito le idee comuniste del padre: non a caso il suo figlio tragicamente morto nel 2015 si chiamava Fidel.